Appunti di
cittadinanza
Il nuovo contraddice il vecchio. Per sua natura, anche quando si tratta di capi
d’anno. Quando ci
auguriamo un felice anno nuovo ci riferiamo distrattamente ad un periodo che
dura dodici mesi e,
presumibilmente, quattro stagioni. Nel primo di questi mesi consideriamo l’anno
nuovo ancora tutto
da viversi, nell’ultimo invece siamo già proiettati, complici le feste
consumistiche, all’anno
avvenire. Lo sguardo indietro, come la memoria, si ferma a volte a malapena al
periodo estivo:
mare e montagna, vacanze e pranzi ferragostani. Il contrasto tra l’anno che si
conclude e quello
“nuovo” è spesso sfumato da un cenone in linea con l’ottimismo suggerito o
imposto, subito o
condiviso. Allora si dimenticano facilmente - a suon di brindisi e botti
scoppiettanti - gli orrori
dell’anno appena concluso. Perciò si vivranno con più rassegnazione i
misfatti cui ci toccherà
assistere. Divertirsi a capodanno è d’obbligo, come lo è anche il non
dimenticare.
Nei dodici mesi che hanno preceduto i nostri brindisi del
capodanno 2010 sono successe alcune
cose che certamente non hanno reso felice, a molte persone, l’anno vecchio. E
non penso che c’entri
l’appena celebrato Gesù Bambino. In materia di immigrazione i bilanci dell’anno
che si sta
concludendo sono a dir poco preoccupanti e per molti versi contraddittori.
D’accordo che
l’immigrazione è materia della politica e del governo di un paese ma nel
Belpaese l’immigrazione
ha assunto ormai una funzione di rilievo soltanto come materia di consenso
elettorale, che si tratti di
allarmi sicurezza, allarmi rom, o “pericolo islamico”.
Nell’anno appena concluso si è allentata la presa sui romeni “invasori”. È
ripresa l’offensiva contro
i rom, contro i “clandestini” e ora ritorna con prepotenza un nuovo bersaglio
delle politiche di
destra: i terroristi islamici e l’islam in generale. L’argomento cinesi, appena
sfiorato qualche volta
nel corso dell’anno, a mo’ di prove generali, è tenuto “in salamoia”, pronto ad
essere sfoderato alla
bisogna.
Il 2009 era iniziato sotto l’egida del dibattito sui medici che avrebbero potuto
o dovuto denunciare
gli immigrati irregolari che si rivolgevano a strutture sanitarie per ricevere
cure. La situazione del
“felice anno nuovo 2009” era tale da indurre, attraverso decreto-legge,
l’adozione di «misure
urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale,
nonché in tema di atti
persecutori». E allora si sono susseguite idee come «tassa» sul permesso di
soggiorno, chiamata poi
«contributo ». Il ministro Maroni, dopo aver promesso la cessazione degli
sbarchi, in virtù di
accordi con la Libia e motovedette regalate a Gheddafi, si trovava a gestire il
“caos Lampedusa”,
per poi ammettere, qualche mese dopo, la sua impotenza e scaricare la
responsabilità sull’Unione
europea.
A febbraio, mentre qualcuno pensava a quote massime di
immigrati nelle scuole, la rivista Famiglia
Cristiana parlava del «soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba,
che spira nelle osterie
padane» e di un’Italia che «precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro
di leggi razziali ». E
Gianfranco Fini definiva le ronde e le squadracce anti-immigrati come «qualcosa
di completamente
illegale e indegno di un Paese civile». C’è voluto il Tribunale per riaffermare
che «ogni
determinazione della pubblica amministrazione deve essere orientata al principio
di parità di
trattamento ». E per respingere il ricorso del comune di Brescia che si era
opposto alla concessione
anche ai figli di stranieri del bonus bebè di mille euro per i nati nel 2008,
stabilito originariamente
solo per i figli di italiani.
