Attacco allo Stato
Eluana non c’entra. Questo pregio almeno ha avuto la terribile giornata
di ieri. Sgombrare il campo da un residuo per quanto improbabile dubbio: che
fosse un’umana convinzione o una fede a guidare l’azione del presidente del
Consiglio. Non è così. È convenienza. È una spaventosa battaglia di potere
che viene giocata sulla carne di una donna in coma. Eluana è un pretesto. È
doloroso, quasi impossibile dirlo. Eppure è così. Eluana non c’entra.
Silvio Berlusconi ha sferrato ieri un definitivo assalto al Quirinale, ha
aggredito la più alta delle istituzioni repubblicane, ha minacciato di cambiare
la Costituzione se essa sarà di ostacolo alla sua volontà, ne ha additato il
custode, Giorgio Napolitano, come si fa col responsabile di un delitto. E ha
commesso la più ignobile delle mistificazioni: usare la sofferenza di una
persona e di una famiglia come leva emotiva e demagogica per attaccare la più
alta carica del Paese e scardinare le regole di uno Stato di diritto: ignorarle,
irriderle. Ha trattato come strumenti del suo potere il Vaticano, il
governo, il Parlamento. Ha cacciato via con un colpo di mano mesi e mesi
di calvario trascorsi da una famiglia tra appelli e ricorsi ad aspettare la
decisione definitiva della giustizia. La giustizia ha parlato, ma più forte
parla lui. E se qualcuno si oppone, via con un gesto del braccio anche costui,
chiunque egli sia.
Non è l’ansia di popolarità che sempre lo guida attraverso il suo
strumento-feticcio, i sondaggi, questa volta a muoverlo. I sondaggi dicono: pace
per Eluana, rispetto. La maggior parte degli italiani è con Beppino Englaro e
condivide la sua pena. La partita è un’altra, molto più grande e decisiva: il
potere che lo aspetta, le regole del gioco da scrivere o da riscrivere, la posta
in palio il Quirinale. Con qualunque mezzo. Pazienza se la tremenda partita
a scacchi di queste ore, una vera corsa contro il tempo, si traduce in un
supplizio, in una tortura fisica su un corpo inerme: la fine dell’alimentazione
forzata è stata avviata, l’organismo esanime si sta abituando, domani con una
legge potrebbe riprendere, poi magari diminuire di nuovo e poi aumentare ancora.
Una manopola che cambia le dosi seguendo i singulti della politica. Orribile.
Ha detto, ieri: Eluana potrebbe avere figli. Come, da chi? Ha detto: un’indagine
veloce che abbiamo commissionato a un istituto di ricerca - un sondaggio, sì -
ci dice che gli italiani pensano che suo padre dopo 17 anni possa essere stanco.
Un fior di sondaggio. E dunque? Dunque il padre si faccia da parte, saranno le
suore ad occuparsi di sua figlia. Parole irricevibili, inascoltabili. Ma la
partita è altrove, appunto. Questi sono dettagli, è l’occasione che si è
presentata per la prova di forza. Lo scontro è definitivo e ci riguarda
tutti, ci mette tutti in pericolo di vita: vita democratica. Il capo dello
Stato si erge con coraggio, con la forza semplice del richiamo alle leggi, come
baluardo di un sistema di convivenza fondato sulle regole di tutti e non sulla
parola di uno solo. Viviamo un tempo oscuro di violenza sorda. Siamo tutti con
Napolitano. I nomi qui accanto sono i primi di una lunghissima serie di persone
che hanno cercato questo giornale, ieri, per dirlo. Siamo con lei. Avanti,
presidente.
Concita De Gregorio L'Unità 7/2/2008
La svolta bonapartista
Una questione di vita e di morte, una tragedia familiare, un caso di amore e di
disperazione tra genitori e figlia che cercava di sciogliersi nella legalità
dopo un tormento di 17 anni, è stato trasformato ieri da Silvio Berlusconi in un
conflitto istituzionale senza precedenti tra il governo e il Quirinale, con il
Capo dello Stato che non ha firmato il decreto d´urgenza del governo sul caso
Englaro, dopo aver inutilmente invitato il Premier a riflettere sulla sua
incostituzionalità, e con Berlusconi che ha contestato le prerogative del
Presidente della Repubblica, annunciando la volontà di governare a colpi di
decreti legge senza il controllo del Quirinale. Pronto in caso contrario a
"rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione.
