Appesi al crocifisso
intervista a Daniele Menozzi a cura di Tonino Bucci
Appesi al crocifisso. La discussione è estenuante. Da un lato, c'è uno Stato
debole nel definire il
proprio spazio laico autonomo, pronto a ritrarsi e a lasciare la lanterna dei
valori in mano a chi ha il
monopolio dell'autorità spirituale. Dall'altro, una Chiesa che non ha mai
rinunciato ad abbandonare
il controllo sull'insegnamento del sapere che per secoli ha esercitato in
splendida solitudine. Il
crocifisso è diventato il simbolo di questa partita logorante che si gioca
sull'autonomia del sapere.
E, alle volte, finisce anche nelle aule di giustizia. Fa discutere anche in
Italia la sentenza che per la
prima volta in Spagna si è pronunciata contro la presenza della croce nelle aule
di una scuola
pubblica. In Italia c'è una sentenza del 1988 del Consiglio di Stato secondo la
quale, nonostante il
Concordato, i crocifissi possono restare esposti nelle scuole. Possono , ma non
devono . E' solo un
simbolo, qualcuno dice. Ma allora come si spiega l'accanimento della
discussione? Per
Daniele Menozzi - docente di storia contemporanea alla Normale di Pisa, autore
di diversi libri sulla
storia della Chiesa - la questione è più complicata. «Dall'età di
Costantino in poi la Chiesa è
convinta che senza il sostegno dell'autorità statale non può svolgere la propria
missione». La croce
negli edifici pubblici dimostra la sua aspirazione a essere presente nello
spazio pubblico.
Il controllo sull'istruzione è stato uno dei classici temi di scontro tra
Stato e Chiesa dopo
l'Unità d'Italia. Il Vaticano fece un'opposizione alla legge Casati che istituì
le scuole statali.
Non è stato un errore storico da parte della Chiesa il non aver accettato questo
aspetto della
modernità, cioè l'autonomia del sapere e della trasmissione del sapere da
qualsiasi autorità?
Il controllo dell'istruzione pubblica ha rappresentato il primo passo del
processo di laicizzazione in
Italia come in Europa. Di fronte a questo processo la Chiesa, pur sempre
rivendicando l'esemplarità
del tramontato modello di società cristiana, ha dislocato nel corso del tempo i
suoi atteggiamenti. In
una prima fase, che per comodità possiamo identificare come l'età di Pio IX, si
è verificato un
rifiuto complessivo del processo di laicizzazione, in particolare del fatto che
ci fosse
un'autonomizzazione del sapere e una sottrazione al controllo ecclesiastico
della sua trasmissione. A
questa prima fase di contrapposizione totale e di rifiuto è seguita una fase più
duttile nella quale la
chiesa ha rivendicato soltanto il controllo diretto dell'istruzione religiosa e
un indiretto controllo dei
presupposti morali del sapere. E' il periodo di Leone XIII nel quale si comincia
ad accettare
l'ineluttabilità del processo di laicizzazione: nell'ambito della
riorganizzazione del sapere si asseriva
tuttavia la necessità di una primazia ecclesiastica in quell'insegnamento
religioso che doveva anche
fornire le basi della morale pubblica. Su questa impostazione di fondo
nell'età di Pio X si è avanzata
un'ulteriore precisazione: l'autonomia del sapere non poteva esistere nel campo
delle scienze
religiose, anche quelle a base filologica o critica. Insomma si è definita una
risposta al processo di
laicizzazione e all'autonomizzazione del sapere attraverso un processo storico
nel corso del quale la
chiesa ha via via messo a punto la sua linea.
La posizione della Chiesa di Pio IX si attestava su una condanna totale
all'autonomia
dell'insegnamento nella scuola statale. Era la cultura laica nella sua totalità
a essere colpita,
che si trattasse di quella liberale o di quella a ispirazione socialista. Non
crede che nella
Chiesa attuale ci sia di nuovo la tentazione di delegittimare in blocco
l'insegnamento di una
cultura laica?
Oggi la Chiesa ha ulteriormente specificato le proprie posizioni introducendo
una distinzione.
Nell'ambito dell'istruzione e della cultura esiste un settore in cui si ritiene
legittimo un sapere
profano e una sua organizzazione secolarizzata. Accanto a questo settore ne
esistono però altri in cui
la conoscenza e la trasmissione della conoscenza deve essere sottoposta alle
norme etiche che la
chiesa ritiene universalmente valide in quanto inerenti alla natura dell'uomo di
cui la chiesa stessa si
proclama custode e depositaria. Il concetto spesso introdotto dall'autorità
ecclesiastica di "sana
laicità", di "legittima laicità", di "laicità positiva", di "nuova laicità",
ecc. corrisponde a questa
differenziazione: essa riserva all'autorità ecclesiastica la decisione di quali
siano i confini tra un
sapere che è legittimamente profano e un sapere che invece deve essere condotto
e guidato dalla
chiesa perché in caso contrario il consorzio civile va verso il disastro e la
cancellazione stessa della
dignità umana. Da questo punto di vista ritorna quel giudizio intransigente
sulla cultura moderna
che guardava alla modernità in termini apocalittici. Emerge infatti la
convinzione che, se lasciata a
se stessa, la scienza possa condurre in un baratro. Dunque ci devono essere
settori della scienza
sottoposti a un controllo etico e la chiesa rivendica il privilegio di poterli
guidare.
