Chiesa reale e chiesa di carta

 

Con un cortese ma vigoroso articolo sull'Avvenire, Dino Boffo mi rimprovera di polemizzare con

"la Chiesa di carta" (cioè con il suo distorto riflesso mediatico) e non con la "Chiesa reale". Più in

generale,   Boffo   lamenta   l'attitudine,   in   campo   laico,   a   costruire,   per   comodità   polemica,

un'immagine della Chiesa riduttiva e iper-politicizzata. Ai limiti della caricatura, e a costo di far

derivare ogni opinione cattolica da una inesistente indicazione delle gerarchie ecclesiastiche.

Apprezzo (e accolgo) il sentimento di orgoglio giornalistico che traspare dall'intervento di Boffo: le

opinioni   di   Boffo   e   di   altri   giornalisti   cattolici   sono   certamente   libere   e   soprattutto   di   loro

pertinenza, e non il frutto di un'imbeccata vescovile. Mi limito a rivendicare, specularmente, anche

la   spensierata   indipendenza   delle   mie   opinioni,   che   Boffo   sembra   voler   includere   nel   novero

onoratissimo, ma maliziosamente architettato, degli "editorialisti debenedettiani" e di quelli "del

giornale delle Banche". Il laicismo plutocratico e borghese non è meno caricaturale, come attore

politico-culturale, del clericalismo baciapile.

A parte questo, è perfettamente vero che esiste, tra i laici, un'irritabilità diffusa che spesso conduce a

un eccesso di legittima difesa: come se le opinioni della Chiesa andassero a cozzare contro un

edificio, quello della cultura laica, troppo fragile e insicuro per farsene serenamente una ragione. In

questo senso Boffo ha ragione, anche se la mia soluzione (ridimensionare drasticamente il peso

mediatico   delle   esternazioni   vaticane:   proprio   come   se   fossimo   un   Paese   secolarizzato)   è

probabilmente differente dalla sua.

Detto questo si deve però dire che se l'immagine della Chiesa, e specialmente dell'organizzazione

dei vescovi italiani, negli ultimi  anni è fortemente connotata in senso politico, la colpa non è

solamente degli "editorialisti debenedettiani" e "del giornale delle Banche". I vescovi, che vivono

nel nostro stesso Paese e nel nostro stesso groviglio mediatico, sanno benissimo che la cospicua

mole delle loro parole, ammesso che riesca ad arrivare al terminale ultimo delle coscienze dei

credenti,   è   prima   destinata   a   prendere   la   forma   magari   sbrigativa,   ma   inevitabile,   di   notizia

d'agenzia, titolo di telegiornale e di giornale. E il rosario di questi titoli, da parecchio tempo, suona

come un incessante richiamo alla priorità della morale confessionale rispetto alle morali (al plurale)

della società italiana, alle quali lo Stato e la politica, che sono di tutti, devono necessariamente

riferirsi.

Per fare solo un esempio, certamente il più vistoso, il concetto quotidianamente ribadito di "primato

della famiglia tradizionale" non può non figurare come una irriducibile presa di posizione contro

qualunque tentativo di legalizzare le unioni di fatto, non per caso naufragato in Parlamento a causa

dei dubbi dei cattolici di entrambi gli schieramenti. Dubbi leciti: ma in che misura aggravati e

drammatizzati dalla martellante azione di persuasione dei vescovi?

Infine. Se è verissimo, come afferma il direttore di Avvenire, che la comunità dei cattolici e financo

la Chiesa strettamente intesa sono ben altro, per ampiezza di esperienze e di opinioni, rispetto alla

"Chiesa di carta", non è forse questo uno dei massimi problemi dei cattolici italiani di oggi? (Non

dei laici: dei cattolici). Come mai – per dirne solo una – l'esperienza formidabile del cattolicesimo

conciliare e del cattolicesimo sociale non genera, oggi, voci chiaramente intelligibili, almeno tanto

forti quanto quelle "ufficiali"? Forse per la paura di subire "caricature mediatiche"? Ma sarebbe,

almeno, una caricatura più sfaccettata, meno monocorde, quella di una Chiesa che non parla solo di

morale sessuale e di dottrina da preservare dai colpi della secolarizzazione. E parla anche d'altro, e

fa parlare anche gli altri che al suo interno paiono avere perduto la voce. Gli hanno levato il

microfono o tacciono per sfinimento?

 

Michele Serra      la Repubblica 1/3/2008