Il Presidente del Consiglio non era mai intervenuto in questi mesi nel dibattito
morale, politico e culturale sollevato da Beppino Englaro con la scelta di
chiedere la sospensione della nutrizione artificiale per sua figlia, ponendo
fine ad un´esistenza vegetativa di 17 anni, giudicata irreversibile da 14.
Ma ieri l´istinto populista ha consigliato al Premier di scegliere
proprio il dramma pubblico di Eluana, giunto al culmine della sua valenza
emotiva sollecitata dalla cornice di sacralità guerresca del Vaticano, per
sfidare Napolitano su una questione di fondo: il perimetro e la profondità del
potere del suo governo, che Berlusconi vuole sovraordinato ad ogni altro potere,
libero da vincoli e controlli, dominus incontrastato del comando politico.
È uno scontro che segna un´epoca, perché chiude la prima fase di un
quindicennio berlusconiano di poteri contrastati ma bilanciati e ne apre
un´altra, che ha l´impronta risolutiva di una resa dei conti costituzionale, per
arrivare a quella che Max Weber chiama l´"istituzionalizzazione del carisma" e
alla rottura degli equilibri repubblicani: con la minaccia di una sorta di
plebiscito popolare per forzare il sistema esistente, disegnare una Costituzione
su misura del Premier, e far nascere infine un nuovo governo, come fonte e
risultato di questa concezione tecnicamente bonapartista, sia pure all´italiana.
Il caso Eluana, dunque, nel momento più alto della discussione e della
partecipazione del Paese, si è ridotto a pretesto e strumento di una partita
politica e di potere. Berlusconi aveva infine ceduto alle pressioni del
Vaticano e all´opportunità di dare alla sua destra senz´anima e senza tradizione
un´identità cristiana totalmente disgiunta dalle biografie e dai valori, ma
legata alla precettistica e alle politiche concrete della Chiesa: così ieri
mattina ha annunciato al Consiglio dei ministri la volontà di varare un decreto
legge di poche righe, per vanificare la sentenza definitiva della magistratura
che accoglie la richiesta di Beppino Englaro, e per impedire la sospensione già
avviata ad Udine dell´alimentazione e dell´idratazione per Eluana.
Il Presidente della Repubblica, che già aveva spiegato giovedì al governo
l´insostenibilità costituzionale del decreto, ha deciso di assumersi su un caso
così delicato una pubblica responsabilità, che non si presti ad equivoci davanti
all´esecutivo, al Parlamento, alla pubblica opinione. Dando forma e sostanza
all´istituto della "moral suasion", ha scritto una lettera a Berlusconi in cui
spiega le ragioni che rendono impossibile il decreto, se si guarda – come il
Capo dello Stato deve guardare – soltanto alla Costituzione, ai suoi principi,
ai criteri che stabilisce per la decretazione d´urgenza. C´è una legge sul
fine-vita davanti al Parlamento, dice Napolitano nel messaggio, c´è la necessità
di rispettare una pronuncia definitiva della magistratura, se non si vuole
violare "il fondamentale principio della separazione e del reciproco rispetto"
tra poteri dello Stato, c´è la norma costituzionale dell´uguaglianza tra i
cittadini davanti alla legge, quella sulla libertà personale, quella sulla
possibilità di rifiutare trattamenti sanitari. Ci sono poi i precedenti di altri
inquilini del Quirinale – Pertini, Cossiga, Scalfaro – che non hanno firmato
decreti-legge, e soprattutto c´è la funzione di "garanzia istituzionale" che la
Costituzione assegna al Capo dello Stato. Da qui l´invito al governo di "evitare
un contrasto", riflettendo sulle ragioni del no del Presidente.
