Il cattolico feroce
Suscita rabbia e pena, una pena grande, il sottosegretario Carlo Giovanardi,
cattolico imbruttito dal
rancore, che ieri mattina ha pronunziato alla radio parole feroci contro
Stefano Cucchi. Secondo
Giovanardi, Stefano se l´è cercata quella fine perché «era uno spacciatore
abituale», «un anoressico
che era stato pure in una comunità», «ed era persino sieropositivo». Giovanardi
dice che i tossicodipendenti sono tutti uguali: «diventano larve», «diventano
zombie».
E conclude: «È la droga che l´ha ridotto così».
Giovanardi, al quale è stata affidata dal governo «la lotta alle
tossicodipendenze» e la «tutela della famiglia», ovviamente sa bene che tanti
italiani – ormai i primi
in Europa secondo le statistiche – fanno uso di droga. E sa che tra loro ci sono
molti imprenditori,
molti politici, e anche alcuni illustri compagni di partito di Giovanardi. E,
ancora, sa che molte
persone «per bene», danarose e ben difese dagli avvocati e dai giornali, hanno
cercato e cercano nei
cocktail di droghe di vario genere, non solo cocaina ed eroina ma anche
oppio, anfetamine, crack,
ecstasy…, una risposta alla propria pazzia personale, al proprio
smarrimento individuale. E alcuni,
benché trovati in antri sordidi, sono stati protetti dal pudore collettivo, e la
loro sofferenza è stata
trattata con tutti quei riguardi che sono stati negati a Stefano Cucchi. Come se
per loro la droga
fosse la parte nascosta della gioia, la faccia triste della fortuna mentre per
Stefano Cucchi era il
delitto, era il crimine. A quelli malinconia e solidarietà, a Stefano botte e
disprezzo.
Ci sono, tra i drogati d´Italia, «i viziati e i capricciosi»,
e ci sono ovviamente i disadattati come era
Stefano, «ragazzi che non ce la fanno» e che per questo meritano più aiuto degli
altri, più assistenza,
più amore dicono i cattolici che non "spacciano", come fa abitualmente
Giovanardi, demagogia
politica. E non ammiccano e non occhieggiano come lui alla violenza contro
"gli scarti della
società", alla voglia matta di sterminare i poveracci; non scambiano
l´umanità dolente, della quale
siamo tutti impastati e che fa male solo a se stessa, con l´arroganza dei
banditi e dei malfattori, dei
mafiosi e dei teppisti veri che insanguinano l´Italia. Ecco: con le sue orribili
parole di ieri mattina
Giovanardi si fa complice, politico e morale, di chi ha negato a Stefano un
avvocato, un medico
misericordioso, un poliziotto vero e che adesso vorrebbe pure evitare il
processo a chi lo ha
massacrato, a chi ha violato il suo diritto alla vita.
Anche Cucchi avrebbe meritato di incontrare, il giorno del suo arresto, un vero
poliziotto piuttosto
che la sua caricatura, uno dei tanti poliziotti italiani che provano compassione
per i ragazzi dotati di
una luce particolare, per questi adolescenti del disastro, uno dei tantissimi
nostri poliziotti che si
lasciano guidare dalla comprensione intuitiva, e certo lo avrebbe arrestato,
perché così voleva la
legge, ma molto civilmente avrebbe subito pensato a come risarcirlo, a come
garantirgli una difesa
legale e un conforto civile, a come evitargli di finire nella trappola di
disumanità dalla quale non è
più uscito. Perché la verità, caro Giovanardi, è che gli zombie e le larve non
sono i drogati, ma i
poliziotti che non l´hanno protetto, i medici che non l´hanno curato, e ora i
politici come lei che
sputano sulla sua memoria. I veri poliziotti sono pagati sì per
arrestare anche quelli come Stefano,
ma hanno imparato che ci vuole pazienza e comprensione nell´esercizio di un
mestiere duro e al tempo stesso delicato.
È da zombie non vedere nei poveracci come Cucchi la terribile
versione
moderna dei "ladri di biciclette". Davvero essere di destra significa non capire
l´infinito di
umiliazione che schiaccia un giovane drogato arrestato e maltrattato? Lei,
onorevole (si fa per dire)
Giovanardi, non usa categorie politiche, ma "sniffa" astio. Come
lei erano gli "sciacalli" che in
passato venivano passati alla forca per essersi avventati sulle rovine dei
terremoti, dei cataclismi
sociali o naturali.
Giovanardi infatti, che è un governante impotente dinanzi al flagello della
droga ed è frustrato
perché non governa la crescita esponenziale di questa emergenza sociale, adesso
si rifà con la
memoria di Cucchi e si "strafà" di ideologia politica, fa il duro a spese
della vittima, commette
vilipendio di cadavere.
Certo: bisogna arrestare, controllare, ritirare patenti, impedire per prevenire
e prevenire per
impedire. Alla demagogia di Giovanardi noi non contrapponiamo la demagogia
sociologica che
nega i delitti, quando ci sono. Ma cosa c´entrano le botte e la violazione dei
diritti? E davvero le
oltranze giovanili si reprimono negando all´arrestato un avvocato e le cure
mediche? E forse per
essere rigorosi bisogna profanare i morti e dare alimento all´intolleranza dei
giovani, svegliare la
loro parte più selvaggia?
