Il bene di vivere e il diritto di morire


Quando Emanuele Severino e Umberto Galimberti segnalarono l'irruzione della tecnica nel mondo
dell'etica sembrò ai più che la questione avesse un contenuto esclusivamente filosofico e quindi
astratto e di scarsa importanza pratica.
Se ne erano del resto già occupati scrittori e filosofi americani e, in Europa, tedeschi, inglesi,
francesi, spagnoli, greci. Era insomma una questione posta dall'attualità e dall'evidenza: la tecnica,
la "tecné", aveva conquistato una vera e propria egemonia che incideva nel mondo dei
comportamenti sociali, determinava lo sviluppo dell'economia, accresceva ma al tempo stesso
vulnerava i territori della libertà.
Le reazioni più preoccupate da quell'egemonia provennero dal campo religioso, sia di parte cristiana
sia di parte islamica sia dalle numerose credenze asiatiche: le religioni denunciavano lo squilibrio
tra il progresso tecnico e quello morale e vedevano la propria autorità sempre più insidiata dai
progressi delle scienze che non ammettevano limiti alla ricerca né si preoccupavano che i risultati di
volta in volta raggiunti fossero compatibili con le verità rivelate delle quali le religioni ritenevano di
avere esclusiva rappresentanza.
La discussione investì tutte le culture e divenne tanto più intensa quanto più si avvicinava alla fine
del secolo e del millennio, con l'inevitabile carica apocalittica che i grandi eventi portano con loro.
Sul bordo del XXI secolo e del terzo millennio dell'era cristiana il tema era ormai chiaro in tutta la
sua importanza. Non si trattava più soltanto dell'egemonia ma addirittura dell'avvenuto
capovolgimento di dipendenza tra l'uomo e gli strumenti da lui creati: non erano più al suo servizio
quegli strumenti, ma era l'uomo al servizio della "tecné", diventata ormai un'ideologia possessiva
alla quale l'intero genere umano si era piegato e asservito. Siamo ormai tutti "tecno-dipendenti" in
ogni atto e momento della nostra vita e tutti in un modo o in un altro lavoriamo per accumulare
nuovi saperi che accrescono il potere della tecnica a detrimento della nostra libertà.
* * *
Ricordo queste vicende perché da allora, nei pochi anni trascorsi, il tema non è più soltanto
filosofico, religioso, scientifico, ma ha fatto irruzione anche nella politica. Come ha rilevato Aldo
Schiavone pochi giorni fa su questo giornale, ha messo in discussione due momenti topici
dell'esistenza di ciascun essere umano: il momento della nascita e quello della morte, la nostra
entrata e la nostra uscita dal mondo.
I due eventi che dominano la nostra intera vita, l'alfa e l'omega delle nostre esistenze individuali,
erano fino a poco fa al di fuori del nostro controllo. Ma ora non è più così poiché la tecnica se ne è
impadronita: ha creato strumenti che consentono di determinare la nascita non solo secondo natura
ma anche in laboratorio ed ha prolungato la vita anche oltre i limiti posti dalla natura.
Le religioni – e quella cattolica in particolare – hanno assunto un atteggiamento dogmatico e
ideologico sul tema della vita, trasformandolo in una vera e propria ideologia. Per quanto riguarda
la nascita la Chiesa ha rigorosamente vietato la contraccezione respingendo ogni strumento tecnico
che potesse limitare le nascite; sul tema della morte al contrario la Chiesa difende il ricorso agli
strumenti che la tecnica è in grado di fornire per prolungare artificialmente una pseudo-vita al di là
dei limiti segnati dalla natura.
Questo duplice e contraddittorio atteggiamento che vieta la tecnica limitatrice di nascite non volute
e invoca invece la tecnica capace di mantenere una vita artificiale, ha ideologizzato la discussione
facendo irruzione nella politica, nei governi, nei parlamenti. Si è arrivati al punto di far votare dagli
elettori e dai loro rappresentanti parlamentari questioni di estrema privatezza, con tutte le torsioni
politiche ed etiche che queste intrusioni comportano nelle coscienze e nella libertà individuale. La
privatezza della morte è diventata argomento pubblico non solo come indirizzo generale ma perfino
nei casi specifici di questo e di quello. Di conseguenza, mettendo in discussione alcuni diritti
fondamentali degli individui, anche la magistratura è stata chiamata in campo.
