Chiaberge. Scusate se sono laico

intervista a Riccardo Chiaberge a cura di Silvia Truzzi

Ci sono monaci che esplorano l’anima e Dio con la poesia della parola. Missionarie brianzole
ammalate d’Africa che si cimentano con il “Dieu au féminin”. Ex sacerdoti che hanno affrontato il
demone dell’amore e oggi, spretati e ammogliati, sono ancora cattolici. Medici in trasferta a
Lourdes, imprenditori in tonaca. Il popolo dei fedeli dissidenti abita l’ultimo e assai discusso libro
di Riccardo Chiaberge, giornalista torinese del Sole 24 Ore. “Lo scisma - cattolici senza Papa”
(Longanesi editore, 281 pagg. - 17,60 euro)
sarà presentato a Roma martedì prossimo (con l’autore
- alle 18 alla Sala Stampa Estera in via dell’Umiltà - Savino Pezzotta, Rosy Bindi, Pietro Craveri e
Stefano Folli).


Chiaberge, “scisma” è una parola forte: storicamente ma anche simbolicamente.
Il titolo è una provocazione. Allude allo scollamento sempre più forte tra le pronunce ufficiali del
magistero della Chiesa di oggi e il comportamento della maggioranza dei fedeli, anche degli stessi
cattolici praticanti.

Lo scisma d’Oriente e quello anglicano: più o meno uno ogni cinquecento anni. Ci siamo
quasi.

Non so se l’esito di quello che io racconto in queste pagine sarà uno scisma. Potrebbe anche essere
semplicemente il venire alla luce di una maggiore articolazione interna al mondo cattolico. Scrivo
da osservatore esterno, da non credente, lo dico perché non sottoscriverei ogni articolo del credo.
Non sono cattolico, forse vagamente cristiano. Un amico ebreo, molto laico e soprattutto molto
anticlericale, mi ha detto: questo tuo libro farà soltanto gioco alla Chiesa. Perché dimostra che là
dentro c’è posto per tutti, per tutte le posizioni. In qualche misura è un favore che fai alla Chiesa. E’
un problema che non mi sono posto. Non volevo fare né un libro contro la Chiesa, né un libro a
favore della Chiesa. Tanto meno un pamphlet antiratzingeriano come ha scritto uno dei miei
stroncatori di parte cattolica, nemmeno un libro devoto. E’ un tentativo di far uscire voci che
altrimenti non si esprimono e non vengono raccolte dai media.

Molte anime, dunque. Ma sono anime senza cittadinanza. La Chiesa non ha imparato nulla
dalla democrazia?

Forse è l’ultima sopravvivenza dell’Ancién regime. Ma non c’è nessun tipo di costituzione
democratica nella Chiesa. Però molti cattolici la vorrebbero diversa. Ci sono movimenti, per quanto
minoritari, che rivendicano la possibilità di dire la loro sulla nomina dei vescovi o sull’accesso alle
cariche più elevate anche per le donne. C’è un’esigenza di rinnovamento strutturale. La necessità
più forte però è un aggiornamento del messaggio cristiano al mondo d’oggi.


Ratzinger ha fatto dell’anti illuminismo una bandiera. E’ una scelta che in molti trovano
miope. Lei anche?

E’ la rivendicazione identitaria di una Chiesa che vuole mandare un messaggio forte al mondo
contemporaneo, che vuole incarnare valori alternativi a tutto ciò che l’Illuminismo ha cercato di
smantellare
. E’ un messaggio inevitabilmente destinato a rimanere minoritario. Però trova orecchie
disponibili ad ascoltarlo, in certe fasce di irrazionalismo, anche da parte di non credenti che sono
ostili da sempre alla società industriale, alla modernità. E quindi è un richiamo potente, che ha
avuto un grande successo mediatico. Ma attenzione: questo non vuol dire che le masse lo abbiano
recepito.

E a chi parla la Chiesa, se non alla gente?
Questo Papa si rivolge a un suo mondo: dialoga con Habermas, con gli intellettuali francesi quando
va in visita a Parigi.

Beh, lui è un intellettuale.
Non c’è dubbio. Ma forse è anche il suo limite: non arriva al cuore della gente.

Al contrario di Giovanni Paolo II.
Il suo predecessore metteva l’accento sulla devozione popolare, con tutte le manchevolezze di
questo atteggiamento. Aveva un grande carisma, però. Benedetto XVI più che alla devozione pensa
alla dottrina, a ristabilire i lineamenti del pensiero teologico della Chiesa.


Abbiamo messo in croce il crocifisso. Crede che la laicità alla francese con il divieto di
esposizione di simboli religiosi nelle scuole, sia esportabile in Italia?

