Un Paese che non ha più pietà. Un Paese che si
batte il petto per la famiglia e per la sua unità, ma solo se mamma e papà hanno
la pelle bianca e sono cittadini di pura “razza italica”. Una brutta Italia
ossessionata dall'incubo delle sue frontiere assediate da orde di barbari.
Annibale è alle
porte e allora prevalga, sempre e comunque, l'esigenza di tutelare i sacri
confini. Anche quando a minacciarli è un povero cristo con regolare permesso di
soggiorno e in trepidante attesa della cittadinanza italiana.
Che ha i figli a scuola.
Bambini che parlano bene la lingua, che hanno legato con i loro amichetti
italiani, che studiano con profitto. E che hanno bisogno come l'aria di un padre
presente, affettuoso sempre, severo quando serve. Un padre. Come tutti gli altri
bambini. Ma la Corte di Cassazione non la pensa così: su tutto, sui bambini, sul
loro equilibrio, sul loro sistema affettivo, prevalga l'esigenza di tutelare i
sacri confini. Ecco quindi la sentenza: i clandestini vanno espulsi anche se
hanno figli a scuola. Quanti danni, quante lesioni profonde del vivere
civile e finanche dei sentimenti minimi che devono dare anima ad una comunità
hanno prodotto anni e anni di razzismo.
Sì, razzismo,
altre parole non ci sono e non servono.
Razzismo agitato come arma propagandistica, che ha truccato numeri e
statistiche, ha piegato la realtà a suo uso e consumo, fino a diventare una vera
e propria ideologia. Mai sufficientemente
contrastata, né da una cultura spesso distratta, né da una opposizione sempre
flebile. Che ha
sorriso giudicando stravaganti alcune iniziative di sindaci leghisti (il divieto
di sedere sulle panchine, gli ostacoli ad aprire moschee e luoghi di culto non
cristiani, l'ossessiva propaganda), senza
capire il male che stava divorando l'Italia.
“Tolleranza zero”, quante volte abbiamo sentito questa pessima formuletta senza
accorgerci che migliaia di uomini e donne che vivono nel nostro Paese sono
invece a “diritti zero”. Poveri cristi utili a tirar su le nostre case nei
cantieri, ad assistere i nostri vecchi malati e soli, a raccogliere le nostre
arance a Rosarno, a muovere le fabbriche del Nord, ma senza uno straccio di
diritto. Neppure quello di sognare un futuro.