Con ogni probabilità è stato questo richiamo al ruolo di garanzia del Quirinale,
unito al gesto pubblico di rendere nullo il decreto del governo, rifiutandosi di
emanarlo, che ha convinto Berlusconi a sfruttare l´occasione per aprire la
contesa suprema sul potere al vertice dello Stato. In conferenza stampa il
Premier ha spiegato la sua scelta sul caso Englaro con motivazioni morali («Non
mi voglio sentire responsabile di un´omissione di soccorso per una persona in
pericolo di vita») ma anche con giudizi medico-scientifici approssimativi («Lo
stato vegetativo potrebbe variare»), e con affermazioni incongrue e
sorprendenti: «Eluana è una persona viva, che potrebbe anche avere un figlio».
Ma il cuore del ragionamento berlusconiano è un altro: la lettera di Napolitano
è impropria, perché il giudizio sulla necessità e urgenza di un decreto spetta
per Costituzione al governo e non al Quirinale, mentre il giudizio di
costituzionalità tocca al Parlamento. Non solo, ma il decreto d´urgenza è
l´unico vero strumento di governo in un sistema costituzionale antiquato. E se
il Capo dello Stato «decidesse di caricarsi della responsabilità di una vita»,
non firmando il decreto, il governo si ribellerebbe invitando il Parlamento «a
riunirsi ad horas» per approvare «in due o tre giorni» una legge stralcio che
anticipi il testo in discussione al Senato, bloccando così l´esito della vicenda
Englaro. Eluana, tuttavia, è già sullo sfondo, ridotta a corpo ideologico e a
pretesto politico. Ciò che a Berlusconi interessa dire è che non si può
governare il Paese senza la piena e libera potestà governativa sui decreti
legge. «Si può arrivare ad una scrittura più chiara della Costituzione. Senza la
possibilità di ricorrere a decreti legge, tornerei dal popolo a chiedere di
cambiare la Costituzione e il governo».
La sfida è esplicita, addirittura ostentata. Quirinale e Parlamento devono
capire che il governo assumerà il potere legislativo attraverso i decreti legge,
della cui ammissibilità sarà l´unico giudice, con le Camere chiamate ad una
ratifica automatica di maggioranza e il Capo dello Stato costretto ad una firma
cieca e meccanica. Berlusconi vuole decidere da solo, in un´aperta
trasformazione costituzionale che realizza di fatto il presidenzialismo,
aggiungendo potestà legislativa all´esecutivo nella corsia privilegiata della
necessità e dell´urgenza, criteri di cui il governo è insieme beneficiario e
giudice unico, senza lasciar voce in capitolo al Capo dello Stato. Un Capo dello
Stato minacciato pubblicamente dal Premier, se non firma il decreto per un
deficit costituzionale, di «caricarsi della responsabilità di una vita».
Qualcosa che non era mai avvenuto nella storia della Repubblica, per i toni
politici, per i modi istituzionali, per la sostanza costituzionale: e anche per
la suggestione umana.
La risposta di Napolitano poteva essere una sola: con rammarico, il Presidente
non firma, perché il decreto è incostituzionale. L´assunzione di responsabilità
del Quirinale rende nullo il decreto, e costringe Berlusconi a imboccare la
strada parlamentare, sia pure con le forme improprie annunciate ieri. Ma la
lacerazione rimane, il progetto di salto costituzionale anche. È un
progetto bonapartista, con il Premier che chiede di fatto pieni poteri in nome
del legame emotivo e carismatico con la propria comunità politica, si pone come
rappresentante diretto della nazione e pretende la subordinazione di ogni potere
all´esecutivo. Avevamo avvertito da tempo che qui portavano le leggi ad
personam, i "lodi" che pongono il Premier sopra la legge, la tentazione continua
di sovraordinare l´eletto dal popolo agli altri poteri. Ieri, Napolitano ha
saputo opporsi, in nome della Costituzione. La risposta del Premier è stata che
il Capo dello Stato non potrà mai più opporsi, e la Costituzione cambierà.
Ecco perché la data di ieri apre una fase nuova nella vita del Paese, una
Terza Repubblica basata su una nuova geografia del potere, una nuova legittimità
costituzionale, un nuovo concetto di sovranità, trasferito dal popolo al leader.