Ma questo non è lo stesso Giovanardi che straparlava dell´aborto e del peccato
di omosessualità?
Non è quello che difendeva la vita dell´embrione? È proprio diverso il Dio di
Giovanardi dal Cristo
addolorato di cui si professa devoto. Con la mano sul mento, il gomito sul
ginocchio e due occhi
rassegnati, il Cristo degli italiani è ben più turbato dai Giovanardi che dai
Cucchi.
Francesco Merlo la Repubblica 10 novembre
2009
Ma chi sono i
cattolici?
Si ravviva l’attenzione verso i cattolici. Anche dopo le primarie del PD non
mancano giornali che si
chiedono: dove andranno i cattolici? Resteranno? emigreranno al centro?
scivoleranno a destra? O
si rifugeranno in chiesa?
E ci sono tanti altri temi che provocano i cattolici: dall’etica sessuale
dichiarata a quella praticata;
dalle disposizioni per affrontare la fine della vita all’insegnamento della
religione nelle scuole, al
crocifisso nelle aule…
Raccolgono invece meno attenzione, ma non sono meno importanti per la
coscienza cristiana, le
leggi e gli atteggiamenti sull’accoglienza dei poveri e dei rifugiati, sul
rispetto dei clandestini e
delle persone arrestate, sui diritti civili di tutte le persone. La grande sfida
tra egoismo e solidarietà.
Qui non vorrei entrare nel contenuto delle diverse scelte che si pongono, ma
soffermarmi sulla
soglia: quando si dice “i cattolici” a chi ci si riferisce? Ai battezzati, ai
credenti, ai praticanti ? A
quelli che dicono di riconoscersi nella tradizione e nelle “radici cristiane”, a
quelli che leggono il
vangelo, a quelli che lo vivono nel segreto della coscienza, a quelli che fanno
parte concretamente
delle comunità cristiane? A quelli che dicono “Signore, Signore”, o a quelli che
fanno la volontà di
Dio?
Per carità, non si tratta di giudicare o condannare le persone; viviamo tutti
una esperienza
complessa, in cui si mescolano atteggiamenti e momenti diversi: carne e spirito,
nostalgia del
passato e passione per il futuro, fedeltà e debolezze. L’inedito della
fede e la consuetudine della
devozione. La generosità dell’amore e l’egoismo individuale. E tuttavia
bisogna anche cercare di
fare chiarezza, non per un esercizio formale o per la presunzione di raggiungere
quaggiù una
purezza quanto invece per una responsabilità verso se stessi soprattutto gli
altri. Per esempio: come
si potrà spiegare domani ai giovani che i cattolici si sono spostati a destra
perché la sinistra
proponeva più giustizia sociale, equità fiscale, accoglienza per i disperati che
attraversano il mare su
barche e gommoni, rispetto per la dignità e la coscienza di tutte le persone.
Perché mai i cattolici
dovrebbero identificarsi con i nostalgici e gli egoisti? Oltretutto, a ben
vedere ci sono stati e ci sono
molti credenti fra quanti vogliono costruire una società rinnovata e migliore;
ma sembra quasi che
siano mal tollerati, gente marginale, un po’ disobbedienti. Talora sembra
persino che i buoni
cattolici siano quelli che vanno al family day anziché quelli che hanno
una buona vita familiare;
quelli che vogliono a tutti i costi il crocifisso sui muri anziché quelli che si
occupano dei fratelli
crocifissi.
A proposito del crocifisso occorre rilevare che, più dell’oggetto in sé la
questione è il significato che
gli si vuole attribuire. Il Crocifisso è il segno dell’amore per gli altri
fino al dono della vita: se fosse
presentato così, secondo verità, chi potrebbe considerarlo una provocazione? Ma,
purtroppo, spesso
è inteso e presentato, anche dai cristiani, come un marchio, il segno di un
possesso, di una
tradizione che si contrappone ad altre. In tal modo rischia di perdere
la sua universalità, l’essere
speranza offerta a tutti gli uomini.
Riscoprire che i cristiani non sono una corrente di un partito e neppure un
popolo che corre a
ripararsi sotto le bandiere delle forze nostalgiche, conservatrici e
spregiudicate, ma sono quelli che
vivono (cercano di vivere, consapevoli di tutti i loro limiti e infedeltà) la
koinonia secondo il
vangelo… questa sarebbe la buona notizia, non solo per una politica più umana ma
anche per una
testimonianza cristiana più limpida.
Sarebbe straordinario se cominciassimo a chiamare cristiani, e cattolici,
quelli che lo sono davvero e
non quelli che si definiscono tali. Sarebbe un guadagno per la verità. E
porterebbe buoni frutti in
futuro, anche se un po’ di scompiglio nel presente.
Del resto l’avevano detto San Paolo e Ignazio di Antiochia; e l’aveva ripetuto
il cardinale Dionigi
Tettamanzi al Convegno ecclesiale di Verona (2006): «Quelli che fanno
professione di appartenere a
Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una
professione di fede a parole,
ma di perseverare nella pratica della fede sino alla fine. È meglio essere
cristiano senza dirlo, che
proclamarlo senza esserlo».
Angelo Bertani Adista” - Segni
nuovi – n. 116 del 14 novembre 2009