Il caso Eluana nel
paese della doppia obbedienza
In modo probabilmente inconsapevole, ma certamente per lui doloroso, Beppino
Englaro sta portando alla luce giorno dopo giorno alcuni nodi irrisolti dello
Stato moderno di cui siamo cittadini, e a cui guardiamo o dovremmo
guardare come all´unico titolare della sovranità. Questo accade,
come ricorda Roberto Saviano, perché il padre di Eluana cerca una soluzione alla
sua tragedia familiare in forma pubblica, quasi pedagogica proprio perché la
rende universale, sotto gli occhi dell´intero Paese, costretto per la prima
volta a interrogarsi collettivamente sulla vita e sulla morte, a partire dalla
pietà per un individuo. A parte la meschinità di chi cerca un lucro
politico a breve da questo dramma personale e nazionale, trasformando in
frettolosa circolare di governo le richieste della Chiesa contro una sentenza
repubblicana, e a parte i ritardi afasici di chi dall´altra parte si attarda
invece a parlare di Villari, quello che stiamo vivendo e soffrendo è
un momento alto della discussione civile e morale del Paese. A patto di
intendersi.
Fa parte senz´altro della discussione pubblica, che deve interessare tutti,
l´intervento del Cardinale Poletto. È vescovo di Torino, la città dove la
presidente della Regione, Mercedes Bresso, si è detta pronta ad ospitare Eluana
e la sua famiglia per quell´ultimo atto che lo Stato ha riconosciuto legittimo
con una sentenza definitiva, e che il governo vuole evitare con ogni mezzo.
Mentre altri cattolici hanno sostenuto che "la morte ha trovato casa a Torino"
il Cardinale non ha usato questi toni, ma ha detto che condanna l´eutanasia,
anche se si sente vicino al padre di Eluana, prega per lui e non giudica. Vorrei
però discutere pubblicamente, se è possibile, il significato più profondo e la
portata di due affermazioni del Cardinale.
La prima è l´invito all´obiezione di coscienza dei medici, che per Poletto
devono rifiutarsi in Piemonte di sospendere l´alimentazione forzata ad Eluana,
entrando in contrasto con la richiesta della famiglia e con la sentenza che la
legittima. Non c´è alcun dubbio che la coscienza individuale può ribellarsi a
questo esito, e il medico credente o no può vivere un profondo travaglio tra il
suo ruolo pubblico in un ospedale statale al servizio dei cittadini e delle loro
richieste, il suo dovere professionale che lo mette al servizio dei malati e
delle loro sofferenze, e appunto i suoi convincimenti morali più autentici.
Questo travaglio può portare a decisioni estreme assolutamente comprensibili e
rispettabili, come quella di obiettare al proprio ruolo pubblico e al proprio
compito professionale perché appunto la coscienza non lo permette, costi quel
che costi: e in alcuni casi, come ha ricordato qui ieri Adriano Sofri, il costo
di questa opposizione di coscienza è stato altissimo.
Mi pare
appunto in coscienza molto diverso il caso in cui i credenti medici
vengono sollecitati collettivamente da un Cardinale (quasi come un´unica
categoria professionale e confessionale da muovere sindacalmente) a mobilitarsi
nello stesso momento e ovunque per mandare a vuoto una sentenza dello Stato,
indipendentemente dalla riflessione morale e razionale di ognuno, dai tempi e
dai modi con cui liberamente ciascuno può risolverla, dalle diverse sensibilità
per la pietà e per la carità cristiana, pur dentro una fede comune. Qui
non si può parlare, se si è onesti, di obiezione di coscienza: semmai di
obbligazione di appartenenza, perché l´identità cattolica di quei medici diventa
leva e strumento collettivo su cui puntare con impulso gerarchico per vanificare
una pronuncia della Repubblica.
Questo è possibile perché il Cardinale spiega con chiarezza la concezione della
doppia obbedienza, e la gerarchia che ne consegue. Lo Stato moderno e
laico, libero "dalla" Chiesa mentre la garantisce libera "nello" Stato, applica
la distinzione fondamentale tra la legge del Creatore e la legge delle creature.
