Colonialismo, i conti che non si fanno
Resta il silenzio della destra sui crimini dei nostri soldati in Africa


Ha detto Mario Borghezio che Berlusconi è andato da Gheddafi «con il cappello in mano» e che l'accordo con la Libia «non è stata una pagina dignitosissima». Nessuna meraviglia: ogni tanto un rutto della giovanile fede fascista gli scappa. Di più: le cose che pensa (anche le più orrende) lui almeno le dice. A distanza di alcuni giorni di inossidabili silenzi, colpisce invece come la destra italiana abbia perduto un'altra occasione per riflettere pubblicamente sul proprio passato. Riflettere: non strappare. Nessuno mette in discussione come Gianfranco Fini (in nome di una An talora recalcitrante) abbia dato negli anni una serie di strappi radicali. Che hanno via via portato lui e il partito a lasciarsi alle spalle i tempi in cui teorizzavano che «per essere di nuovo determinante il Msi deve saper essere anche figlio di puttana » per approdare al Pdl e al Ppe. Ma si è trattato, appunto, di strappi. Positivi. Coraggiosi. Giusti. Ma strappi. Che spinsero perfino Marcello Veneziani a dire che i camerati si erano «liberati del fascismo come di un calcolo renale».
Pubblici lavacri, necessari a prendere coscienza fino in fondo e dolorosamente degli errori, pochini. Anzi, è sempre riaffiorata la tentazione di dire che il fascismo è stato una brutta cosa però, in fondo in fondo... Basti ricordare quanto sfuggì allo stesso Fini un paio di anni fa: «Se guardiamo a Somalia, Etiopia e Libia, a come sono ridotte adesso e a com' erano prima con l'Italia, credo che questa pagina della storia sarà riscritta e ci sarà una rivalutazione del ruolo dell'Italia ». Per non dire del compiacimento verso il Cavaliere quando sentenziò che «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno e i suoi avversari li mandava in vacanza nelle isole».
Ecco, le pubbliche scuse (sia pure vaghe) alla Libia sono un passo importante. Che anche Angelo Del Boca, tra i primi a smascherare le balle del bravo colonialista italiano, ha giustamente benedetto. Ma il silenzio assordante della destra sulle responsabilità dei nostri soldati giolittiani e soprattutto fascisti al comando di un macellaio come Rodolfo Graziani (a guerra finita eletto presidente del Msi) è davvero una nuova occasione perduta.
Ai tanti smemorati che si rifiutano di ricordare i bombardamenti proibiti con i gas tossici, le decine di migliaia di vecchi, donne e bambini morti nei campi di concentramento della Sirte e della Cirenaica, la spaventosa carneficina di Addis Abeba, offriamo da rileggere almeno un telegramma a Badoglio del 28 dicembre '35: «Dati sistemi nemico autorizzo V.E. all'impiego anche su vasta scala di qualunque gas et dei lanciafiamme. Firmato: Mussolini». E una pagina di «Ali sul deserto» dell'aviatore Vincenzo Biani del 1934: «Gli equipaggi, navigando a pochi metri da terra, poterono seguire le piste dei fuggiaschi e trovarono finalmente sotto di sé un formicolio di genti in fermento; uomini, donne, cammelli, greggi; con quella promiscuità tumultuante che si riscontra solo nelle masse sotto l'incubo di un cataclisma; una moltitudine che non aveva forma, come lo spavento e la disperazione di cui era preda; e su di essa piovve, con gettate di acciaio rovente, la punizione che meritava. Quando le bombe furono esaurite, gli aeroplani scesero più bassi per provare le mitragliatrici. Funzionavano benissimo (...) Nessuno voleva essere il primo ad andarsene, perché ognuno aveva preso gusto a quel gioco nuovo e divertentissimo».

Gian Antonio Stella    Corriere della Sera 3.9.08