La discussione sui principi si è incattivita e imbarbarita. Attorno alle camere di rianimazione si
svolgono polemiche interminabili; le Corti di giustizia emettono verdetti contrapposti e sentenze
inaccettate. Nel caso attualmente aperto di Eluana Englaro le Camere sollevano addirittura conflitti
di competenza tra potere legislativo e potere giudiziario. La Corte costituzionale è ora chiamata a
sciogliere una questione a dir poco imponderabile, al solo dichiarato intento da parte della
maggioranza di centrodestra di guadagnare qualche settimana o mese di tempo lasciando l'esistenza
di una persona tecnicamente già morta da 16 anni, agganciata ad un tubo che le somministra
sostanze capaci di ossigenarle il sangue, come si trattasse d'una pianta e non di una vita umana.
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La vita e la morte sono argomenti non decidibili o almeno così dovrebbe essere. Esperienze che
segnano il carattere e la coscienza di ciascuno. Il nostro destino. La nostra dignità. La nostra libertà.
Scendere da questo livello e discutere se abbia giudicato correttamente un Tribunale, una Procura,
una Corte di cassazione; se una legge debba colmare il vuoto di legislazione e in che modo la sua
precettistica debba essere formulata: tutto ciò immiserisce una questione che dovrebbe essere
affidata alla volontà responsabile della persona interessata o ai suoi legali rappresentanti se
l'interessato non è in condizione di intendere, di esprimersi, di volere.
Ma poiché questa è in una molteplicità dei casi lo stato di fatto, di esso bisognerà dunque discutere
superando il disagio che ce ne deriva. Le domande che ci dobbiamo porre nel caso specifico di
Eluana sono le seguenti: esiste una manifestazione chiara e recente di volontà dell'interessata? Se
non esiste o è considerata remota ci sono persone validamente in grado di decidere per lei? Infine:
su quali punti d'appoggio o principi si basa la sentenza della Suprema Corte che ha autorizzato il
padre di Eluana a interrompere le cure e determinare l'arresto del cuore, pulsante in un corpo che è
in coma da 16 anni con encefalogramma piatto e una vita non umana ma vegetale?
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Sappiamo che Eluana manifestò ripetutamente la sua volontà di non sopravvivere alla propria
eventuale morte cerebrale. Lo fece ancor giovanissima, perfettamente sana e consapevole, in
seguito alla traumatica esperienza di aver visto e assistito persona a lei cara che si trovava in
condizioni di morte cerebrale cui per sua fortuna seguì di lì a poco quella cardiaca.
I fautori ad oltranza dell'ideologia della vita obiettano che quelle manifestazioni di volontà siano
remote rispetto al momento in cui Eluana entrò in coma e quindi "scadute", prive di legittima
volontà. L'argomento a sostegno di questa tesi si appoggia alla considerazione che in una materia
così delicata e privata si può cambiare parere fino ad un attimo prima dell'ultimo respiro. È vero, si
può cambiare parere fino all'ultimo respiro se si è in condizioni di cambiar parere e di esprimerlo.
Ma se si è già morti cerebralmente? L'espianto degli organi con i quali si salvano altre vite non
avviene forse quando la morte cardiaca non è ancora avvenuta e gli organi sono ancora vitali se
l'autorizzazione a disporne è già stata data e i se i parenti consentono?
Alla seconda domanda la risposta è netta: il padre e la famiglia di Eluana, che l'hanno assistita per
sedici anni ed hanno raccolto una serie di evidenze cliniche sull'irreversibilità del suo stato,
vogliono che la vita artificiale non prosegua e che cessi l'accanimento terapeutico. Esprimono in
nome della propria figlia il rifiuto delle cure in atto; un rifiuto che è un diritto riconosciuto del
malato o di chi lo rappresenta.