Mentre la Coldiretti affermava che gli immigrati sono indispensabili
all’agricoltura, la ministra
Gelmini proponeva di prevedere non più del 30 per cento delle presenze in classe
per i bambini
stranieri. Mentre il presidente della Camera diceva che gli italiani «non devono
aver paura dello
straniero e non devono dimenticare che siamo figli di un popolo di migranti», un
senatore del Pdl
voleva liberare la città di Prato dai cinesi clandestini.
Excursus: il 50 per cento dei lavoratori italiani emigrati in Francia tra il
1945 e il 1960 era
clandestino e il 90 per cento dei loro familiari li ha raggiunti nella nuova
patria altrettanto
illegalmente. Nel 2009, mentre alcuni barconi con persone a bordo erano, nel
Mediterraneo, in balia
delle onde e del rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta, una parola nuova
- per molti italiani dal
lessico sufficiente per essere considerati cittadini - entrava di prepotenza nel
quotidiano parlare e
scrivere: respingimento.
Mentre un certo Matteo Salvini auspicava carrozze metropolitane riservate ai
milanesi, Gianfranco
Fini diceva che «certe proposte non si fanno perché sono lesive della
Costituzione stessa e delle
persone, qualsiasi sia il colore della pelle, la razza e la lingua».
Mentre il Presidente del Consiglio diceva no a un’Italia multietnica, qualcuno
gli faceva presente
che l’Italia è già multietnica e forse lo è sempre stata. Intanto Berlusconi
dichiarava, invocando non
meglio definite statistiche, che sui barconi respinti non ci sono richiedenti
asilo, «salvo alcuni casi
eccezionali». E se l’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati, criticava i respingimenti, il
ministro La Russa diceva ai cittadini che si tratta di «uno degli organismi che
non contano un fico
secco».
Il preside di una scuola padovana non voleva ammettere agli
esami di maturità gli studenti senza
permesso di soggiorno. Evidentemente le sufficienze non bastavano più. E come
potrebbe, uno
privo di permesso di soggiorno, ripiegare sul Cepu o su un esami da privatista -
con l’opzione
«riprova sarai più fortunato» per alcuni anni - se non è padano di denominazione
di origine
controllata e garantita, in quanto figlio di un celodurista?
A giugno dell’anno vecchio Milano sembrava «una città africana» per il
Presidente del Consiglio.
Una cosa, per lui, «inaccettabile ». E non si potevano assumere marocchini
nell’azienda di trasporti
milanese per «delicati aspetti di sicurezza pubblica» e «rischi di attentati».
Tanto i figli degli immigrati irregolari non potevano partecipare al programma
di attività ricreative e
educative offerte dalle strutture del comune di Milano nel periodo estivo. Ci è
voluto il Tribunale
per sanzionare il comportamento discriminatorio dell’amministrazione comunale.
Nello stesso mese le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali del Senato
bocciavano
l’emendamento del Pd al ddl sicurezza che chiedeva la regolarizzazione delle
badanti e delle colf in
nero che lavorano nelle famiglie italiane. Quindi era a rischio di denuncia
mezzo milione di
famiglie italiane. Cioè mezzo milione di famiglie italiane avevano in casa, per
necessità di cure ai
parenti, un’assistente “clandestina”.
Allora sulle badanti è scoppiato il dilemma: sanatoria sì o
sanatoria no? Si è deciso per il sì, per colf
e badanti. E anche per mezzo milione di famiglie italiane.
La Corte di Cassazione confermava una sentenza di condanna a due mesi per il
primo cittadino di
Verona per «propaganda di idee razziste». Gli aspiranti cittadini prendano nota.
Mentre il Presidente della Repubblica esprimeva «dubbi di irragionevolezza e
insostenibilità » sul
pacchetto sicurezza, un europarlamentare della Lega Nord si esibiva in alcuni
“cori” con frasi
ingiuriose contro i… napoletani.
Un «coro da stadio», si difendeva l’interessato Matteo Salvini. E siccome gli
stadi sono pieni di
striscioni con odio razziale, la cosa è apparsa giustificata. Esame di
cittadinanza superato.
