Chiesa. Voglia di Riconquista


La mancata visita del Papa alla Sapienza sollecita - anzi impone, specie a chi come il Pd va definendo un proprio manifesto di valori - una pacata riflessione da un lato sui mutamenti intervenuti nel significato di una laicità che voglia essere al passo con i tempi, e dall’altro sul ruolo e sulla presenza della Chiesa in società, come quelle europee, oramai secolarizzate.
A scanso di equivoci, va innanzitutto detto che la vicenda della Sapienza è frutto di un cumulo di gravi errori: errato da parte del Rettore invitare il Pontefice, e della diplomazia vaticana accettarlo, senza valutare le obiezioni cui la visita avrebbe potuto dar luogo.
In particolare alla luce delle tensioni che hanno accompagnato i sempre più numerosi interventi della Chiesa su temi all’attenzione del Parlamento. I Pontefici parlano da ben altre e più alte cattedre di quelle della Sapienza, e non hanno certo bisogno di una inaugurazione di anno accademico per far udire la loro voce. Ma grave errore anche - a lectio magistralis declassata a mero invito - creare impedimenti alla libera espressione del pensiero del Pontefice, violando così non solo il diritto costituzionalmente garantito ad ognuno alla libera espressione del pensiero, ma anche il precetto laico del «libera Chiesa in libero Stato», e fornendo un’arma possente a quanti sono sempre pronti a derubricare la laicità a «laicismo», e a considerare come manifestazione di anticlericalismo qualsiasi osservazione critica nei confronti della Chiesa di Roma.
Ciò detto, occorre però interrogarsi sulle ragioni di quella che sembra tornare ad essere - dopo decenni in cui il problema del rapporto Stato-Chiesa appariva appartenere oramai al passato - una rinnovata «questione romana». Da qualche anno, infatti, in Europa, ma segnatamente in Italia, il rapporto tra laici e cattolici è tornato ad essere tormentato. Ciò è dovuto innanzitutto ai progressi della scienza che hanno oramai spostato i confini naturali della vita e della morte, oggi sempre più aperti ad un intervento progettuale dell’uomo, ponendo problemi etici del tutto nuovi sia alla coscienza dei credenti che a quella dei non credenti. È su questo terreno infatti che occorre definire un nuovo concetto di laicità, e valutare le attuali posizioni della Chiesa. Al pari di altri laici - penso ad esempio a Giuliano Amato - comprendo appieno che essa non perda occasione per richiamare i credenti alla difesa della vita. Non comprendo invece perché al rifiuto dell’aborto, ad esempio, non si accompagni l’ammissione della contraccezione, ignorando l’immenso impatto che l’esplosione della popolazione ha sulla povertà nel mondo e sulla crisi dell’equilibrio ecologico. O perché al rifiuto dell’eutanasia non si accompagni l’accettazione etica che un malato possa rifiutare insostenibili sofferenze terminali e pretendere l’interruzione di ogni inutile trattamento. Non comprendo insomma l’opposizione al testamento biologico, né l’imposizione nei confronti dei non credenti che vieta loro il ricorso a una fecondazione assistita che si avvalga di tutti i ritrovati della scienza. Il laico, anche credente, ha spesso l’impressione che la Chiesa, schierandosi contro l’autonomia della ricerca e il diritto del singolo ad una libera scelta circa l’uso dei suoi risultati, abbia nuovamente ingaggiato una battaglia contro la modernità e il pensiero scientifico, come purtroppo a più volte fatto nel corso della sua storia. Galli della Loggia ha affermato sul Corriere che l’operato dell’attuale Pontefice lo pone in una linea di continuità con i suoi predecessori. Credo che ciò non sia vero: da Giovanni XXIII a Wojtyla, per alcuni decenni la Chiesa ha sempre più guardato ai grandi problemi contemporanei, orientandosi verso le grandi aree povere del mondo e verso una riconciliazione ecumenica. Con Ratzinger si ha, invece, l’impressione che il principale obiettivo della Chiesa romana sia divenuto la “reconquista" di un’Europa oramai secolarizzata e in primo luogo di Spagna e Italia. Ma los reyes catolicos non ci sono più, e gli Stati non possono essere piegati a bracci secolari per l’opera di riconquista spirituale dell’Europa.
Un altro terreno di confronto tra laici e cattolici è rappresentato dall’importanza che nella società della conoscenza è venuta assumendo l’istruzione. Per chi si professi laico lo Stato deve concentrare le proprie risorse sulla scuola pubblica, evitando qualsiasi sostegno alla scuola privata, e questo non tanto per le attuali condizioni della nostra finanza pubblica che destina a scuola, università e ricerca risorse insufficienti, quanto perché uno Stato che voglia dirsi coerentemente laico non deve sostenere una scuola privata che trova il proprio fondamento nel desiderio dei genitori di dare ai propri figli un’educazione monoculturale, spesso fondata sulla convinzione della propria superiorità etica, laddove la scuola pubblica è invece il naturale luogo di confronto tra culture e valori diversi, in un mondo in cui tutti sono sempre più chiamati a scegliere se chiudersi nel proprio patrimonio di valori o aprirsi ad un confronto interculturale. Anche prescindendo da vincoli costituzionali (che nel caso italiano ritengo pienamente esistenti anche se progressivamente disattesi), il finanziamento alla scuola cattolica o di qualsiasi altra confessione viola dunque un fondamento dello stato laico: la promozione di un costante confronto tra culture. Piena autonomia della ricerca e libero uso dei suoi risultati, e sostegno esclusivo alla scuola pubblica: sono questi i capisaldi e le richieste di un moderno pensiero laico. Lo Stato italiano agli albori della sua esperienza unitaria unì ad una opportuna legge di guarentigie per la Chiesa la confisca dei beni ecclesiastici. Oggi esso sembra percorrere l’opposto cammino del concedere alla Chiesa di Roma molti vantaggi economici, ma rischia di venir meno al fondamento di qualsiasi logica di guarentigia nei confronti dei culti religiosi: il suo tutelarli tutti in egual misura proprio perché "agnostico" nei loro confronti. Sta proprio nell’agnosticismo la differenza fra Stato etico e Stato laico: tutelati i fondamentali diritti sanciti dalla propria Costituzione, e assicuratosi che qualsiasi fede religiosa ne garantisca il rispetto, uno Stato che voglia dirsi laico deve abbracciare quel "relativismo culturale" che qualsiasi Chiesa non può al contrario condividere. Dopo il 1860, una classe politica largamente composta di credenti non esitò ad affermare in concreto la laicità del nostro Stato, una laicità riaffermata dal cattolicesimo liberale e rispettata sino ad oggi da tutti i recenti Pontefici. È auspicabile che l’attuale classe politica e le gerarchie vaticane siano oggi all’altezza del compito di preservare la pace religiosa e sappiano evitare il risorgere dei conflitti del passato. Non sempre entrambi sembrano all’altezza del compito.

 

Stefano Passigli   l'Unità 20.1.08