Il cattolico di
base ritrova la parola
Forse c’è una svolta nella presenza pubblica dei cattolici italiani. Dopo anni
in cui le battaglie sui
temi cari ai cattolici sono state condotte più dal vertice dei Vescovi che dai
leader del cattolicesimo
organizzato, oggi questi ultimi tornano a mobilitarsi sulla questione più
rovente del momento. Il no
di Berlusconi ad un’Italia multietnica è risultato indigesto non soltanto ai
partiti dell’opposizione,
ma anche a larghi settori della Chiesa e del mondo cattolico più impegnato.
Per mesi i massimi esponenti dell’episcopato italiano hanno invitato i politici
a coniugare in tema di
immigrazione «legalità e accoglienza». Ora, di fronte alla legge, i loro
commenti sono sempre più
amari. L’accusa di fondo è che il pacchetto sicurezza miri non tanto a
scoraggiare gli sbarchi dei
clandestini, quanto a rendere impossibile l’integrazione e l’inserimento degli
stranieri nella nostra
società. Reazioni ancora più forti giungono dalle organizzazioni
cattoliche di base (tra cui la
Comunità di Sant’Egidio, le Acli, i gruppi Caritas, il Meic), che per la prima
volta si schierano
compatte contro provvedimenti che - a loro dire - più che affrontare i problemi
reali tendono a
criminalizzare l’immigrazione. Tutti sottolineano che l’accoglienza non è né di
destra né di sinistra,
ma di tutti; e che i flussi di immigrati nel nostro Paese devono essere regolati
e sottratti alle maglie
della criminalità organizzata. Ma questi restringimenti non devono portare
a un’inclusione
subalterna degli immigrati in Italia, creando per loro vincoli e oneri che li
discriminano come
persone, non rispettano i diritti umanitari, negano i ricongiungimenti
famigliari. Come si può varare
una legge che non prevede che ci si prenda cura dei bambini che possono nascere
in condizioni di
clandestinità? Come possono essere mandati indietro immigrati che fuggono da
Paesi che negano i
diritti fondamentali?
Sulla questione immigrazione si è dunque creata una singolare convergenza di
posizioni tra il
vertice della Cei e ampi strati del mondo cattolico organizzato. E ciò a due
anni esatti di distanza
dal Family Day, un evento fortemente voluto dalla Chiesa nella sua battaglia per
affermare i valori
irrinunciabili ma che è stato vissuto con intensità diversa dal cattolicesimo di
base. Tra i cattolici
impegnati nessuno mette in dubbio la necessità di difendere la famiglia e di
promuovere la vita ai
diversi livelli, anche se non tutti condividono l’idea che la Chiesa debba
mostrare i muscoli su
questioni che lacerano la coscienza contemporanea. Oggi, invece, la
Chiesa di vertice e quella di
base sembrano ricompattarsi sul tema dell’immigrazione, anche interrogandosi
sul senso del proprio
impegno nella società italiana e su quanto possa ancora definirsi cattolica una
nazione poco
accogliente nei confronti degli stranieri.
Quella dell’immigrazione è certamente una battaglia difficile e impopolare per i
gruppi e movimenti
ecclesiali. Difficile per il vento del momento, per la crisi economica in atto,
perché lo slogan «non
vogliamo un’Italia multietnica» fa troppo leva sulla paura e sul bisogno di
ordine per poter essere
adeguatamente contrastato.
Tuttavia, il mondo cattolico impegnato ha deciso sulla questione di scendere in
campo, perché non
si può tenere insieme l’abito del buon samaritano (tipico di un volontariato che
cerca di lenire le
ferite della società e degli ultimi) e un clima di proposte politiche e
legislative che in nome della
sicurezza sembrano prefigurare una pulizia etnica. Le associazioni
cattoliche sono uno dei simboli
dell’Italia solidale, che però non può essere tale solo nel tempo libero, solo
nell’organizzare le
mense per i poveri, nel limitarsi al ruolo di infermieri della storia. La
solidarietà deve certamente
essere coniugata con la sicurezza, ma deve anche esprimersi nelle leggi e nel
clima che
caratterizzano un Paese che si vuole civile.
Franco Garelli La Stampa 19 maggio 2009