Assalti fascisti. Violenza a sangue freddo
È un ritorno al passato. Negli anni 60 i fascisti picchiavano e nessuno li
fermava
Sui giornali quest’immagine capita di vederla sempre più spesso.
C’è un ragazzo per terra, insanguinato. Vestito come nostro figlio, nostro
nipote. Lo prendono alle spalle, gli gridano: «negro», o «sporca zecca», che è
un insetto abbastanza schifoso, infettivo, da eliminare con il fuoco. E le
feriscono, le «zecche», a volte le uccidono. Davanti ai poliziotti, quando -
raramente - c’è qualche arresto, gli assalitori si giustificano dicendo di non
volere uccidere, ma soltanto fare una «puncicata», una puntura, una rissa.Violenza
a sangue freddo
Sempre più spesso a Roma, ma non solo. E a Roma, ma non solo, già ci sono stati
diversi - troppi - funerali e anche minuscoli cortei di protesta. I bersagli e
le vittime di quella che si può considerare una nuova ondata squadristica
vengono chiamati, soprattutto a Roma, appunto, “zecche”. Termine del gergo
giovanile che in passato era usato in tono non solamente spregiativo, se a loro
stessi, alle “zecche” il soprannome piaceva, in quanto originariamente era
contrapposto per sbandierare fierezza in faccia ai “pariolini”, o “parioli” (a
Firenze cabinotti, o a Milano San Karlini), per dire figli di “gente bene”,
fighetti con gli abiti griffati.
Ma in verità fino a qualche tempo addietro c’erano in giro anche “parioli” che
vestivano quasi come le “zecche”, e viceversa. E le treccine “rasta” - persino
la kefia palestinese - possono essere ritenuti bipartisan, così come i pantaloni
con la vita talmente bassa da sfiorare le ginocchia.
Fatto sta che le “zecche” di Roma, (altrove truzzi, sfattoni, rastoni,
metallari, punk, gabber), ma non solo a Roma, sono diventate, senza una logica,
senza un apparente perché, il bersaglio di spedizioni punitive sempre più
sanguinose, all'arma bianca. Non c’è un episodio delle cronache di questi ultimi
anni in cui i giovani assaliti possano essere sospettati di avere condiviso con
gli assalitori intenzioni, pratiche, o abitudini violente. Erano ragazzi che
defluivano da un concerto, gente a passeggio per strada, inerme. Gli aggressori,
invece, girano sistematicamente, programmaticamente armati. Utilizzano coltelli
come usava la vecchia delinquenza, ma adesso le lame sono seghettate, e nei
manici compaiono scritte runiche. Nelle vetrine degli armaioli e dei negozi di
articoli sportivi si vede anche un aggeggio mostruoso e micidiale, una ruota
dentata che si lancia da lontano, come in un film o un videogioco: ne
sequestrano decine nelle “curve” degli stadi, e nelle sedi “ultra”.
Indagini a zero: degli aggressori si sa poco più del fatto accertato che odiano
profondamente e indifferentemente poliziotti, e stranieri, e naturalmente le
“zecche”.
I contrassegni che ti fanno rischiare la pelle, all’uscita da un concerto, per
strada, rimangono tuttavia ancora quell’abbigliamento, quei capelli, quelle
abitudini che inducono nelle squadracce il sospetto che i tuoi figli, i tuoi
nipoti frequentino centri sociali, divenuti spesso nelle città gli unici punti
di ritrovo abbastanza economici per i ragazzi e con qualche contenuto culturale
“alternativo”, e il sospetto conseguente che, quando votano, ma non sempre
votano, scelgano la sinistra.
Ai tempi nostri (per le generazioni di quelli che si sono presi il morbillo
degli anni del Vietnam, e poi la varicella della stagione del ‘68, e poi la
rosolia degli anni ‘70) c’era qualche differenza. Una innanzitutto,
fondamentale: i poveri ragazzi che insanguinarono i nostri marciapiedi bene o
male conoscevano o intuivano - a volte condividevano da un’altra parte della
barricata ideologica degli anni di piombo - il perché di tanta violenza. Che
adesso viene inferta a sorpresa, a sangue freddo contro gente, contro giovani
inermi.
Adesso, ecco la novità, la destra giovanile colpisce, infatti, nel mucchio. C’è
da chiedersi il perché di questa strategia. La nuova “fascisteria” è soltanto
composta da cani sciolti? Se è così perché non sta già in galera? Se davvero si
tratta di quattro banditelli di quartiere, perché non si riesce a sconfiggerli?
Eppure si tratta di una novità solo apparente. Negli anni Sessanta fecero in
maniera analoga il loro violento apprendistato, i futuri terroristi e stragisti
neri, i Concutelli, i Mangiameli, la Mambro e i Fioravanti. Iniziarono il loro
curriculum assaltando licei “rossi” o locali in cui si proiettavano film
“comunisti”, dileggiando Pasolini e i “pasolini”. L’hanno scritto nelle loro
memorie, hanno affidato la loro verità a libri e "interviste" senza domande,
rivendicando purezza e atteggiandosi a sfortunati “comandanti” di un esercito
che non combatté mai alcuna guerra, solo orribili agguati.
Non è certamente un caso se nei siti web e nei blog della nuova destra quei
personaggi, questi fantasmi del nostro passato vengano a tutt’oggi indicati come
modelli e maestri, e cristallizzati come miti in un lontano passato in cui - a
metà tra il galoppinaggio elettorale e le spinte eversive - non avevano ancora
preso contatti o stretto legami, come poi fecero metodicamente e in competizione
tra loro, con i servizi segreti.
Più che una novità, è un ritorno al passato. I ragazzi fascisti negli anni
Sessanta cominciarono con lo sparacchiare bastonate nel mucchio, e nessuno li
fermava: poliziotti magistrati e giornali si baloccavano con la favola degli
opposti estremismi. E molti di noi possono solo ringraziare il destino di
essere, all’epoca, soltanto finiti a casa ammaccati o all’ospedale, prima che i
“comandanti” militari della fascisteria imbracciassero i mitra e innescassero
bombe. Molti di essi frequentavano le stesse sezioni missine da cui sarebbero
poi usciti alcuni attuali ministri, sottosegretari, assessori e sindaci. E molte
delle loro imprese più violente negli anni Sessanta erano in sotterranea
polemica con i "doppiopettisti" dell'Msi, come un ricatto. Oggi gli eredi di
Concutelli e di Fioravanti, dissotterrando manganelli e coltelli dello
squadrismo, lanciano forse un analogo segnale cifrato ai loro più recenti
apprendisti stregoni. Certificando con la violenza la propria esistenza. E
reclamando probabilmente un ruolo, dopo un’insoddisfacente gavetta di promesse e
di galoppinaggio elettorale.
Vincenzo Vasile l'Unità 2.9.08