Applausi crudeli
alla “zingara”. La “Carmen” e l'ipocrisia
Milano applaude la zingara Carmen, ma caccia i Rom dalle loro baracche. Il
7 dicembre, festa di
Milano e della Scala, si svolge all’insegna dell’ipocrisia. La giunta
ostenta un lusso sfrenato, come
il più alto albero illuminato del mondo, che stride con la miseria di migliaia
di famiglie che non
trovano sostegno nel Comune. E soprattutto nei confronti dei più deboli tra i
deboli si esercita una
crudeltà, feroce perché colpisce chi non ha null’altro che la propria fragilità.
Almeno pochi anni fa si
lasciava partecipare alle feste, come si faceva una volta nei pranzi dei ricchi,
anche agli ultimi: le
cooperative rom mantenevano le famiglie partecipando agli appalti per
l’illuminazione natalizia, ma
poi la giunta ha deciso di togliergli questo «privilegio».
Oggi mi colpisce l’ipocrisia di Moratti e De Corato, sindaco e
vice-sindaco che, insieme alla Milano
opulenta e cieca, applaudono Carmen, la zingara libera e affascinante,
stereotipo romantico
contrapposto a quello dello zingaro ladro di bambini, dimenticando lo
sgombero di pochi giorni fa,
quello di Rubattino, che ha sradicato 40 famiglie e i loro bambini che avevano
cominciato a
integrarsi frequentando le scuole, ma già si preparano al prossimo che andrà ad
arricchire un altro
record della giunta milanese: il più alto numero di sgomberi del mondo.
Di fronte a questo io sono grata alle parole del cardinale Tettamanzi nel suo
discorso alla città: la
risposta della Città e delle Istituzioni alla presenza dei rom non può essere
l’azione di forza, senza
alternative e prospettive, senza finalità costruttive… Non possiamo, per il bene
di tutta la Città,
assumerci la responsabilità di distruggere ogni volta la tela del dialogo e
dell’accoglienza nella
legalità che pazientemente alcuni vogliono tessere. Ma mi domando: queste
parole saranno in grado
di attraversare l’ipocrisia e la crudeltà di questa giunta?
Dijana Pavlovic l'Unità 9
dicembre 2009
Campagna leghista
per condizionare il dopo-Tettamanzi
Il nodo dei rapporti fra la Lega e la Chiesa di Roma sta venendo al pettine: non
riguarda la politica o
l’immigrazione, ma la sacra potestas . Da tempo in alcune aree del paese
la Lega Nord non si
presenta solo come un partito e forza di governo: ambisce ad essere la
voce di un intero territorio,
sente di rappresentarne gli umori e in ultima analisi la cultura di fondo.
Si colloca cioè esattamente
dove il cattolicesimo italiano s’è posizionato da tempo: prima come maggioranza,
poi come
minoranza. E dunque chiede di governare la Chiesa.
Qualche equivoco deve aver dato ai dirigenti la sensazione di aver ottenuto
successi. I cattolici
chiamano spesso l’amore allo straniero, che è un precetto, «volontariato»: quasi
che fosse un
optional o un pallino per preti «di frontiera ». In quel coacervo di
problemi su cui i vescovi hanno
messo l’etichetta ciellina della «emergenza educativa» ci sono interessi
corposi, di cui in molte
amministrazioni la Lega sa di essere il regolatore. Ma in questi giorni a
Sant’Ambrogio 2009 è stato
fatto un salto di qualità, che riguarda il governo ecclesiastico.
L’arcivescovo di Milano è infatti da tempo il bersaglio di una
campagna di propaganda basata sulla
paura. A settantacinque anni compiuti, il cardinale Tettamanzi è anche un
vescovo dimissionario, ai
sensi del canone 411 del Codice di diritto canonico. Nel recente passato il Papa
ha procrastinato le
dimissioni di qualche porporato (Wojtyla, ad esempio, tenne il cardinale Siri
sulla sede di Genova
fino a 81 anni); in altre circostanze, invece sono state utilizzate brevi
proroghe (cinque mesi per il
cardinale Martini a Milano, due anni per il cardinale Ruini vicario di Roma) per
quella che si
chiama la «provisione ». La successione dunque dovrebbe essere pienamente nelle
mani del
Pontefice, che, si diceva, avrebbe scelto il nuovo arcivescovo di Milano a fine
inverno o dopo le
elezioni regionali.
Ed è su questa «campagna elettorale» che la Lega è intervenuta, con una
irriverenza utile solo per
distinguere le reazioni vere da quelle rituali o minimali. Il calcolo, però, è
stato fatto male,
malissimo. Le offese al cardinale Tettamanzi, infatti, non lo imbarazzeranno: è
un cristiano e sa che
i guai per lui verranno «quando tutti diranno bene» di lui, non ora. Ma
quelle ingiurie
rimbalzeranno direttamente a Roma, sul tavolo di Benedetto XVI:
finiranno nel fascicolo dove ci
sono i nomi dei candidati alla successione del cardinale e dove forse c’erano
già gli appunti di quel
colloquio Bossi-Bertone che, col senno di poi, sembra essere stato almeno un
regalo immeritato.
Cosa farà adesso il Papa? Farà finta di non aver sentito nulla e provvederà alla
diocesi di Milano nei
tempi che già s’era dato, anche a rischio di vedere sventolare le bandiere verdi
il giorno del
commiato dell’arcivescovo uscente? Nominerà un arcivescovo «padano» per non
crearsi noie? Farà
ricorso al tipico age contra e darà filo da torcere alle mode di una
Lombardia che voleva essere la
Baviera del sud? Terrà conto delle esigenze del braccio politico-economico
di Cl che deve metter
qualcosa sul piatto leghista per garantire una quieta rielezione a Roberto
Formigoni? Troverà nelle
infinite risorse della Chiesa una figura di cui nessuno parla, che non s’è
preparato la carriera
ricamando furbizie, tale luminescenza spirituale da spiazzare tutto e tutti?
Userà dell’arte del
governo e lascerà Tettamanzi a Milano non per sempre, ma per un altro
sant’Ambrogio...?
Lo vedremo fra poco: quel che certo è che se in Vaticano era sfuggita la
convinzione della Lega di
aver diritto a governare il territorio civile ma anche quello ecclesiastico,
adesso lo sanno tutti, ma
proprio tutti. E se «la Lega non perdona», Roma invece sì, perdona: ma spesso
non sottovaluta.
Alberto Melloni Corriere della Sera
9 dicembre 2009