Chiesa e sinistra. Il Vaticano ai tempi del Pci
La domanda è forse una sola, e vale la pena di farsela. Si può dire che il
vecchio Partito comunista italiano era più compatibile e più vicino al Vaticano
e alla Chiesa, rispetto al Partito Democratico oggi? O facciamoci la domanda in
un altro modo ancora.
Eccola: le gerarchie vaticane si fidavano più dei comunisti che dei nuovi
dirigenti del Pd?
Dopo quello che è accaduto in questi giorni, con le parole che Benedetto XVI
avrebbe rivolto a Veltroni, Marrazzo e Gasbarra, poi riportate dai giornali, poi
smentite, con la frase davvero curiosa che «le parole del papa sono state
strumentalizzate» (ma si può strumentalizzare uno che parla ex cathedra?)
sembrerebbe di sì. Dopo quello che è accaduto sul registro delle unioni civili a
Roma, sembrerebbe ancora di sì, dopo i vari gay pride che si sono svolti
a Roma, sembrerebbe ancora di più di sì. Eppure il Pd non è un partito
comunista, non dice che “la religione è l’oppio dei popoli”, non ha esponenti
trinariciuti che vorrebbero abbeverare i loro cavalli nella fontana di San
Pietro. Non vuole fare la rivoluzione, per poi vietare ogni culto, eccezion
fatta per quello del “Migliore”. Ma anzi, il partito democratico è un partito in
quasi perfetto equilibrio tra l’ala migliorista e socialdemocratica del vecchio
Pci, i cattolici liberali, i cattolici riformisti e la vecchia sinistra
democristiana, e altro ancora. E meglio di così non si potrebbe.
E invece no. Qualcosa non torna. La nascita del partito democratico aveva, tra
gli altri, due compiti. Da una parte far dimenticare quel retaggio, quel
passato, quel pezzo di storia che il vecchio partito comunista si portava dietro
e che non era abbastanza rassicurante, non era abbastanza “istituzionale”, per
un elettorato che pur non essendo di destra, non avrebbe mai potuto votare un
partito che per buona parte della sua storia era stato legato a un Paese
totalitario, l’Unione Sovietica, anche attraverso flussi finanziari imponenti e
importanti. Il partito di Amendola, certo, degli eroismi resistenziali, certo,
di Enrico Berlinguer, certo, ma anche di Pietro Secchia e della Gladio Rossa, il
partito con quell’album di famiglia, di cui parlò Rossana Rossanda, con pagine
per niente esemplari. Dall’altra parte, nella parte cattolica e popolare del
partito democratico, figlia della migliore Democrazia Cristiana, c’era da far
dimenticare altre pagine ancora meno esemplari: collusioni con vecchi poteri
fascisti, esponenti di partito mafiosi, golpismi striscianti, utilizzo di reti
stay-behind non per difendere realmente un territorio di confine, come
era l’Italia, ma per scopi illegali e spesso oscuri, che andavano a confondersi
con le pagine più brutte della storia del nostro Paese. E al centro di tutto il
nodo cruciale: i rapporti con il Vaticano, Stato nello Stato, Stato della Chiesa
geograficamente dentro uno Stato che aveva il più forte partito comunista del
mondo occidentale.
Da allora ne sono passati di anni. Dalle vignette propagandistiche che dicevano:
«Nell’urna dio ti vede, Stalin no». All’epopea di don Camillo e Peppone,
raccontata da Guareschi, e poi rappresentata visivamente da Fernandel e Gino
Cervi. Quell’Italia un po’ alla buona, dove la mattina si andava alla sede del
partito, e il pomeriggio a messa. E il partito non poteva che essere “il
partito”: ovvero quello comunista. In una Emilia rossa, e assieme cattolica, in
un Paese dove i comunisti con la chiesa e con i cattolici si intendevano assai
bene. A cominciare dalla bizzarria vera di inserire un trattato internazionale,
come il concordato, in una carta fondamentale, come la Costituzione.