Si può far finta di non vedere cosa sta accadendo, con l´immorale pretesto della
tragedia di Eluana? Ieri la voce più forte a sostegno di Napolitano è stata
quella del Presidente della Camera, che sembra ormai muoversi in un perimetro
laico e costituzionale, da destra repubblicana. Dall´altra sponda del Tevere,
mai così stretto, è venuto il plauso a Berlusconi del Cardinal Martino,
presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace, e la sua "profonda
delusione" per la scelta di Napolitano di non firmare il decreto. Come se
insieme alle chiavi di San Pietro il Vaticano avesse anche la golden share del
governo italiano e delle sue libere istituzioni. Certo, sotto gli occhi attoniti
del Paese e sotto gli occhi che non vedono di Eluana Englaro ieri è andato in
scena uno scambio di favori al ribasso, col Dio italiano consegnato alla destra
berlusconiana, come un protettorato, in cambio di una difesa di valori
disincarnati e precetti vaticani, da parte di un paganesimo politico servile e
mercantile. Dal caso Eluana non nasce una forza cristiana: ma un partito ateo
e clericale insieme, che è tutta un´altra cosa.
Ezio Mauro Repubblica 7.2.09
Giornata nera per la Repubblica
È una pessima giornata per la Repubblica. Siamo di fronte ad un conflitto
costituzionale davvero senza precedenti.
E cioè ad un governo che sfida il Presidente della Repubblica che si era fatto
fermo difensore delle ragioni della Costituzione e dei diritti fondamentali
delle persone. La gravissima decisione del Governo di intervenire con un decreto
nella vicenda di Eluana Englaro, dopo che Giorgio Napolitano aveva pubblicamente
motivato le ragioni del suo dissenso, sovverte gli equilibri istituzionali, apre
una fase in cui si va ben oltre quella "tirannia della maggioranza", di cui ci
ha parlato in modo eloquente il liberale Alexis de Tocqueville, e si entra in
una "terra incognita" dove la partita politica è dominata non dal senso dello
Stato, ma dalla brutale volontà del presidente del Consiglio di offrire
rassicurazioni agli esponenti di una potenza straniera a qualsiasi costo, anche
quello dello sconvolgimento della stessa democrazia costituzionale.
È così, anche se una affermazione tanto netta può sembrare brutale. Con una sola
mossa vengono colpiti molti bersagli. La Costituzione, unica carta dei valori
democraticamente legittimata, vera "Bibbia laica", viene travolta per porre al
suo posto un´etica di Stato attinta ai diktat delle gerarchie vaticane (non a un
sentire diffuso nello stesso mondo cattolico, che alla vicenda di Eluana Englaro
si è avvicinato con rispetto e pietà). La sovranità del Parlamento viene
ulteriormente mortificata, perché ad esso si nega la prerogativa d´essere il
luogo privilegiato per discutere e decidere quando si tratta di diritti
fondamentali. L´autonomia della magistratura scompare nel momento in cui si
cancellano le sue decisioni con un atto d´imperio, creando un precedente
devastante per la sopravvivenza stessa di un brandello di Stato di diritto. I
diritti fondamentali delle persone non sono più affidati alla garanzia della
legge, ma alle pulsioni delle maggioranze.
Ma il bersaglio maggiore è proprio il Presidente della Repubblica, che mai come
in questo momento incarna limpidamente la sua funzione di massimo garante della
Costituzione. Ispirandosi al principio della "leale collaborazione" tra gli
organi dello Stato, Giorgio Napolitano aveva nei giorni scorsi manifestato al
governo le sue perplessità su un decreto che, rendendo impossibile l´esecuzione
di una decisione della magistratura, si esponeva evidentemente al rischio
dell´incostituzionalità. Quando è stato reso noto il possibile contenuto del
decreto, che alcune contorsioni interpretative rendevano ancor più inaccettabile
(la sentenza n. 334 del 2008 della Corte costituzionale ha chiarito che la
competenza in materia spetta alla magistratura), il Presidente della Repubblica
ha inviato una lettera al presidente del Consiglio per ribadire il suo punto di
vista, con un atto di straordinaria trasparenza e responsabilità, reso
necessario proprio dall´eccezionalità della situazione e dall´emozione con la
quale viene seguita una vicenda così drammatica. Mai come in questo momento
l´opinione pubblica ha bisogno di chiarezza, di comportamenti istituzionali
immediatamente decifrabili, e non dell´eterno gioco dei sotterfugi, dei percorsi
obliqui. Dopo la forzatura dell´atto di indirizzo del ministro Sacconi,
rivelatosi privo di una pur minima base giuridica, diveniva ancor più evidente
la necessità di seguire percorsi costituzionalmente impeccabili. La lettera di
Napolitano è la testimonianza di un scrupolo istituzionale raro, di un rigore
argomentativo al quale nessuno dovrebbe sottrarsi.
