Che fine ha fatto
la teologia di liberazione?
Della teologia della liberazione non si parla quasi più. Eppure si era trattato
di uno degli aspetti più
positivi e interessanti nati dal Concilio Vaticano II. Ci dobbiamo chiedere che
cosa sostenesse e
come mai l'attuale silenzio.
Per la prima questione ci può aiutare autorevolmente uno dei teologi superstiti,
Jon Sobrino (Adista)
che dice, fra l'altro: «È esistita una tradizione magnifica: la dedizione
e l'amore verso i poveri, lo
scontro con gli oppressori, la fermezza nel conflitto, la speranza e l'utopia
che passavano di mano in
mano. E in questa tradizione risplendeva il Gesù del Vangelo e il mistero del
suo Dio». I poveri,
dunque, in primo piano. E ancora: «Ecco le quattro caratteristiche del
vero popolo di Dio: 1)
L'opzione preferenziale per i poveri. 2) L'incarnazione storica delle lotte del
popolo per la giustizia
e la liberazione. 3)L'introduzione del lievito cristiano nelle lotte per la
giustizia. 4) La persecuzione
a causa del regno di Dio nella lotta per la giustizia».
E Sobrino conclude: «Si tratta oggi delle centinaia e migliaia di poveri,
affamati, oppressi,
assassinati, massacrati, innocenti e indifesi, sconosciuti in vita e in morte».
Come mai questa chiesa e questa teologia non sono riuscite ad affermarsi se non
in piccolissima
parte? Qualsiasi tentativo di risposta deve cercarla in due versanti, quello
politico e quello
ecclesiale.
Nel primo si incontrerà la vittoria del grande capitale che negli ultimi decenni
è riuscito a
sconfiggere tutti gli attacchi che cercavano di scalfirne il dominio.
Nel mondo ecclesiale, poi, la crisi della teologia della liberazione non può non
fare riferimento alla
paura del comunismo ateo, paura che dal Vaticano si era propagata dappertutto,
soprattutto proprio
nell'America Latina.
Una paura che ha decisamente contribuito a tacitare le voci cattoliche a
favore dei poveri e di tutta
la teologia della liberazione.
A rimetterci anche le parole del Vangelo
Filippo Gentiloni il manifesto
29 novembre 2009