CEI, L’ARCIVESCOVO BAGNASCO SOSTITUIRA’ RUINI
Bresciano, classe 1943, è un ultraconservatore, forse dottrinalmente persino più radicale (se non altro perché più preparato in teologia) del pur radicale Ruini. Tomista convinto, sposa pienamente la visione assolutista e monarchica della chiesa raztingeriana, ignora qualsiasi distinzione "laica" tra società e religione, ha sempre sostenuto l'ala più reazionaria della Chiesa in opposizione alle deliberazioni del Concilio
Cambiare tutto perché tutto resti com'è. E' con una logica gattopardesca che papa Ratzinger sembrerebbe essersi deciso, dopo oltre un anno di proroga, a destituire il 76enne Camillo Ruini dalla carica di presidente della Cei, che deteneva da 16 lunghi anni.
Il nome del successore, l'Arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, non può infatti che preoccupare chi vedeva con disappunto le frequenti sortite della Cei ruiniana nell'ambito della politica nazionale, fino al minacciato "non expedit" sui Dico. Se i vescovi italiani, nel sondaggio avviato lo scorso anno sul possibile successore, avevano indicato in maggioranza l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, considerato moderatamente progressista in campo dottrinale, Benedetto XVI ha completamente ignorato quest'indicazione, ribadendo già nella modalità di scelta che il ruolo dei vescovi deve restare quello che è stato da almeno un ventennio: quello di silenti e ossequiosi artefici dei diktat vaticani.
Quasi tutti i vaticanisti, in questi giorni, parlano di soluzione di
compromesso tra Bertone, che di Bagnasco fu predecessore nella diocesi di
Genova, e Ruini stesso. Ma se per compromesso si intende prefigurare anche una
linea più morbida del futuro numero uno della Cei rispetto al suo arcigno
predecessore, probabilmente si rischia di incorrere in una sonora delusione.
Il bresciano Bagnasco, classe 1943, è infatti un ultraconservatore, forse
dottrinalmente persino più radicale (se non altro perché più preparato in
teologia) del pur radicale Ruini. Tomista convinto, Bagnasco sposa pienamente la
visione assolutista e monarchica della chiesa raztingeriana, ignora qualsiasi
distinzione "laica" tra società e religione, ha sempre sostenuto l'ala più
reazionaria della Chiesa in opposizione alle deliberazioni del Concilio.
Il suo mentore, non a caso, fu proprio il cardinale più lontano e diffidente
verso la rivoluzione di papa Roncalli, quel Giuseppe Siri che fece il possibile
insieme al collega Ottaviani per rallentare, frenare, invertire la rotta di
quello che era stato concepito da molti come una semplice conferma del Vaticano
I, il Concilio di Pio IX e dell'Infallibilità, e che settimana dopo settimana
stava diventando una reale apertura al mondo del collegio episcopale riunito a
Roma. Quel Siri, è bene ricordarlo, che ha lottato per evitare la scomunica ai
lefebvriani, il movimento ultrareazionario che considerava Pio XII l'ultimo papa
legittimo prima del "tradimento" di Roncalli e Montini; che non si è mai
rassegnato alla perdita dell'abito talare per i sacerdoti, alla messa nelle
lingue nazionali, all'ingresso dei laici nelle comunità ecclesiali, alle
aperture a sinistra di parte della Chiesa "operaia", fino alla Teologia della
Liberazione.
Siri, che di Bagnasco è stato maestro e padre spirituale, e che lo ha ordinato
presbitero nel 1966, ha sempre sostenuto la subordinazione della donna
all'autorità del marito, si è sempre detto favorevole ad alleanze politiche
anche con l'estrema destra in funzione anticomunista, e dell'omicidio di Aldo
Moro ad opera delle Brigate Rosse ebbe a dire: "Ha avuto quello che meritava".