Nelle sue dichiarazioni, invece, il presidente del Consiglio rivela una distanza
abissale dalla logica costituzionale, una concezione proprietaria della
decretazione d´urgenza che, a suo dire, sarebbe completamente sottratta a
qualsiasi valutazione da parte del Presidente della Repubblica. Tesi
costituzionalmente non proponibile, come nella sua lettera aveva già chiarito il
Presidente della Repubblica con indicazioni che Berlusconi volutamente ignora,
passando addirittura alle minacce: dichiara, infatti, che, se non gli viene
consentito di usare i decreti legge a suo piacimento, cambierà la Costituzione.
Così, com´è sua collaudata abitudine, schiera se stesso e le sue troppo docili
truppe per un nuovo e devastante assalto alla legalità, seguendo il suo
collaudato copione plebiscitario che lo porta addirittura ad ignorare quali
siano le procedure per la revisione costituzionale, visto che afferma che
ritornerebbe "dal popolo a chiedere un cambiamento della Costituzione".
Mai dichiarazione fu più rivelatrice di questa. La Costituzione non è la regola
delle regole, ma un impaccio di cui ci si può tranquillamente liberare. La
rottura costituzionale è dichiarata.
Così Berlusconi gioca il governo contro il Presidente della Repubblica e si
prepara a rendere concreta un´altra minaccia. Visto che il Presidente della
Repubblica ha già dichiarato che non firmerà un decreto "incostituzionale",
porterà in Parlamento un disegno di legge sul testamento biologico da approvare
in tre giorni. Così gioca il governo anche contro il Parlamento, esplicitamente
declassato dal Principe a buca delle lettere, a luogo dove la sua volontà
dev´essere ratificata senza discussione.
Si apre, dunque, una fase in cui al grande tema del morire con dignità si
affianca quello, grandissimo, della difesa della Costituzione. Immediata,
allora, diventa la responsabilità di tutte le forze politiche, degli organi
istituzionali chiamati ad una pubblica assunzione della responsabilità loro
propria, come ha già fatto, dimostrando senso dello Stato e della legalità, il
Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Responsabilità tanto maggiore in
quanto, sia pure attraverso il discutibile strumento dei sondaggi, l´opinione
pubblica si è espressa, dichiarandosi per il 79% a favore del morire dignitoso
di Eluana Englaro e addirittura per l´83% a favore di una Chiesa che parli alle
coscienze e non pretenda di imporre la fede attraverso gli atti del legislatore.
Torna qui alla memoria il diverso spirito dei cattolici democratici, che si
coglie nelle parole dette da Aldo Moro al consiglio nazionale della Dc
all´indomani della sconfitta nel referendum contro la legge sul divorzio, nel
1974, con le quali si metteva in guardia contro le forzature «con lo strumento
della legge, con l´autorità del potere, al modo comune di intendere e
disciplinare, in alcuni punti sensibili, i rapporti umani»; e si consigliava «di
realizzare la difesa di principi e valori cristiani al di fuori delle
istituzioni e delle leggi, e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della
nostra vita sociale». Ma il limite all´intervento del legislatore non trova il
suo fondamento solo in ragioni di opportunità. Ricordiamo le parole alte e forti
con le quali si chiude l´articolo 32 della Costituzione, dedicato al
fondamentale diritto alla salute, dunque al governo della propria vita: «La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana». È proprio questo il caso di Eluana Englaro e di tutti coloro che
vorranno liberamente decidere sul loro morire. Vi è un confine costituzionale
che il legislatore non può varcare né con decreti legge, né con altri strumenti
normativi oltre il quale compare la persona con la sua autonomia e la sua
libertà.
