Il catalogo dei reati etnici
Per conservare udienza (o meglio: audience), non più solo i politici ma anche
gli studiosi ormai rischiano di assoggettarsi al "clamore" della cronaca.
Così l´inchiesta sul cosiddetto "stupro di San Valentino" nel parco romano della
Caffarella ha scatenato un uso capzioso, falsamente oggettivato, della scienza
statistica. Lo scopo? Catalogare la criminalità in base alla sua matrice
etnica, nazionale o religiosa nell´Italia descritta grossolanamente come la
Mecca del crimine. Lo so bene: chi denuncia la divulgazione strumentale
di queste ricerche viene subito accusato di negare l´evidenza al solo scopo di
difendere la nefasta ideologia "buonista". O peggio viene tacitato come complice
degli stupratori, ottuso al punto di ignorare la sofferenza patita dalle loro
vittime innocenti. Eppure bisogna pur dirlo, che si sta passando il limite.
In questa elaborazione di dati "politicamente scorretti" - e dunque di gran moda
- consegue un notevole successo il professor Luca Ricolfi, che su La Stampa non
si stanca mai di ribadire la propria assoluta neutralità di studioso. Da
sociologo dotato di competenza tecnica, Ricolfi ha elaborato le percentuali
delle violenze sessuali denunciate nel 2007. Per trarne la seguente conclusione:
i romeni immigrati hanno una «propensione allo stupro circa 17 volte più alta di
quella degli italiani». Un divario, per giunta, in crescita. Sempre i romeni
risultano a Ricolfi «2 volte più pericolosi degli altri stranieri» quanto a
rapine, «3-4 volte più pericolosi nei furti», mentre sono «leggermente meno
pericolosi» nel tentato omicidio e nelle lesioni dolose.
Non ho motivo di dubitare dell´esattezza di tali calcoli aritmetici. Semmai fa
sorridere che in altri interventi lo stesso (neutrale) Ricolfi raccomandi di
evitare l´allarmismo e l´invenzione di emergenze. Ma se questa ha da essere
l´ispirazione, mi chiedo se l´autore non dovrebbe in futuro dedicarsi a portare
fino in fondo le conseguenze di tale metodologia applicata nella comunicazione
pubblica.
Non siamo forse interessati ad altre scoperte? Per esempio: pubblicare tutte le
liste di propensione reato per reato, magari distinguendo il grado di
pericolosità su basi di reddito e mestiere, oltre che di nazionalità? Altri
magari gradirebbero che s´introduca pure un censimento degli italiani pericolosi
regione per regione: perché no? S´annidano più stupratori potenziali in Calabria
o in Trentino Alto Adige? In città o in campagna?
Onde evitare poi spiacevoli discriminazioni, sarà il caso di mettere in guardia
l´opinione pubblica riguardo alle illegalità cui sono più dediti gli stessi
professori universitari e i giornalisti: suppongo non ne manchino.
Naturalmente il sociologo che elabora con cura le sue statistiche (peccato che
la grande maggioranza degli stupri non vengano denunciati, inficiando la
validità di quelle cifre suggestive) si dichiara estraneo all´uso distorto che
ne fanno i mass media; cui peraltro ha strizzato l´occhio sostenendo che «l´Italia
è diventata la Mecca del crimine». Definizione, quest´ultima, non proprio
scientifica e peraltro contraddetta dai dati del Viminale. Ma che importa?
Giungeranno comunque applausi scroscianti, e pazienza se fra gli estimatori c´è
chi lucra politicamente e finanziariamente dalla diffusione di falsità
grossolane.
Ormai il senso comune è plasmato dalla disinformazione. Molti cittadini
in buona fede sono convinti che nel nostro paese la più parte degli stupri siano
commessi da immigrati stranieri. In tv passa frequentemente la falsa notizia che
gli stranieri costituirebbero l´80% della popolazione carceraria. Nel novembre
2007, dopo l´omicidio della signora Reggiani a Tor di Quinto, circolò sui
giornali la notizia che fossero di nazionalità romena addirittura il 75% delle
persone arrestate nella capitale dall´inizio dell´anno. Marzio Barbagli la
definì «un´ondata di panico morale».
Con la scusa di controbattere un´inesistente rimozione (figuriamoci!) del
pericolo rappresentato dalla criminalità straniera, quell´ondata di panico
morale si è cronicizzata sotto forma di isteria collettiva. Fino a condizionare
la serenità delle indagini di polizia, oltre che le scelte del governo.
Legittimando l´emotività della folla, o peggio mettendosi al servizio
della politica, già in passato la scienza si ritrovò a giustificare pregiudizi e
a certificare la necessità di discriminazioni. Magari senza
accorgersene. Vi furono sociologi che, esibendo cifre all´apparenza
inoppugnabili, additarono la "sproporzione" con cui talune categorie occupavano
posti di potere e altri delinquevano in eccesso. Siamo sicuri che tale pericolo
non si ripresenti?
Nessuno chiede di sottacere i problemi, né di censurare la ricerca sulla
devianza. Ma la propaganda degli indici di pericolosità etnici, nazionali
o religiosi è robaccia contro cui le società più evolute della nostra hanno già
da tempo preso delle contromisure. Le persone responsabili hanno il dovere di
non rifugiarsi dietro alla falsa neutralità delle cifre, oltretutto elaborate
con criteri parziali e soggette a deformazione.
Gad Lerner Repubblica 7.3.09