Cinque piaghe del Rosmini
Proprio oggi, nel duomo di Novara, Antonio Rosmini viene
proclamato beato. La chiesa cattolica compie un gesto che fa riflettere, una
specie di ritrattazione. Nel 1832, proprio il 18 novembre, Rosmini iniziava a
scrivere l'opera più famosa, «Delle cinque piaghe della santa Chiesa» che il
Vaticano si affrettò a mettere nell'Indice dei libri proibiti. Dall'Indice,
dunque, alla beatificazione: un secolo e mezzo di storia della chiesa cattolica,
con le sue luci e le sue ombre.
Vale la pena di rivedere - forse aggiornare - quelle «piaghe».
La prima è la divisione del popolo cristiano dal clero, con grave danno
dell'unità della chiesa. Una unità resa più difficile anche dall'uso del latino.
L'insufficiente educazione del clero è un'altra piaga. Ne sono responsabili
anche i vescovi, preoccupati di troppe «faccende» e divisi fra di loro: contese,
potere e ricchezza. Eccessivo il potere dei laici all'interno della chiesa.
L'ultima piaga è proprio «la servitù dei beni ecclesiastici». Rosmini aveva
previsto le difficoltà che sarebbero derivate dalla vicinanza delle due sponde
del Tevere, proprio quelle difficoltà che i concordati avrebbero cercato -
invano - di risolvere. In realtà si apriva un mondo nuovo, quello delle moderne
democrazie. Rosmini lo aveva previsto e compreso, molto prima del Vaticano e del
Concilio. Il cardinale Martini: «Rosmini intravede vie d'uscita e soluzioni
possibili a mali antichi, riesce a leggere come abusi inaccettabili soluzioni a
cui ci si era da lungo tempo abituati e che sembravano ormai radicate». La
beatificazione di oggi stimola almeno due considerazioni positive. La prima
sottolinea la possibilità, anzi la necessità che nella chiesa si sentano voci
serenamente critiche, come fu, allora, quella di Rosmini. La seconda sottolinea
la capacità della autorità ecclesiastica di fare, talvolta, marcia indietro. Lo
ha fatto per Galileo, per Rosmini lo sta facendo, anche se con difficoltà, per
l'evoluzionismo. Due considerazioni che fanno bene sperare per il futuro.
Filippo Gentiloni Il manifesto 18/11/07