Apprendisti
stregoni della paura
Un italiano su 4 non si sente sicuro quando esce di casa. Aumentano le rapine,
dilaga il traffico di
stupefacenti. Risulta dal Rapporto annuale sulla criminalità in Italia. È di 500
pagine e porta la data
del 22 giugno 2007. L’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, definì
«impressionanti» i dati
sui reati contro le donne. Il 31% delle italiane ha subìto almeno una violenza.
Di più: il 62,4% di
tutte le violenze sulle donne è stato commesso dal partner (amante o marito) e
la percentuale sale al
68,3% per le violenze sessuali e al 69,7% per gli stupri. Con tanti saluti alla
famiglia «fiore
all’occhiello della società italiana». Oggi non sono disponibili dati
«aggiornati» sull’ordine
pubblico. Ma chi di dovere può anticipare che se uscisse, in questo dannato
momento, il Rapporto
(aggiornato) sulla criminalità, ci sarebbe da preoccuparsi. E questo perché il
Rapporto dice che la
famiglia è in crisi. Non da oggi. Paradossalmente a mano a mano che il benessere
s’allargava
cresceva la domanda non già di rapporti intimi gratificati dallo scambio di
«affettuosità», cresceva
la domanda di beni. Beni banali utili per figurare diversi, cioè «più ricchi» e
quindi «più
importanti». Oltre il 74,7% degli italiani confonde il consumismo col
successo, vede negli status
symbol l’imprimatur della promozione sociale.
Negli anni (felici?) dell’immediato dopoguerra, trionfava la modestia, il
risparmio (anche feroce)
era costume di vita, garanzia di sicurezza. I valori erano valori, la famiglia
faceva blocco, ci si
aiutava tra parenti e anche amici. Non esisteva l’attuale filosofia perversa che
papa Ratzinger
denunziò, quand’era cardinale, vale a dire il Relativismo. Epperò, a dispetto
delle apparenze, dati
certi ancorché non ufficiali smentiscono il presunto crescendo della violenza:
il delitto comune è in
ribasso. Ma se la violenza reale in fatto è diminuita come si spiega che
venga percepita in aumento,
che un po’ tutti ci si senta immersi nel pericolo permanente: rapine, omicidi,
stupri? La risposta
l’affidiamo a un giornalista-umanista, Marco d’Eramo. Ci spiega che la
percezione della violenza è
aumentata anche con la diffusione di «fattacci» via radio e tv. È il prezzo che
esige la democrazia
nel rispetto della libertà d’espressione. Sulla spinta dei media, il
fattaccio più remoto (un delitto in
un borgo lucano ovvero la strage in un college americano) gonfia le agenzie di
stampa, rapidamente
veicolato nei giornali. Il delitto entra nelle case. Creando allarme,
paura.
Qui il Vecchio Cronista vorrebbe fermarsi sulla demagogia di chi cerca,
scientemente, di attizzare
quella che d’Eramo definisce «l’ansia securitate». È importante rifarsi
alla Storia. Che ci dice come
l’arma di chi pratica e predica «sicurezza», consista nel sobillare le peggiori
paure del (vulnerabile)
uomo della strada. Vortica nell’aria nostra una sorta di peronismo alla
amatriciana, occorre dunque
vivisezionare quanto ci dicono i soliti apprendisti stregoni che invocano «legge
e ordine». E c’è un
modo egregio di farlo: leggere, ascoltare, riflettere. Sceverare il grano
dal loglio. Vedere se le parole
corrispondano ai fatti, oppure cerchino di contrabbandare leggi all’apparenza
benefiche ma in fatto
repressive, lucide anticamere dello Stato autoritario.
Igor Man La Stampa 20 febbraio 2009