Chiesa no tax, Ue contro l'Italia

Bruxelles chiede a Roma di chiarire la natura delle esenzioni fiscali al Vaticano. Nel mirino l'Ires, l'imposta sul reddito delle società, che ostelli e studentati cattolici non pagano. Sotto accusa anche la Spagna. La destra attacca gli «anticlericali» al governo. Che, imbarazzato, non reagisce. Cento: un tavolo bilaterale per rivedere gli accordi con la Santa Sede

 

Il 19 agosto il cardinale Bertone chiedeva agli italiani di pagare le tasse, quelle «giuste»; ieri la Commissione europea ha chiesto all'Italia di chiarire la natura delle esenzioni fiscali accordate alla Chiesa in modo da verificare se dietro di loro non si nascondano degli aiuti di stato, una pratica considerata illegale in Europa. Illegale non vorrà sempre dire ingiusto, potrà sostenere Bertone, ma intanto il campanello d'allarme è nuovamente suonato sui privilegi della Chiesa. E con lui suona, inevitabilmente, il frastuono della polemica politica, sia fuori che dentro la maggioranza, visto che l'iniziativa è partita da Maurizio Turco dei radicali e la cosa non è piaciuta per nulla ad altri tasselli del governo, su tutti l'Udeur.
La diretta interessata, la Chiesa, già ieri mattina metteva le mani: «Chiesa, fisco, esenzioni: il privilegio che non c'è», titolava l'Avvenire un intervento del cardinal Betori. «È incongruo che lo Stato gravi (fiscalmente, ndr) le realtà, ecclesiali e non, che perseguono fini di interesse collettivo», argomenta il porporato. Il problema è quando non perseguono interessi collettivi, ma commerciali. In questo caso le esenzioni potrebbero essere additate come aiuti di stato dall'Europa.
Bruxelles, intanto, ripete che non siamo ancora arrivati al lancio di un'inchiesta vera e propria, e «forse non arriveremo nemmeno ad aprirla», sottolinea prudentemente Jonathan Todd, portavoce della Commissaria alla concorrenza Neelie Kroes. Sarà, ma le cose nel frattempo vanno avanti: la Commissione invierà infatti nelle prossime settimane una nuova lettera a Roma per fare piena luce sulle esenzioni accordate alla Chiesa dal 1992 sull'Ici. Nel mirino comunitario c'è anche lo sconto del 50% sull'Ires, l'imposta sul reddito delle società, accordato alle organizzazioni no-profit e religiose, e l'esenzione completa dello stesso Ires per i proventi derivati dagli immobili che appartengono alla Chiesa, come gli ostelli o gli studentati che spesso operano in una situazione di mercato. La prima lettera firmata dalla Kroes era stata inviata a gennaio, ma la risposta, pervenuta a inizio luglio, non ha soddisfatto i funzionari di Bruxelles, che chiederanno così nuovi lumi al governo.
Nel mirino della Commissione non è finita solo la Chiesa italiana, ma anche la sua sorella spagnola, per «un'esenzione totale e permanente» del pagamento delle imposte sui patrimoni, pratica che potrebbe anche in questo caso nascondere aiuti di stato illegali. Per vederci più chiaro una lettera è stata inviata a Madrid il 19 luglio e una risposta è attesa per metà settembre. Anni fa era invece toccato alla curia belga per il regime di favore accordato sull'Iva.
Tornando in Italia, la storia dei privilegi fiscali della Chiesa ha una lunga vita. Le esenzioni parziali o totali sull'imposta sul reddito delle società, l'attuale Ires, sono datate 1973 e sono giunte indisturbate fino a noi. Più tormentata la vicenda dell'Ici: l'esenzione viene lanciata nel 1992, bocciata da una sentenza della Consulta nel 2004 e resuscitata l'anno dopo da Berlusconi con un omonimo decreto, quindi nuovamente eliminata e poi nuovamente inserita all'interno della Finanziaria 2006, l'ultima del centrodestra. Già allora Maurizio Turco, assieme al fiscalista Carlo Pontesilli e all'avvocato Alessandro Nucaro, metteva la Commissione sulla pista delle esenzioni accordate alla Chiesa. Partiva una prima lettera, ma poi il decreto Bersani del 4 luglio 2006 sembrava mettere le cose a posto.
Sembrava, perché in realtà un cavillo, votato allora da destra e da sinistra, specifica che l'esenzione viene accordata a tutti gli immobili di appartenenza della Chiesa in cui si svolgono attività «non esclusivamente commerciali». E così basta mettere una cappella o un'immagine votiva per togliere l'Ici da ostelli, alberghi, centri congressi, ristoranti e così via, il tutto per un danno all'erario stimato in oltre 400 milioni di euro all'anno. Senza contare gli arretrati, che comunque difficilmente potrebbero essere recuperati. Se venisse aperta la procedura e fossero accertati gli aiuti di stato a favore della Chiesa, l'Italia dovrebbe chiedere la restituzione di quanto non percepito dal fisco, «ma sarebbe assai difficile - spiega una fonte comunitaria - visto che di parla di moltissimi anni. Più probabile che la Commissione chieda la fine immediata del regime di esenzione». Stessa cosa potrebbe succedere in Spagna.
Siamo sempre nel territorio delle possibilità, il migliore per lanciare le polemiche, soprattutto quelle basse. Rotondi della nuova Dc parla di «vento anticristiano», Volontè dell'Udc chiede a «Prodi di prendere le distanze dagli anticlericali del suo governo» e Gasparri di An vede una Ue in mano ai «circoli radical massonici». Dal governo si replica come d'abitudine: disordinatamente. Cento chiede «un tavolo bilaterale tra Stato e Vaticano nel quale trovare soluzioni più equilibrate salvaguardando e tutelando l'esercizio della religione cattolica e la sua funzione sociale» e Fabris dell'Udeur lo attacca: «Troviamo paradossale che un sottosegretario all'economia se ne esca attaccando la Chiesa, proponendo un inasprimento della fiscalità nei suoi confronti. Cento farebbe meglio ad avanzare proposte efficaci per ridurre l'imposizione fiscale». Meglio che se ne occupi Bruxelles

 

Alberto D'Argenzio   -   Bruxelles            Il manifesto 29/08/07