Da questo background proviene Angelo Bagnasco, che certamente non farà che ribadire se non ulteriormente rafforzare la linea politica di Ruini: centralismo, rigorismo dogmatico e sociale, antimodernismo. Quando fu insediato a Genova, nel settembre dell'anno scorso, lo stesso Bagnasco è stato molto chiaro: "Una mentalità puramente tecnico-scientifica da sola non è in grado di costruire una vera e compiuta forma di civiltà e cultura», mentre la "vera e necessaria laicità" è concepita come "autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica, ma non da quella morale". Non meno chiaro sui Dico: "Una famiglia debole non può costruire una società forte", ha scandito Bagnasco. "Il Papa, la Cei e il cardinale Ruini - ha dichiarato nei giorni scorsi - hanno fatto interventi insistenti e decisi perché l'argomento in questione, cioè i cosiddetti Pacs, ora Dico, vanno a toccare i valori fondamentali su cui la Chiesa ha una posizione definita. Non c'è stata nessuna esagerazione, si tratta di fattori che incidono profondamente sulla vita degli individui e della società». E fu ai limiti del grottesco il suo clamoroso forfait al Festival della Scienza di Genova, con Nobel e scienziati da tutto il mondo, perché giudicato "troppo laicistico".
Sul suo programma futuro, in un'intervista di oggi a ‘'Repubblica'', Bagnasco
sembra non avere dubbi: ''Ai cattolici non basta essere presenti e dire
semplicemente che ci sono. Devono dimostrare tutta la forza della loro identita'
con grande serenita'''. Prefigurando così una stabile e massiccia presenza della
"lobby" cattolica (il "Partito di Dio", come lo definisce il vaticanista Marco
Politi) nei gangli delle fragili istituzioni politiche. Perché " è chiaro che i
cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve
richiamarli a questo compito".
L'obiettivo è sempre quello: perdute le coscienze individuali, considerate ormai
alla deriva nel luccicante oceano del materialismo e del relativismo, la Chiesa
intende definirsi come principio di identità di una nazione, di un popolo, di
una società.
L'ideale di un Marcello Pera, non credente ma "devoto", come di un Giuliano
Ferrara o di Oriana Fallaci. ''Cercano spesso di farci passare per degli
intolleranti - conferma Bagnasco a "Repubblica" - ma non è così, il problema è
quello dell'identità culturale, in Italia come in Francia, in Europa. In Europa
siamo il cuore del mondo ma fatichiamo a definire la nostra identità a fronte
delle altre culture religiose e laiche che si impongono al mondo moderno''. E'
dall'Italia, culla del papato, che deve partire la riscossa: questa la strategia
dichiarata, questo lo scopo della nuova presidenza Bagnasco.
Lo scrive anche la Sir, l'agenzia di stampa dei vescovi: in "un'Europa senza radici e senza pathos" occorre "operare con serenità e chiara determinazione. Andare alla radice e giocare fino in fondo la sfida della cultura, in tutte le sue dimensioni, che è poi la questione della grande transizione di questi anni e quindi del futuro". Un mondo cattolico non più "subordinato" ma "protagonista": lo stesso Ruini efficacemente sintetizzava: "meglio essere contestati che irrilevanti". La strada per il successore sembra rigidamente segnata, e il curriculum dello stesso Bagnasco non lascia adito a speranze di una correzione di rotta.
Tra i vescovi italiani, tuttavia, serpeggia lo sconforto: sono molti quelli che confidano, dietro promessa di segretezza, il disagio per l'interventismo politico della Cei ruiniana, per la mancanza di collegialità, per i criteri assolutistici delle nomine che tendono a privilegiare figure opache ma fedeli. E che si barcamenano tra l'obbedienza a Roma e le realtà sociali nella propria diocesi, spesso affrontate (è il caso proprio di Tettamanzi) con coraggiose aperture di credito persino verso i movimenti pacifisti e No Global. A capo di questa "Chiesa del silenzio", che si confonde nella comunque vasta zona grigia dei vescovi "ruiniani", monsignor Bagnasco è chiamato a fare qualcosa di diverso dal suo predecessore, per dimostrare di non essere solo un Re Travicello ma di avere idee proprie e il coraggio per metterle in pratica. Quello che da decenni ormai non si fa più nella Chiesa di Roma.
Paolo Giorgi Aprile online 6/3/2007