L’8 agosto entrava in vigore il ddl sicurezza recante “Disposizioni in materia
di sicurezza pubblica”.
I cittadini avrebbero dormito sonni più tranquilli.
E siccome d’estate, si sa, fa caldo, nascevano anche divieti al burkini
nelle piscine, lungo i fiumi e
torrenti nel vercellese. Nel bergamasco una delibera della giunta comunale
leghista vietava
l’apertura di locali pubblici gestiti da immigrati nel centro storico, scelta
dettata da «esigenze di
carattere urbanistico».
Mentre Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, paragonava i respingimenti
alla Shoah, su
Facebook compariva un gioco, riconducibile alla Lega Nord, dal nome
“Rimbalza il clandestino”.
Pochi giorni dopo nasceva un altro gruppo su Facebook, dal titolo
“Immigrati clandestini: torturali!
È legittima difesa”. C’era di mezzo ancora la Lega Nord. Un suo ministro
dichiarava: «Siamo i
nuovi crociati della Chiesa».
E mentre Berlusconi andava in visita a Tripoli, alcuni migranti - tra cui donne
e bambini - venivano
respinti verso i campi di detenzione libici. Mentre Fini invocava una politica
dei diritti e la modifica
della legge sulla cittadinanza, i suoi alleati gli davano del matto.
Rigorosamente in dialetto. Il solito
Gentilini, lo sceriffo di Treviso, voleva vietare il Piave - già «vietato agli
zingari, ai tossicomani,
alle lucciole e ai gay» - anche ai musulmani.
Ma il 2009 è stato anche l’anno della caccia agli immigrati, durante i
controlli dei biglietti sui mezzi
di trasporto milanesi, con il “bus-galera”, già usato per gli ultrà.
Alcuni tra questi ultimi facevano
«innocenti cori da stadio» verso un certo Balotelli, calciatore nazionale
under-21, preso di mira per
il colore della pelle.
Mentre il ministro Maroni assicurava che la Libia rispetta i diritti
umani, in Italia girava un
documentario dal titolo “Come un uomo sulla terra” che smentiva tali
dichiarazioni. Mentre
qualcuno affermava che il reato di clandestinità “ha la stessa pericolosità di
quelli di mafia e
terrorismo” a Coccaglio, nel bresciano, il comune lanciava l’operazione “White
Christmas”. Una
caccia ai clandestini in nome del Natale, perché «il Natale non è la festa
dell’accoglienza, ma della
tradizione cristiana, della nostra identità». Mentre si discute della riforma
della legge sulla
cittadinanza la Rete G2 delle seconde generazioni ritiene che al momento la
prospettiva risulta
persino peggiore dello stato attuale delle cose.
Per l’anno nuovo si prospetta, per gli immigrati,
l’applicazione di un “accordo di integrazione”, un
accordo «articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici
obiettivi di integrazione, da
conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno». Beh, allora anche
gli immigrati
potranno imparare, in un paio d’anni, la Costituzione, la lingua italiana, gli
usi ed i costumi, le
tradizioni, le leggi ed i regolamenti ecc. Magari mentre lavorano 12 ore in un
cantiere. Magari
mentre lavorano 24 ore in una casa per accudire un ex balilla. Più o meno quello
che non riescono a
fare ancora molti italianissimi dopo 20 o 50 anni di permanenza sul patrio
suolo…
Italiano, Costituzione, usi e costumi, tradizioni, andando magari oltre quelli
di un’area che finisce ai
confini del proprio comune o della propria regione. Un po’ di
contraddizioni del vecchio si
potrebbero risolvere durante il nuovo anno. Magari iniziando con una bella
scomunica a chi si
prodiga nella «difesa delle tradizioni e identità cristiane» con metodi
razzisti. «Anche Gesù
Bambino era un migrante» ricordava recentemente il Papa. Stando ai vangeli, non
è che da grande
se la sia spassata meglio.
Mihai Mircea Butcovan il manifesto 2 gennaio 2010