Infine la terza domanda: la validità della sentenza della Cassazione. La Suprema Corte è stata
chiamata a giudicare sul diritto dell'interessata o di chi la rappresenta di rifiutare le cure. Non ha
neppure avuto bisogno di fondare la sentenza sulle manifestazioni di volontà di Eluana di molti anni
fa. Ha accertato, la Suprema Corte, l'inesistenza di una legislazione in materia e si è quindi rifatta,
come è suo dovere prescritto in Costituzione, al diritto del malato, anch'esso riconosciuto in
Costituzione, di rifiutare le cure.
Sentenza ineccepibile: in assenza di norme e in presenza di diritti costituzionalmente garantiti la
Corte giudica in base ai principi dell'ordinamento giudiziario che riconosce il dovere del giudice di
tutelare i diritti dei cittadini.
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Le Camere su istanza dei deputati e dei senatori di centrodestra, hanno voluto sollevare conflitto di
competenza. Non spetta alla magistratura intervenire bensì al popolo sovrano e a chi lo rappresenta,
di fornire una normativa che regoli la questione.
Nessuno nega che spetti al potere legislativo legiferare e non certo alla magistratura, ma qui siamo
in una situazione in cui il potere legislativo non ha legiferato provocando un vuoto nel quale solo
alla magistratura incombe il dovere di tutelare diritti riconosciuti in Costituzione.
Non esiste dunque conflitto tra i due poteri. Quello giudiziario è intervenuto in difesa d'un diritto in
mancanza di legislazione. Quando quel vuoto sarà riempito la magistratura disporrà di una legge e
dovrà applicarla sempre che essa non sia in contrasto con i principi costituzionali.
Vedremo comunque quale sarà la sentenza della Corte costituzionale investita del problema.
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C'è stata polemica sul comportamento dei deputati e dei senatori del Partito democratico, che in
entrambe le votazioni sul conflitto di competenza hanno preferito disertare l'aula anziché votare
contro. Giustamente, a mio avviso, Miriam Mafai ha severamente criticato quella decisione. Penso
tuttavia opportuno distinguere quanto è avvenuto alla Camera dei deputati da quanto è avvenuto in
Senato.
Alla Camera, come poi al Senato, i rappresentanti del Pd hanno espresso la loro opposizione al
conflitto di competenza sollevato dalla maggioranza e si sono poi assentati dall'aula per non
provocare crisi di coscienza tra i deputati cattolici aderenti al Pd.
Al Senato invece è stato presentato un ordine del giorno proposto da Luigi Zanda che stabiliva
l'impegno a discutere ed approvare la normativa sul testamento biologico entro l'anno in corso.
L'ordine del giorno è stato votato anche dai senatori di centrodestra e appoggiato dal presidente del
Senato. L'astensione ha avuto dunque una contropartita abbastanza forte.
Duole tuttavia registrare che una parte di parlamentari democratici e cattolici ha presentato un
disegno di legge sul testamento biologico difforme in alcune parti sostanziali da un altro analogo
documento di legge presentato dallo stesso Partito democratico.
È evidente che queste differenze dovranno essere sanate prima dell'inizio del dibattito parlamentare.
Il Pd su un argomento di questa importanza non può che avere una sola voce, ispirata alla laicità
dello Stato oltreché alla tutela dei diritti del malato.
Ci sono molti problemi davanti al Pd che dovranno esser chiariti entro il prossimo autunno, ma
sarebbe grave se questo tema non fosse considerato tra quelli prioritari. Dall'incontro tra laici e
cattolici democratici è nato il Pd. La laicità è stato fin dall'inizio considerato il valore fondante.
Questa è la prima prova concreta per saggiare la validità dell'incontro tra quelle due culture. Se la
prova fallisse le conseguenze metterebbero in discussione l'esistenza stessa del partito.


Eugenio Scalfari            la Repubblica  3 agosto 2008