Quei sondaggi, allora, sono un monito e una risorsa. Un monito alle forze
politiche, che di quei cittadini dovrebbero essere consapevoli interlocutori. E
si tratta di una risorsa che sono gli stessi cittadini a dover utilizzare,
levando forte la voce perché la forzatura istituzionale non passi. Nessun
dialogo, nessuna collaborazione politica possono svilupparsi in panorama
disseminato da macerie istituzionali.
Stefano Rodotà Repubblica 7.2.09
Lite istituzionale che divide anche Colle e Santa Sede
Col senno di poi, l'espressione «braccio di ferro» è un eufemismo. Il caso di
Eluana Englaro ha provocato una frattura fra Quirinale e palazzo Chigi che
delinea una crisi istituzionale grave e dagli esiti imprevedibili. Sancisce
qualcosa di più di un'incrinatura nei rapporti fra Giorgio Napolitano ed il
Vaticano, finora ottimi. E lascia intravedere una spaccatura parlamentare che
ricorda tanto i fronti referendari del passato sull'aborto e sul divorzio. Con
il centrosinistra ed i radicali contrari a sospendere le procedure che
porteranno alla morte della ragazza; ed il centrodestra di Silvio Berlusconi in
lotta con il tempo per approvare una legge che le sospenda.
Il conflitto era in incubazione dall'altra sera, quando sono trapelate le
perplessità del presidente della Repubblica sul decreto studiato dal governo. Ma
le voci ufficiose secondo le quali Napolitano in realtà non si era pronunciato
l'aveva congelato. Ieri mattina, però, la situazione è precipitata. Berlusconi,
incalzato dalle gerarchie cattoliche, ha deciso che il decreto andava comunque
presentato in Consiglio dei ministri. E mentre il governo stava decidendo, è
arrivata la lettera del capo dello Stato che preannunciava il rifiuto di firmare
il provvedimento. Doveva essere l'estremo tentativo per evitare lo scontro; e
invece ha finito per drammatizzarlo.
Il premier ha sospeso la riunione, e mostrato una missiva che nelle intenzioni
era riservata. E alla ripresa, pretendendo e ottenendo l'unanimità, Berlusconi è
andato avanti, respingendo la lettera al mittente. Evidentemente, la speranza di
bloccare l'iniziativa del governo con un altolà era mal riposta. Quella nota nel
bel mezzo della riunione è stata interpretata come un tentativo di «commissariare»
il governo. Ed ha permesso a Berlusconi di lanciare una sfida che si è appena
iniziata ed accenna a salire di tono.
Finora il premier non aveva mai reagito frontalmente alle critiche di Napolitano.
La diplomazia informale fra i due palazzi aveva sempre scongiurato contrasti. Ed
erano stati costruiti in tre anni rapporti istituzionali più che cordiali e
corretti. Berlusconi ha sferrato l'offensiva scegliendo lui il terreno, meno
scivoloso di quello della riforma della giustizia. Il fatto che ad una domanda
rivoltagli in conferenza stampa abbia risposto che non è sua intenzione
promuovere la messa in stato d'accusa del capo dello Stato è rassicurante a
metà. Soltanto affacciare questa ipotesi rende l'idea della piega che rischia di
prendere il conflitto istituzionale.
La difesa compatta di Napolitano che proviene dal centrosinistra insiste sulla
correttezza della lettera; e sul calcolo a freddo del premier di scontrarsi col
Quirinale. Perfino Antonio Di Pietro, che nelle scorse settimane non ha esitato
ad attaccare pesantemente il presidente della Repubblica, adesso si schiera con
lui insieme all'estrema sinistra ed ai radicali. Ma tanta solidarietà politica
dell'opposizione, alla quale si aggiunge quella del presidente della Camera,
Gianfranco Fini, potrebbe risultare a doppio taglio. Invece di puntellare e
rilanciare il profilo sopra le parti offerto sempre da Napolitano, minaccia di
farlo diventare l'icona degli avversari del governo. Un epilogo paradossale, che
può aggravare e radicalizzare il conflitto.
Massimo Franco Corriere della Sera 7.1.09