BENEDETTO XVI:
«Stile» e dottrina
Non è
facile, a otto mesi dalla elezione, comprendere quali saranno le linee portanti
del pontificato di Benedetto XVI. Non è facile prima di tutto per il costante
rinvio alla persona e alle idee di Giovanni Paolo II che si accompagna a uno
«stile» ben diverso: più riservato, meno «popolare», più «discreto», forse più
«aristocratico». Quanto alla dottrina vera e propria, gli interventi del papa
sono ancora pochi, per cui è inevitabile risalire a quelli da cardinale,
tenendo, comunque, presente, la possibilità che il pontefice non si ripeta ma si
modifichi o si corregga. I primi interventi da papa, comunque, sembrano in linea
con quelli precedenti. Penso, fra gli altri, ai discorsi di questa estate a
Colonia e soprattutto alla lettera al presidente del senato Pera. Comunque
qualche riflessione sulla «dottrina Ratzinger» è possibile: qualche sua
sottolineatura e soprattutto qualche sua preoccupazione. Sembra essenziale per
il nuovo papa il rapporto fra ragione e fede: un rapporto certamente non nuovo
nella dottrina cattolica, ma che Ratzinger sembra voler sottolineare in ogni
occasione, traendone le conseguenze più attuali e significative. La fede,
dunque, è assolutamente ragionevole, e la ragione se bene usata, non è
assolutamente contraria alla fede, anzi le si avvicina. Un insegnamento
classico, tipico della «scolastica», dal medioevo a oggi. Auspice Tommaso d'Aquino.
Una dottrina contraddetta solo - si fa per dire - da buona parte del
protestantesimo e dai moderni seguaci di un certo esistenzialismo anche
cattolico.
Ratzinger è attento a sottolineare e la razionalità
della fede e il ruolo della «retta» ragione. Questo rapporto, se bene inteso,
gli permette di sottolineare l'importanza della fede (cattolica) - la sua
funzionalità - in aiuto della difficoltà della società tutta, e non solo dei
cattolici. Un'insistenza che gli permette di guardare lontano: la razionalità
della fede vale per tutto il mondo, anche per i più lontani da Roma. Li può
avvicinare forse anche più dei viaggi wojtyliani che Benedetto XVI sembra voler
ridimensionare.
La sottolineatura dello stretto rapporto fra ragione
e fede comporta un altro vantaggio, al quale papa Benedetto sembra essere
particolarmente sensibile. La ragione è oggi spesso in crisi e il rapporto
positivo con la fede la può rafforzare: non a caso si stanno avvicinando a Roma
- anche se non alla sua fede - molti non credenti in crisi e in cerca di
sostegni, da Oriana Fallaci a Pera. Un sostegno insperato, anche se ambiguo. Fra
ragione e fede una sorta di alleanza reciproca, quasi che da sole non fossero
autosufficienti.
Lo stretto rapporto fra ragione e fede aiuta a
spiegare anche la decisa opposizione di Ratzinger contro il relativismo. Sarebbe
questo il grande avversario, come l'ateismo lo è stato per i pontificati
immediatamente precedenti. Il relativismo nemico della ragione e della fede. Il
demonio del secolo che si apre. Contro il quale combattono - e vincono - sia i
cattolici sia i neoconservatori di tutte le religioni. Insieme.
Ipotetici vantaggi, dunque. Ma la posizione di
Ratzinger non è priva di rischi che non è difficile individuare e prevedere.
Prima di tutto l'allontanamento dalla cultura moderna e contemporanea. Una
cultura dalle molte facce e anche incertezze, ma certamente lontana da tutti gli
assolutismi e tutte le sicurezze. Lontana da quella verità che si sorregge - si
sorreggeva - sui pilastri di una ragione che portava verso la fede e di una fede
ancorata alla ragione. La verità di oggi è in cammino, in ricerca. E' una via
più che una stazione. Abita il relativo più che l'assoluto. Tanto più che gli
assolutismi si sono tutti, più o meno, rivolti contro l'uomo, soprattutto se
debole e povero. E contro il dialogo. Anche per questo motivo il favore che
Ratzinger riserva all'assoluto non sembra vicino alla speranza dell'uomo
contemporaneo.
Né sarà facile il cammino dell'ecumenismo,
soprattutto nei confronti del protestantesimo. Se ne è avuto un segnale nella
reazione protestante al ricorso di Ratzinger alla dottrina delle indulgenze,
antica profonda frattura fra protestanti e cattolici. Forse più che un segnale.
Speriamo che una Roma più «aristocratica» non faccia da freno alle spinte
ecumeniche sempre più necessarie fra le chiese cristiane e fra le varie
religioni del mondo.
FILIPPO GENTILONI il manifesto 21/12/05