Il Caimano si prepara per l’ultima spallata
A ME sembra che Silvio Berlusconi sia sottovalutato dai suoi avversari e
mal compreso nella logica con la quale persegue i suoi obiettivi.
Vengono messi in risalto i suoi errori, le sue gaffe il suo parlarsi addosso e
li si attribuiscono ad un prevalere della sua pancia (per dire dei suoi istinti)
su una debole razionalità.
Ebbene non è così. Lo conosco da trent´anni e nei primi dieci ho avuto con lui
una frequentazione intensa e alquanto agitata. Non era ancora un uomo politico
ma alla politica era già intimamente legato; sia la fase dell´immobiliarista sia
quella successiva dell´impresario televisivo erano intrecciate e condizionate
dai suoi rapporti politici. Imparò presto a muoversi come un pesce nell´acqua.
Poi l´esperienza politica diretta ha perfezionato un innato talento.
Perciò – lo ripeto – non è affatto uno sprovveduto in preda ad istinti
irragionevoli, salvo quelli sessisti. In quel campo gli istinti lo
dominano e l´hanno spinto a commettere errori inauditi; ma in tutto il resto no.
Conosce il suo carattere e lo usa. Conosce la sua tendenza alla
megalomania e all´egolatria e la usa. Usa perfino le sue gaffe.
L´insieme di queste movenze costituiscono una miscela formidabile di populismo,
demagogismo, culto della personalità. In altri Paesi un decimo se non
addirittura un centesimo di ciò che dice e che fa avrebbero provocato la sua
messa fuori gioco. In altri Paesi il suo mostruoso conflitto di interessi
avrebbe impedito il suo ingresso nell´agone politico; non esiste infatti in
nessun Paese del mondo un capo di governo proprietario di metà del sistema
mediatico e contemporaneamente possessore dell´altra metà.
Ma in Italia questo è possibile. Attenti però: non è un incidente di
percorso. La vocazione degli italiani ad innamorarsi di personaggi come
Berlusconi fa parte della storia patria. Per fortuna non è la sola vocazione;
convive con caratteristiche differenti e anche opposte. Ma quell´innamoramento
verso il demagogo è una costante che spesso è diventata dominante e alla fine ha
precipitato il Paese nel peggio. Non è ancora avvenuto, ma siamo già
abbastanza avanti nella strada che può portarci ad una catastrofe.
* * *
Da questo punto di vista le due sentenze emesse nei giorni scorsi
rispettivamente dal Tribunale di Milano sul lodo Mondadori e dalla Corte
costituzionale sulla legge Alfano hanno prodotto un´accelerazione che Berlusconi
considera provvidenziale per l´attuazione dei suoi piani. L´ira iniziale che
l´ha invaso – che viene dalla sua pancia – è stata rapidamente razionalizzata.
L´attacco contro la Corte, contro la magistratura, contro il Csm, contro il
Presidente della Repubblica, è proseguito a mente fredda. Non è più ira, è
strategia pensata e messa in atto, la spallata finale che dovrà portare
l´Italia istituzionale e costituzionale a cambiare volto radicalmente: da
repubblica parlamentare a repubblica autoritaria dove tutti gli organi di
garanzia siano cancellati o ridotti ad esanimi fantasmi e dove conti soltanto il
plebiscito popolare incitato dagli appelli continui alle pulsioni populiste che
covano nella pancia di molti.
Questo spiega l´allarme esploso nell´opinione pubblica internazionale.
Lo stupore e anche lo sberleffo che nei mesi scorsi si è manifestato sui
giornali di tutto l´Occidente al di qua e al di là dell´Atlantico è diventato
negli ultimi quattro giorni una preoccupazione generale e l´Italia è
diventata il malato di una malattia infettiva.
In altre circostanze questa reazione avrebbe indotto ad un sussulto di prudenza,
ma sta invece accadendo l´opposto; il populismo contiene infatti
un´abbondante dose di vittimismo che lo rafforza e lo indirizza verso forme di
autarchia psicologica delle quali la Lega è da tempo il più esplicito
rappresentante e che trovano nel berlusconismo un importante amplificatore.
Le due sentenze sono impeccabili dal punto di vista tecnico – giuridico.
Quella del Tribunale civile di Milano non fa che confermare quanto contenuto
nella sentenza di condanna di Cesare Previti per corruzione di magistrati e di
Berlusconi per la stessa ragione con il reato però caduto in prescrizione. Agli
effetti penali ma non civili. La quantificazione del danno è secondaria.
La sentenza della Corte che definisce incostituzionale la legge Alfano ha come
caposaldo l´articolo 3 della Costituzione che stabilisce la parità dei cittadini
di fronte alla legge. Questo è il punto di fondo; l´altro elemento invalidante,
e cioè la necessità di procedere con legge costituzionale anziché con legge
ordinaria, è secondario perché deriva necessariamente dal primo elemento. Chi
accusa la Corte di incoerenza sostiene una tesi priva di senso; anche nella
sentenza del 2004 sul cosiddetto lodo Schifani la Corte aveva infatti eccepito
la violazione dell´articolo 3. E quindi, se l´articolo 3 risulta violato fin dal
2004, ne segue ineccepibilmente che per ristabilire l´equilibrio costituzionale
bisogna procedere con legge costituzionale e non con legge ordinaria. Dov´è
l´incoerenza? La legge Alfano aveva ripristinato l´adempimento all´articolo 3 o
il suo emendamento? No. È quindi perfettamente coerente che, di fronte ad un
nuovo ricorso, la Corte lo giudicasse ammissibile. Gli avvocati del premier che
proclamano l´incoerenza mentono sapendo di mentire. E i media che non
chiariscono un punto così fondamentale ai loro ascoltatori e lettori, sorvolano
anzi tacciono del tutto su un punto di capitale importanza e danno adito ad una
macroscopica disinformazione.
