Il cattolico adulto
che il Papa non vuole
Nell'omelia di chiusura dell'Anno paolino Benedetto XVI ha dedicato la sua
attenzione al concetto
di "fede adulta". Si tratta di un'espressione con esplicite radici bibliche,
cara a un filone importante
della teologia del '900 (così il teologo martire antinazista Dietrich
Bonhoeffer: «Il mondo adulto è
senza Dio più del mondo non adulto, e proprio perciò forse più vicino a lui»),
divenuta famosa nella
vita politica italiana per l'uso che ne fece l'allora premier Romano Prodi
rifiutando l'allineamento
sull'astensione voluto dalla Conferenza episcopale in ordine al referendum sulle
tematiche
bioetiche.
Il ragionamento di Benedetto XVI si può riassumere così: 1) È necessaria una
fede adulta: «Con
Cristo dobbiamo raggiungere l'età adulta, un'umanità matura… Paolo desidera che
i cristiani
abbiano una fede matura, una fede adulta». 2) La fede adulta passa per il
rinnovamento del
pensiero: «La nostra ragione deve diventare nuova… Il nostro modo di vedere il
mondo, di
comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo
fondamento». 3) C'è un
modo giusto e un modo sbagliato di rinnovare il pensiero in vista di una fede
adulta, e il modo
sbagliato è il seguente: «Fede adulta negli ultimi decenni è diventata uno
slogan diffuso. Lo
s'intende spesso nel senso dell'atteggiamento di chi non dà più ascolto alla
Chiesa e ai suoi Pastori,
ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede fai da
te, quindi» (corsivi
di Benedetto XVI).
Come una pubblicità di qualche anno addietro ironizzava
sui turisti fai da te che finivano
inevitabilmente nei guai, così il papa descrive quei credenti che per la loro
visione del mondo
scelgono di vagliare autonomamente quanto ospitare, o non ospitare, nella mente.
La critica papale
diviene a sua volta ironica ("battuta impagabile", commenta un editoriale di
Avvenire) col dire che
tale discernimento autonomo «lo si presenta come coraggio di esprimersi contro
il Magistero della
Chiesa, mentre in realtà non ci vuole per questo del coraggio, perché si può
sempre essere sicuri del
pubblico applauso» (corsivo di Benedetto XVI). Qual è invece per il papa il modo
giusto di vivere
una fede adulta? Lo si ricava facilmente volgendo al contrario le sue critiche:
non scegliere
autonomamente quanto ospitare nella propria mente, ma ascoltare la Chiesa e i
suoi Pastori, laddove
il verbo ascoltare va inteso nel senso forte di obbedire. La maturità
della fede si misura quindi sul
livello di obbedienza alla gerarchia ecclesiastica. Il che vale anche per il
coraggio, per nulla
necessario quando si tratta di criticare la Chiesa (perché anzi si ricevono gli
applausi del mondo) ma
indispensabile nel caso contrario: «Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla
fede della Chiesa,
anche se questa contraddice lo schema del mondo contemporaneo». In sintesi il
perfetto cattolico
per Benedetto XVI è chi vive la fede come obbedienza a quanto stabilito dalla
gerarchia
ecclesiastica, senza temere di contrastare il mondo e i suoi falsi applausi.
Ma perché il papa insiste così tanto sull'obbedienza alla
Chiesa? Non certo perché vuole trasformare
i cattolici in un esercito di soldatini senza razionalità, ma perché è convinto
che solo aderendo in
toto alla dottrina della Chiesa si aderisce alla pienezza della verità e
della razionalità. La ragione
infatti gioca da sempre un ruolo essenziale nella teologia di Ratzinger: «La
fede cristiana è oggi
come ieri l'opzione per la priorità della ragione e del razionale», scriveva da
cardinale, aggiungendo
che «con la sua opzione a favore del primato della ragione, il cristianesimo
resta ancora oggi
razionalità». Nel celebre discorso di Ratisbona del settembre 2006 il termine
ragione coi suoi
derivati ricorre per ben 43 volte. A questo punto appaiono chiari i due pilastri
su cui si regge
l'impostazione papale: da un lato l'autorità della Chiesa, dall'altro
l'autorità della ragione. Lo
specifico dell'architettura ratzingeriana sta nel mostrare che in realtà i due
pilastri sono uno solo,
perché tra la dottrina della Chiesa e la razionalità c'è, per il papa,
perfetta identità. Per questo egli
sostiene che il cristiano veramente adulto è colui che obbedisce alla Chiesa e
ai suoi Pastori senza
vagliare autonomamente i contenuti da credere, e con questa obbedienza compie
perfettamente
l'esigenza di razionalità intrinseca in ogni uomo giungendo alla pienezza della
verità. L'equazione è
cristallina: «Dottrina ecclesiastica = razionalità = verità».
Ma è proprio così? Io temo di no. Senza entrare in complesse
argomentazioni teoretiche che ci
condurrebbero alla teologia apofatica, è sufficiente un'occhiata alla storia per
rendersi conto che non
è sempre così e che qualche volta la Chiesa con la sua dottrina stava da una
parte e la verità e la
razionalità dall'altra. Tralascio lo scontato riferimento alle verità
scientifiche e faccio riferimento
alla libertà religiosa, oggi tanto spesso difesa dal papa ma fino al Vaticano II
osteggiata dal
magistero cattolico. Benedetto XVI sa benissimo che se oggi lui sostiene la
libertà religiosa in tutte
le sedi istituzionali del pianeta lo deve anche a un cattolico adulto quale
Felicité de Lamennais che
la promosse senza temere di contraddire il magistero della Chiesa del tempo. E
quindi chi era più
vicino alla verità, Lamennais, cattolico dalla fede adulta non sempre allineato
alla Chiesa e ai suoi
Pastori, oppure papa Gregorio XVI che per la difesa della libertà religiosa lo
scomunicò? Lo stesso
vale per una materia ancora più importante per il cristianesimo, cioè la Bibbia.
Benedetto XVI sa
benissimo che se oggi la Chiesa cattolica promuove intensamente la lettura della
Bibbia lo deve
prima ai protestanti e poi ai quei cattolici adulti non sempre allineati (un
esempio tra tutti, Pasquier
Quesnel) che nel passato lottarono contro il magistero che ai laici ne proibiva
la lettura. E quindi,
chi era più vicino alla verità, Quesnel, cattolico dalla fede adulta non sempre
allineato alla Chiesa e
ai suoi Pastori, oppure papa Clemente XI che per la promozione della lettura
della Bibbia lo
condannò? È impossibile negare che oggi di fatto la Chiesa insegna alcune
idee promosse da
cattolici adulti del passato, oggetto, quando le manifestarono, di esplicite
condanne ecclesiastiche.
Una significativa controprova è rappresentata dai lefebvriani, perfetta
fotografia di come sarebbe
oggi la Chiesa cattolica se non avesse dato ascolto a quei cattolici dalla fede
adulta grazie ai quali si
è attuato il rinnovamento conciliare. Nella ricerca della verità e della
giustizia non bisogna mai
interrompere l'ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, senza cercare
l'applauso del mondo, ma
neppure senza temere le condanne della gerarchia.
Vito Mancuso, teologo la Repubblica 6 luglio 2009