Chiesa e laici confusi sui gay


L'opposizione della Santa Sede alla depenalizzazione dell'omosessualità — proposta dall'Europa
all'approvazione delle Nazioni Unite, e che tante polemiche sta suscitando di parte laica — sembra
la conseguenza dell'assimilazione della morale al diritto, del peccato al reato, cara allo Stato etico.
Ma il Catechismo della Chiesa dice che si deve evitare ogni forma di discriminazione nei confronti
degli omosessuali. La Chiesa difende la sacralità della vita. Ma, poi, si oppone a chi vuole evitare la
condanna (anche a morte) degli omosessuali; difende gli embrioni, ma non milioni di uomini e
donne perseguitati.

Pare — per dirla con Mao — ci sia una grande confusione sotto il cielo di Roma (lato Vaticano). La
situazione non è eccellente. Se non si corresse il rischio di voler insegnare al Papa come fare il
Papa, si potrebbe aggiungere che la Chiesa sembra travolta dalla rivoluzione sessuale e incapace di
comprenderne non solo gli effetti civili, ma anche quelli morali; incapace di formulare una qualche
dottrina coerente con i propri antichi principi e con la nuova realtà.
Così, essa si rifiuta,
giustamente, di considerare razionale — il matrimonio fra gay — ciò che è soltanto reale, la fine
dell'ostracismo sociale nei confronti dell'omosessualità. Condanna il matrimonio fra persone dello
stesso sesso, ma non in nome dell'universalità di quello fra uomo e donna; bensì — incorrendo in
un'altra contraddizione di fronte agli esiti della rivoluzione sessuale: il rifiuto dei contraccettivi che
sono lotta alle malattie e razionale limitazione delle nascite — in nome del matrimonio come
veicolo di procreazione.
A questo punto, il non credente potrebbe concludere che, dopo tutto, non sono affari suoi e
chiuderla qui. Se non fosse che, sotto il cielo del laicismo, la confusione è altrettanta. C'è chi non si
accontenta del lascito «storico» della straordinaria rivoluzione cristiana — la Persona come fine e
non come mezzo; la sua intangibilità — a fondamento del liberalismo e delle libertà dell'Individuo
garantite dalla Legge. Ma pretende di conferire, oltre che alla «tradizione» giudaico-cristiana —
che, per valere come precettistica morale, non ne avrebbe bisogno essa stessa — una connotazione
metafisica anche al liberalismo come sottoprodotto della Fede; trascinando Dio nel dibattito
filosofico e politico: «come se Dio esistesse ».

C'è chi vorrebbe riorganizzare il sistema di diritti civili attraverso la protezione di scelte personali
trasformate in diritti. Ma non si accorge che la «moltiplicazione dei diritti» di qualcuno comporta
sempre una moltiplicazione dei doveri di qualcun altro, col risultato di ridurre gli spazi di libertà per
tutti, invece di accrescerli. Trasforma il «liberalismo delle libertà» in «liberalismo dei diritti». Che
è, poi, la riproposizione del conflitto fra la «libertà da» (liberale), come non impedimento (e che
non costa) e la «libertà di» (democratica), che è un prodotto della politica (e che la politica fa
pagare).
Dal momento che non lo si può dire al Papa, cerchiamo, allora, almeno noi, liberali, di chiarirci le
idee.

Piero Ostellino       Corriere della Sera  6 dicembre 2008