L'assoluto che non c'è

Si ha l'impressione che nel corso degli ultimi mesi, dopo l'elezione del nuovo papa, il dibattito fra laici e cattolici si sia spostato, per ciò che riguarda i temi e anche gli schieramenti. I temi: non tanto la laicità dello stato (della cultura, della scuola, delle leggi) quanto la forza e il valore dell'assoluto, contrapposto alla debolezza e al fallimento del relativo. E a sostegno dell'assoluto non soltanto il pensiero cattolico, ma anche una parte del pensiero cosiddetto laico. Voci importanti che fanno parlare non soltanto di un relativismo in crisi ma anche di «atei clericali». Il dibattito fra assolutismo e relativismo è tutt'altro che nuovo. Oggi, comunque, sta assumendo toni e contorni che fanno riflettere. Sullo sfondo, una presa di coscienza del fallimento della cultura moderna: un fallimento che sarebbe generale e drammatico e che indurrebbe a cercare ancoraggi, certezze, sicurezze salvatrici. E chi, se non le religioni sarebbero in grado di fornirle? Perciò, al di là della famosa «morte di Dio», una nuova stagione di attualità, di vigore dell'assoluto. Ma una domanda si impone: è proprio vero che le religioni sarebbero il luogo dell'assoluto? Se ne può, per lo meno dubitare, soprattutto se si vuole evitare, nel caso del cristianesimo, il trionfo di un conservatorismo e di un dogmatismo che riporterebbe indietro il discorso di parecchi secoli.

Gli ultimi secoli, infatti, sono stati caratterizzati da un cristianesimo che si è sforzato di accettare la cultura e la società moderna, dalla riforma protestante ai concili cattolici. Un cristianesimo - come ha scritto sul settimanale «Riforma» il teologo Paolo Ricca, capace di «fronteggiare il relativismo senza favorire il dogmatismo, di manifestare `lo spirito di forza' di Dio senza diventare prepotenti, di essere cristiani confessanti senza essere invadenti, di testimoniare le certezze della fede senza paralizzare il dialogo, di conoscere la verità senza volerla imporre, di non amare la nostra libertà più di quella degli altri». Non a caso «conoscere è interpretare» è uno dei caposaldi del pensiero moderno.

Il dibattito, d'altronde, fra assoluto e relativo non è sulle nuvole. Al di là delle impostazioni di principio, sono in gioco la concezione della famiglia, della scuola, il pluralismo di una società multietnica e multiculturale oltre che multireligiosa. Ne abbiamo avuto già qualche saggio a proposito del recente referendum sulla procreazione assistita. Di assolutismo e relativismo si parla anche a proposito delle radici cristiane dell'Europa. E non a caso si comincia a discutere, anche fra noi come negli States, della validità dell'evoluzionismo darwinista.

La battaglia contro il relativismo , anche se potrebbe avere qualche aspetto valido, rende difficile ogni dialogo e chiude quel rapporto fra cristianesimo e cultura moderna che, anche a Roma, si era aperto da poco e con difficoltà.

Spesso la difesa dell'assoluto si riduce a una difesa dei mulini a vento di don Chisciotte o addirittura di interessi poco chiari.

 

FILIPPO GENTILONI  il manifesto 11/09/05