* * *
A questo proposito viene acconcio citare l´articolo uscito ieri sul «Corriere
della Sera» e firmato dal suo direttore.
L´ho letto e ne sono rimasto colpito e profondamente rattristato. Sono amico di
Ferruccio De Bortoli anche se spesso in questi ultimi mesi ho dissentito dalla
sua linea giornalistica. Ma in casa propria ciascuno decide liberamente a quale
lampione e con quale corda impiccarsi.
L´articolo di ieri va però assai al di là del prevedibile.
Poiché Berlusconi il giorno prima aveva rimproverato il «Corriere della Sera»
d´essere diventato di sinistra, il direttore di quel giornale manifesta il suo
stupore e il suo dolore. Cita tutti gli articoli recenti da lui pubblicati che
hanno sostenuto il governo e le sue ragioni; rivendica di non aver mai
partecipato a campagne di stampa faziose, condotte da gruppi editoriali che
vogliono pregiudizialmente mettere il governo in difficoltà con argomenti
risibili; ricorda di aver approvato la politica economica e sociale del governo,
la sua efficienza operativa, la sua politica estera; ammette di averlo criticato
solo quando è stato troppo duro con la Corte costituzionale e con il Capo dello
Stato; auspica una tregua generale tra le istituzioni; riconosce al presidente
del Consiglio l´attenuante di essere perseguitato in modo inconsueto dalla
magistratura. Infine ribadisce la natura liberale che storicamente il giornale
da lui diretto ha sempre seguito e nello stesso numero pubblica un´intervista a
piena pagina con Marina Berlusconi, con splendida foto nella quale la figlia del
leader rivaleggia con una Ava Gardner bionda anziché mora, che in quel contesto
assume inevitabilmente una funzione riparatoria per qualche birichinata di
troppo.
Mi procura sincero dolore un giornale liberale ridotto a pietire un
riconoscimento al merito dal peggior governo degli ultimi centocinquanta anni di
storia patria, Mussolini escluso. E ridotto ad attaccare noi di
«Repubblica», faziosi e farabutti per definizione, per marcare la propria
differenza.
Noi siamo liberali, caro Ferruccio. Liberali veri. Non abbiamo pregiudizi, ma
vediamo sintomi ed effetti d´una deriva che minaccia le sorti del Paese.
Vediamo anche la totale inefficienza di questo governo che non ha attuata
nessuna delle promesse e degli impegni assunti con il suo elettorato salvo
quelli che recano giovamento personale al premier e ai suoi accoliti.
Voglio qui ricordare un non dimenticabile articolo di Barbara Spinelli
pubblicato dalla «Stampa» di qualche settimana fa, che forse De Bortoli non ha
letto. Mi permetto di consigliargliene la lettura. I giornali ricevono molte
querele e molte citazioni per danni, ricordava la Spinelli. Fa parte della
rischiosa professione giornalistica e degli errori che talvolta vengono
compiuti.
Ma quando è il potere politico e addirittura il capo del governo a tradurli in
giudizio perché hanno osato porgli domande scomode, quando questo avviene – ha
scritto la Spinelli – i giornali che sono in fisiologica concorrenza tra loro
fanno blocco comune e quelle stesse domande le pongono essi stessi, le fanno
proprie per togliere ogni alibi ad un potere che dà prova di non sopportare il
controllo della pubblica opinione. La stampa italiana – concludeva – non
ha fatto questo, mancando così ad uno dei suoi doveri.
Si può non esser d´accordo con il codice morale e deontologico della Spinelli
(peraltro seguito da tutta la stampa occidentale) e non mettere in pratica le
sue esortazioni. Ma addirittura accusare noi d´una nefasta faziosità
rivendicando a proprio favore titoli di merito verso il governo, questo è un
doppio salto mortale che da te e dal tuo giornale francamente non mi aspettavo.
A tal punto è dunque arrivato il potere di intimidazione che il governo esercita
sulla libera stampa?
Ricordo, a titolo di rievocazione storica, che Luigi Albertini incoraggiò il
movimento fascista dal 1919 al 1922; gli assegnava il compito di mettere ordine
nel Paese purché, dopo averlo adempiuto, se ne ritornasse a casa con un
benservito. Ma nel 1923 Mussolini abolì la libertà di stampa e instaurò il
regime a partito unico, le cui premesse c´erano tutte fin dal sorgere del
movimento fascista. A quel punto Albertini capì e cominciò una campagna
d´opposizione senza sconti, tra le più robuste dell´epoca. Purtroppo
perfettamente inutile perché il peggio era già accaduto, il regime dittatoriale
era ormai solidamente insediato e l´ex direttore del «Corriere della Sera» se ne
andò a consolarsi a Torrimpietra.
Ad Indro Montanelli è accaduto altrettanto, ma lui almeno se n´è accorto prima.
Difese per vent´anni dalle colonne del «Giornale» le ragioni del Berlusconi
imprenditore d´assalto. Si accorse nel 1994 di quale pasta fosse fatto il suo
editore e lo lasciò con una drammatica rottura. Ma era tardi anche per lui. Se
c´è un aldilà, la sua pena sarà quella di vedere Vittorio Feltri alla guida del
giornale da lui fondato. Al «Corriere della Sera» quest´esperienza d´un
giornalista di razza al quale dedicano un santino al giorno dovrebbero farla
propria per capire qual è il gusto e il valore della libertà liberale.
Eugenio Scalfari Repubblica 11.10.09