Il problema dell’Italia non è il crocifisso, il problema è il Concordato. Finché c’è un trattamento
privilegiato della religione cattolica, questi discorsi rimangono sospesi nel vuoto. E comunque a me
sembra una battaglia di retroguardia, anche da parte dei laici. Onestamente come laico a me il
crocifisso non disturba affatto. Non vale la pena di stare a battagliare per staccarlo o tenerlo appeso.
Piuttosto quello che mi disturba è che venga usato nella lotta politica come un’arma da dare in testa
agli avversari. Natalia Ginzburg vedeva nel crocifisso il dolore dell’ebreo perseguitato,
dell’Olocausto: il crocifisso come simbolo di sofferenza è universale e non capisco perché debba
offendere qualcuno.


Perché questa Chiesa, dottrinale e dogmatica, fa così fatica a prendere posizione su
atteggiamenti di governanti e potenti non proprio in linea con comandamenti e dettami del
cattolicesimo?

Perché la Chiesa non è soltanto un’agenzia spirituale, ma è anche un potere temporale. Che deve
amministrare risorse, personale e esercitare un potere nella società civile. Se un governo le concede
spazi, privilegi o esenzioni fiscali, tende a favorirla. Una logica di scambio che appartiene a
qualsiasi Stato
. C’è un’evidente contraddizione tra il suo ruolo come agenzia spirituale – che
dovrebbe promuovere una certa decenza pubblica anche da parte degli uomini politici – e un
sistema di potere che si confronta con altri poteri.

A sua volta la politica italiana ha una certa riluttanza a opporsi alla Chiesa. La cancelliera
Merkel non ci pensò un attimo a prendere posizione sulla riabilitazione dei lefebvriani dopo
che uno di loro aveva negato l’Olocausto.

C’è una forma di sudditanza, non c’è dubbio. La considero un problema di inadeguatezza culturale
di questa classe politica. Penso ai De Gasperi, ai Fanfani, ai Moro: erano stati anche compagni di
scuola dei Papi, trattavano alla pari con il potere ecclesiastico. Invece questa classe politica è spesso
balbettante di fronte a un Ruini che li sovrasta tutti come statura culturale.
Non parliamo del Papa
teologo, che questi se li mangia tutti in insalata: la verità è che non sono in grado di elevare un
argine dal punto di vista concettuale.
Se poi si aggiunge che la maggioranza è divisa, vacilla
spaccata dalle risse interne, il sostegno della gerarchia è un puntello utile.

Tentazioni: chi tra i protagonisti del suo Scisma le ha instillato il dubbio della fede?
Il monaco cistercense che vive in un’abbazia sul Lago di Garda. Quel tipo di approccio al
messaggio cristiano, alla lettura delle Sacre Scritture è quanto di più vicino alla mia sensibilità e
quanto di più tentatore per un laico. Perché attraverso la parola, la lettura dei testi sacri prova a
riappropriarsi di una grande tradizione spirituale e delle nostre radici. Io ho fatto tutta la trafila da
ragazzo italiano. Fino alla rottura del ’68 che ci ha tutti, in qualche modo, allontanati da quel
mondo.

Ora però c’è un forte ritorno alla spiritualità.
Sì, ma fuori dalle religioni rivelate, c’è un terreno fertile a cui la Chiesa potrebbe attingere. Certo se
assumesse atteggiamenti meno di condanna e più di apertura e di accoglienza.

Ma un po’ il Papa lo fa, con questo suo continuo mettere nella categoria della legge naturale i
valori dell’uomo.

E’ un tentativo problematico. La legge naturale non è una categoria definita. Lo stesso concetto di
natura in una società tecnologica come quella di oggi è messo in discussione. Il corpo umano è
sempre più una macchina, l’elemento artificiale è sempre più decisivo se non prevalente. Quando si
può dire che è avvenuto il concepimento o la morte? Sono tutti concetti che richiedono una
revisione da parte della Chiesa alla luce dei progressi della medicina e della scienza. In molti stanno
tentando questa strada, ma c’è una forte resistenza della Curia.


È l’oggetto del suo incontro con don Verzé. Le racconta anche di quando aiutò un suo amico a
morire. Storia forte
.
Lui è uno dei pochi che ha fatto un vero outing: nel mondo medico queste cose si mormorano senza
mai ammetterle. Rompere il muro dell’ipocrisia è stato un atto di coraggio.

La scienza si fonda su regole e la dottrina su dogmi. Perché, dopo secoli di diatribe e anatemi,
i saperi e le discipline dell’anima non riescono a trovare l’equilibrio del dialogo?

I conflitti tra scienza e fede nascono ogni volta che la scienza pretende di diventare teologia e
affermare verità non dimostrabili. E ogni volta che la teologia invade il territorio della scienza.
Questi conflitti aumentano quando, come oggi, la scienza è per lo più applicata, alla vita e a materie
eticamente sensibili. Finché si parla di cosmologia alla fine si può trovare un accordo. Quando si
parla di staminali bisogna decidere se uno crede che l’embrione sia persona o solo un ammasso di
cellule. Tutt’altra faccenda.

il Fatto Quotidiano  28 novembre 2009