Ci hanno tolto la patria

Ci hanno tolto la patria, ecco quello che Berlusconi e i suoi servi hanno fatto. È questa l’ accusa che
l’opposizione dovrebbe mettere al centro della sua lotta, se vuole vincere e soprattutto se vuole fare
vincere l’Italia.

IN QUESTI GIORNI vicini all’8 settembre viene naturale pensare alla morte della patria o all’Italia
che manca
, per ripetere il titolo del festival Lector in fabula che si apre oggi a Conversano. Di morte
della patria parlò per primo, credo, Salvatore Satta, nel De profundis (1948), e ne ha trattato Ernesto
Galli della Loggia nel suo libro del 1996. La tesi di Galli della Loggia è nota: con la firma
dell’armistizio, si verificò in Italia il crollo completo non solo dello Stato, con la fuga del re e della
corte e la disgregazione dell’esercito lasciato in balia degli ex alleati tedeschi diventati nemici, ma
anche il dissolversi del sentimento di solidarietà nazionale e del senso del dovere verso il bene
comune. Né la Resistenza, per il suo debole carattere di autentico movimento di liberazione
nazionale, né la Repubblica, per il troppo ambiguo sentimento di lealtà nazionale della sua élite
politica (compreso il Partito Comunista) riuscirono poi a far rinascere e radicare nella mentalità
degli italiani un nuovo amor di patria.

A mio giudizio la tesi della morte della patria è un’interpretazione parziale degli avvenimenti che
segnarono la storia italiana negli anni successivi all’8 settembre e durante i primi decenni della
Repubblica. Anziché di morte della patria è a mio avviso storicamente più corretto parlare di morte
e di rinascita della patria, o, meglio la morte di una patria, quella del fascismo e della monarchia, e
la nascita di una nuova patria, quella della Repubblica e della Costituzione.


Lo provano documenti e testimonianze di notevole peso. Nell’agosto del 1943 Piero Calamandrei
scriveva: “Veramente la sensazione che si è provata in questi giorni si può riassumere senza retorica
in questa frase: Si è ritrovata la patria”. Ancora più eloquente è una pagina di Natalia Ginzburg: “Le
parole patria e Italia, che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché accompagnate
dall'aggettivo fascista, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così
trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre
orecchie risultarono vere”.

LO PROVANO DEI FATTI troppo importanti per essere trascurati come il rifiuto di tanti soldati
italiani di entrare nelle truppe della repubblica di Salò in nome di un sentimento di patria
faticosamente ritrovato negli orrori della guerra a fianco dell’alleato tedesco. Ma che un sentimento
nuovo di patria, fondato su principi di libertà era rinato lo prova la Costituente. Basti citare le parole
con cui il relatore presentò all’Assemblea l’articolo che afferma che “la difesa della Patria è sacro
dovere del cittadino”. Egli disse infatti che la Patria, “non è più la matrigna che il fascismo aveva
tentato di creare, ma è la madre generosa che accetta ed accoglie tutti i suoi figli con identico animo. (Applausi)”.

È vero che durante i primi decenni della nostra storia repubblicana il
sentimento di patria di offuscò e visse confinato in ambiti ristretti dell’élite politica e del popolo.
Ma non morì affatto la lealtà costituzionale. Grazie ad essa la Repubblica ha vinto sfide tremende.

La lealtà alla Costituzione è il cuore del sentimento di patria. Non è tuttavia tutto, perché patria vuol
dire anche amore del bene comune, vuol dire, in Italia, antifascismo, vuol dire Risorgimento, vuol
dire memorie di uomini e donne che hanno dato l’esempio, vuol dire cultura, vuol dire speranze e
fini comuni come popolo.


ORBENE, BERLUSCONI e i suoi hanno distrutto con ferocia metodica tutto ciò che è patria, sia
detto senza retorica, con tristezza. Hanno offeso in tutti i modi la Costituzione; hanno dimostrato
tante volte di preferire il loro interesse al bene pubblico, a tal segno da essere pronti a devastare la
legalità per sottrarsi alle leggi; hanno deriso l’antifascismo e favorito la nascita dell’anti-
antifascismo, sentimento quanto mai pericoloso e moralmente detestabile; hanno distrutto le nostre
memorie: quando ne hanno parlato perché non erano in grado di farlo, e quando hanno taciuto per
ignoranza o per disprezzo; hanno avvilito ogni forma di cultura seria per sostituirla con il trionfo
della banalità e della volgarità; hanno disseccato nell’animo degli italiani, con le loro azioni e le
loro parole, ogni speranza collettiva
. La storia insegna: non c’è mai stata in Italia una rinascita civile
senza o contro l’idea di patria. Oggi, per ritrovare la patria, bisogna liberarci di Berlusconi e della
sua corte.


Maurizio Viroli       il Fatto Quotidiano 11 settembre 2010