Poletto sostiene invece che poiché la legge di Dio non può mai essere contro
l´uomo, andare contro la legge di Dio significa andare contro l´uomo: dunque se
le due leggi entrano in contrasto "è perché la legge dell´uomo non è una buona
legge", ed il cattolico può trasgredirla. La legge di Dio è superiore alla legge
dell´uomo.
Su questa dichiarazione vale la pena riflettere, per le conseguenze che
necessariamente comporta. È la concezione annunciata pochi anni fa dal
Cardinal Ruini, secondo cui il cattolicesimo è una sorta di seconda natura degli
italiani, dunque le leggi che contrastano con i principi cattolici sono
automaticamente contronatura, e come tali non solo possono, ma meritano di
essere disobbedite. Da questa idea discende la teorizzazione del
nuovo cattolicesimo italiano di questi anni: la precettistica morale della
Chiesa e la sua dottrina sociale coincidono con il diritto naturale, dunque la
legge statale deve basare la sua forza sulla coincidenza con questa morale
cattolica e naturale, trasformando così il cattolicesimo da religione delle
persone in religione civile, dando vita ad una sorta di vera e propria idea
politica della religione cristiana.
Ma se la
legge di Dio è superiore alla legge dell´uomo, se nella doppia obbedienza che
ritorna la Chiesa prevale sullo Stato anche nell´applicazione delle leggi e
delle sentenze, nascono due domande: che cittadino è il cattolico osservante, se
vive nella possibilità che gli venga chiesto dalla gerarchia di trasgredire,
obiettare, disubbidire? E che concezione ha la Chiesa italiana, con i suoi
vescovi e Cardinali, della democrazia e dello Stato? Qualcuno dovrà pur
ricordare che nella separazione tra Stato e Chiesa, dopo l´unione pagana delle
funzioni del sacerdote col magistrato civile, la religione non fa parte dello "jus
publicum", la legge umana non fa parte di quella divina con la Chiesa che la
amministra, le istituzioni pubbliche e i loro atti sono autonomi dalle cattedre
dei vescovi e dal magistero confessionale.
Il cittadino medico a cui si ordina di agire in nome di una terza identità
suprema, quella di cattolico, non obietta in nome della sua coscienza, ma
obbedisce ad un´autorità che si contrappone allo Stato, e chiede un´obbedienza
superiore, definitiva, totale alla Verità maiuscola, fuori dalla quale tutto è
relativismo. Solo che in democrazia ogni verità è relativa, anche le fedi
e i valori sono relativi a chi li professa e nessuno può imporli agli altri.
Perché non esiste una riserva superiore di Verità esterna al libero gioco
democratico, il quale naturalmente deve garantire la piena libertà per ogni
religione di pronunciarsi su qualsiasi materia, anche di competenza dello Stato,
per ribadire la sua dottrina. Sapendo che così la Chiesa parla alla coscienza
dei credenti e di chi le riconosce un´autorità morale, ma la decisione politica
concreta nelle sue scelte spetta all´autonoma decisione dei laici credenti e non
credenti sotto la loro responsabilità: che è la parola della moderna e
consapevole democrazia, con cui Barack Obama ha siglato l´avvio della sua
presidenza.
Dunque non esiste una forma di "obbligazione religiosa" a fondamento delle
leggi di un libero Stato democratico, nel quale anzi nessun soggetto può
pretendere " di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere di
possederla". Ne dovrebbe discendere finalmente una parità morale nella
discussione pubblica, negando il moderno pregiudizio per cui la democrazia, lo
Stato moderno e la cultura civica che ne derivano sono carenti senza il legame
con l´eternità del pensiero cristiano, sono insufficienti nel fondamento. È da
questo pregiudizio che nasce la violenza del linguaggio della nuova destra
cattolica contro chi richiama la legge dello Stato, le sentenze dei tribunali,
le norme repubblicane. Come se per i laici la vita non fosse un valore, e
praticassero la cultura della morte. Come se il concetto di libertà per una
famiglia dilaniata, di fraternità per un padre davanti ad una prova suprema, di
condivisione per il suo dolore che non è immaginabile, non contassero nulla.
Come se la coscienza italiana fosse solo cattolica. Infine, come se la
coscienza cattolica, in democrazia, fosse incapace di finire in minoranza
davanti allo Stato.
Ezio Mauro Repubblica 24.1.09