E i comunisti votarono il famoso articolo 7, con il diktat di Togliatti,
e molti musi si fecero scuri. E il Vaticano cominciò a pensare quasi da subito
che i comunisti non erano nemici. Se alcuni di loro avevano la sgradevole
convinzione che i preti fossero commestibili (comunisti mangiapreti), oltre
naturalmente i bambini, e negassero recisamente che esistesse altro dio al di
fuori della fede nella rivoluzione, nei fatti molti punti in comune c’erano.
Primo fra tutti una vera idiosincrasia nei confronti dello Stato liberale.
Perfido, baro e inaffidabile, per le gerarchie vaticane, visto che aveva portato
via al Papa il potere temporale, la città santa, e vari territori che arrivavano
fino in Romagna. Nemico autentico per chi quello stato liberale avrebbe voluto
sovvertirlo per instaurare finalmente una bella dittatura del proletariato.
Storie vecchie, certo. Passate, che nulla avevano a che fare con un dopoguerra
di polemiche, leggi truffa, e scontri frontali tra Pci e Dc, scontri, per la
verità, neppure troppo convinti. Non dimentichiamo che proprio Enrico Berlinguer,
nella metà degli anni Cinquanta, portava a esempio per le giovani comuniste
Santa Maria Goretti come modello di virtù, la santa contadina, la santa che si
fece uccidere per non perdere la verginità.
Sulla morale comunista sono stati scritti molti saggi, interessantissimi. E in
un certo senso c’era un humus, un moralismo, un’empatia comune a certa
morale cattolica. Non dimentichiamo che Pier Paolo Pasolini fu espulso da
Partito Comunista perché era omosessuale, e a rileggere il testo del
provvedimento, ancora oggi c’è da stupirsi: «La federazione del Pci di Pordenone
ha deliberato in data 26 ottobre 1949 l’espulsione dal partito del dott. Pier
Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai fatti che
hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta
Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe
correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto
decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che
in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della generazione borghese». Basta
sostituire la parola “borghese” con la parola “nichilista”, e il testo si adatta
perfettamente anche alla morale cattolica.
Sono passati sessant’anni. Gli anni Settanta hanno cambiato il Pci, e hanno
cambiato anche la Chiesa, basti pensare alla teologia della liberazione, ai
preti operai, e via dicendo. La morale comunista è apparsa un retaggio di un
tempo che non esisteva davvero più. Però è sempre rimasta aperta da parte delle
gerarchie cattoliche e vaticane se non proprio una simpatia perlomeno un
intendersi con il Pci su alcuni linee fondamentali, per far fronte assieme ai
veri pericoli: il nichilismo, le spinte libertarie, certe degenerazioni
borghesi, la finanza laica, e soprattutto il moderno.
E proprio su questa parola si gioca tutto: il moderno. Il partito democratico è
moderno. Non ha una morale opprimente, e cerca di non fare giochi opportunisti,
anche se non sempre in questi mesi gli è riuscito. E di fronte a questa
modernità che la Chiesa ha un vero e proprio disagio, perché la lingua non è più
comune e non è più la stessa. Con il “moderno” questa chiesa ratzingeriana, che
rispetto al suo predecessore è più reazionaria, ha difficoltà e mille disagi. Un
potente partito democratico, moderno e aperto sui temi etici, e sui valori
laici, è di una pericolosità immensa. E quello che è avvenuto nei giorni scorsi
assomiglia troppo alla vecchia tecnica del bastone e della carota. Avvertimenti,
e guanto di velluto.
Le pressioni saranno molte. Da parte del partito democratico guardare oltre
Tevere, come si diceva un tempo, è indispensabile, e il timore di perdere
l’elettorato cattolico è un incubo della sinistra di questi ultimi anni. Incubi
a parte, la partita ora è aperta, e sarà molto interessante capire cosa accadrà
nel prossimo futuro.
Roberto Cotroneo l’Unità 13.1.08