Il cittadino
mortificato
Un Parlamento mortificato, ridotto una volta di più a luogo di silenziosa
ratifica della volontà del
Governo. Una magistratura resa impotente di fronte a fenomeni gravi di
illegalità. Un sistema della
comunicazione espropriato della sua funzione di "ombudsman diffuso",
della possibilità di riferire
fatti di indubbia rilevanza pubblica.
Una società civile resa opaca e silenziosa dal divieto di assicurarle
informazioni essenziali. Questo è
il cambiamento del sistema istituzionale e sociale che ci consegna la nuova
legge sulle
intercettazioni telefoniche.
Siamo di fronte ad una nuova manifestazione di una linea ben nota, ad una
accelerazione della
irresistibile volontà di liberarsi proprio di quei contrappesi, di quegli
strumenti di garanzia che, in
un sistema democratico, possono impedire la degenerazione del potere, il suo
esercizio
incontrollato, la creazione di sacche di impunità. Per realizzare questo
risultato si è insistito molto
sulla necessità di tutelare la privacy delle persone, troppe volte violata. Ma
questo argomento, in sé
legittimo, è stato trasformato in pretesto per una disciplina punitiva, che con
la tutela della privacy
non ha niente a che vedere. Negli anni passati, infatti, proposte di legge
presentate dalle più diverse
parti politiche avevano individuato i soli punti sui quali era necessario
intervenire: divieto di
pubblicare brani di intercettazioni ancora coperti dal segreto, irrilevanti per
le indagini, riferiti a
persone diverse dagli indagati. Obiettivi che possono essere raggiunti senza
restringere, o addirittura
cancellare, le possibilità investigative da parte della magistratura e senza
negare il diritto
costituzionale all'informazione che, ricordiamolo, non è privilegio del
giornalista, ma elemento
storicamente essenziale per il passaggio da suddito a cittadino.
Perché, allora, un mutamento così radicale dei contenuti della
legge e la fretta nell'approvarla,
ricorrendo al voto di fiducia? Una ragione, la più immediata, riguardava il
rischio che, pure in una
maggioranza che si proclama ad ogni passo compatta, si manifestassero quei
dissensi e quelle
proposte di emendamento già affiorati nelle dichiarazioni di alcuni
parlamentari. Il voto di fiducia
non solo accorcia i tempi, ma soprattutto obbliga al silenzio. Una
finalità di normalizzazione,
dunque, una conferma ulteriore della considerazione del Parlamento come puro
intralcio da
rimuovere con qualsiasi mezzo, ignorando l'imperativo democratico che,
soprattutto per le leggi
incidenti su diritti fondamentali delle persone, imporrebbe la discussione più
libera e aperta.
Ma la fretta, questa volta, ha una ragione più profonda. Proprio in occasione
delle ultime elezioni si
è visto che i mezzi d'informazione possono contribuire a modificare l'agenda
politica, che la voce
dei cittadini informati può sopraffare una comunicazione addomesticata. Una
situazione che deve
essere apparsa intollerabile, che non deve consolidarsi. Ecco, allora, che si
prende al volo
l'occasione offerta dalla tutela della privacy per piegare la legge ad
un'altra finalità, per
interrompere fin dall'origine il circuito informativo. Per questo era
necessario ridurre le
informazioni che la magistratura può raccogliere. Per questo erano
necessarie nuove barriere, per
impedire che le informazioni potessero poi giungere ai cittadini, se non dopo
essere state sterilizzate
dal passare del tempo. All'intento originario di punire magistratura e stampa si
è aggiunta questa
ulteriore urgenza. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di
informazioni che consentano
loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire
opinione pubblica
consapevole e reattiva.
Di questa strategia, tanto rozza quanto efficace, si possono subito misurare le
conseguenze. È stato
ricordato che i risultati appena raggiunti dalla Procura di Venezia nella lotta
al traffico degli
immigrati, proprio un tema sul quale insiste fino a un pericoloso parossismo
repressivo l'attuale
maggioranza, sono il frutto di intercettazioni durate due anni. Con le nuove
norme questo non
sarebbe stato possibile. Queste, infatti, prevedono che le intercettazioni
possano durare due mesi al
massimo, ed è assai dubbio che nel caso veneziano potessero addirittura
cominciare, viste le
condizioni restrittive alle quali sono ormai subordinate. Le preoccupazioni
espresse da magistrati e
poliziotti, dunque, hanno un ben solido fondamento, e la contraddizione tra
proclamazioni e
strumenti dimostra quale sia il vero intento delle nuove norme.
Da molti anni, peraltro, disprezzo per la legalità e ostilità per l'informazione
vanno di pari passo, e
la restrizione delle possibilità investigative esigeva altrettante limitazioni
della libertà
d'informazione. Il punto rivelatore è rappresentato dal divieto di rendere
pubbliche anche le
intercettazioni non più coperte dal segreto. E il meccanismo delle
sanzioni è particolarmente grave,
soprattutto perché, accanto a intimidatorie sanzioni penali per i giornalisti,
introduce una "censura
economica" più pesante di qualsiasi altro meccanismo di controllo.
Poiché si prevede che gli editori
possano essere obbligati a pagare forti multe, è ovvio che pretenderanno di
minimizzare questo
rischio, interferendo nel libero lavoro d'informazione. Così, "Il Padrone in
redazione" non sarà più
solo il titolo di un bel libro di Giorgio Bocca, ma il destino promesso al
sistema italiano della
comunicazione.
Peraltro, proprio perché non più coperte dal segreto, le intercettazioni saranno
nelle mani di molti, a
cominciare dalle schiere di avvocati e loro collaboratori che accompagnano ogni
indagine di
qualche peso. Così, il divieto di renderle pubbliche creerà un grumo
oscuro, disponibile per
manovre oblique, manipolazioni, persino ricatti (che cosa sarebbe
accaduto con la segretezza coatta
delle indagini sui "furbetti del quartierino" e dintorni?). Corretto corso della
giustizia e diritti delle
persone (privacy inclusa) saranno assai più a rischio di oggi, in assenza
di quei benefici contrappesi
democratici che si chiamo trasparenza e controllo diffuso.
Il Presidente del Consiglio si accinge a partire per gli Stati Uniti. Chi sa se
qualcuno dei suoi
collaboratori, preparando i necessari dossier, penserà di inserirvi la citazione
di quel che scrisse un
grande giudice costituzionale americano, Louis Brandeis: "La luce del sole
è il miglior
disinfettante".
Stefano Rodotà la Repubblica 12 giugno 2009