L'istruzione è un terreno decisivo. Qui la Chiesa gioca una partita decisiva
per il suo
confronto-scontro con la modernità. Se vuole negare autonomia al sapere laico
deve
scardinare la scuola pubblica. O no?
Direi di sì. La chiesa ha ritenuto decisivo questo settore del sapere. E l'ha
ritenuto tanto più
importante in quanto ha attribuito per lungo tempo alla scienza la funzione di
erodere il consenso di
cui essa godeva. Oggi nel momento in cui vede le difficoltà e le incertezze
della scienza nello
stabilire i propri confini etici, la chiesa coglie una buona occasione per
tornare a rivendicare quel
controllo che aveva perso sul sapere: si tratta di superare quella condizione a
cui a lungo aveva
attribuito una delle ragioni del regresso della sua presenza egemonica nella
società.
Lo scontro sulla scuola si riaccende sulla questione simbolica del crocifisso
nelle aule. Non c'è
nessun obbligo di legge a esporre nelle scuole il crocifisso. Eppure la Chiesa
ne fa una
questione di principio. La Croce diventa simbolo di un fondamentalismo
identitario contro i
pericoli del relativismo laico o dell'islamizzazione della società. Ma così la
Chiesa non snatura
il significato originario di questo simbolo?
La questione del crocefisso negli edifici scolastici è legata a una convinzione
di fondo, enfatizzata
dalla prassi concordataria che da Napoleone in poi si è sviluppata nel corso
dell'età contemporanea,
ma radicata in una persuasione antica: alla Chiesa tocca la produzione di quei
valori ultimi su cui si
fonda la convivenza civile. In questa ottica il potere politico ha garantito
alla Chiesa il proprio
appoggio e la Chiesa lo ha accettato, ritenendolo indispensabile per lo
svolgimento della propria
missione. Nei concordati questo rapporto di sostegno reciproco tra i due
poteri si è tradotto anche
sul piano scolastico e la presenza del crocefisso ne è una conseguenza. A me
pare che solo un
mutamento di quest'ottica "costantiniana" possa alla fine risolvere la polemica
attorno al crocifisso e
restituire questo simbolo religioso a quel valore che aveva prima dell'età in
cui Chiesa e Stato si
sono reciprocamente sostenuti. Ma il problema, oggi, è reso più difficile
dall'esistenza di uno Stato
quanto mai debole, che si palesa incapace, soprattutto, di indicare i valori
della collettività, le
ragioni della convivenza, i principi del bene comune. Questo Stato sembra avere
un forte bisogno di
qualcuno che produca i valori simbolici attorno a cui aggregare la comunità.
Insomma da un lato è
in questione da parte della Chiesa la capacità di ritrovare la propria
condizione originaria, quella
esistente prima della svolta costantiniana. Dall'altro lato esiste il problema
da parte dello Stato di
riuscire a fondare le ragioni del vivere collettivo indipendentemente
dall'appoggio e dal sostegno
proveniente dal religioso.
Qual è il modello d'istruzione al quale guardano le gerarchie ecclesiastiche?
La Chiesa attuale
preferisce consolidare il monopolio dell'insegnamento religioso nella scuola
pubblica, e magari
modificare a proprio favore la didattica generale, oppure favorire le scuole
private cattoliche?
L'impressione è che la Chiesa voglia giocare su entrambi i
tasti. Da un lato, tende a sfruttare tutti gli
spazi possibili all'interno della scuola pubblica. Il fatto che ci siano
insegnanti di religione pagati
dallo Stato, ma scelti dall'autorità ecclesiastica, è la dimostrazione più
evidente che questo tipo di
orientamento è ben presente ed è accettato dallo Stato che ormai manifesta un
deficit di laicità
rispetto alla coscienza comune. Dall'altro lato la Chiesa punta anche ad
attivare delle scuole private
che abbiano un'impostazione cattolica, cercando di mobilitare risorse sia
private che pubbliche a
questo scopo. Credo che occorra a questo proposito fare una riflessione. Nel
momento in cui la
chiesa promuove le scuole private non può fare a meno di riconoscere anche alle
altre confessioni lo
stesso diritto. A quel punto dovremmo avere scuole private cattoliche, scuole
private musulmane,
scuole private buddiste e così via. Di per sé nulla di male. Ci sono società
come quella americana in
cui questo avviene. Ma un conto è che questo fenomeno si produca in un paese in
cui non c'è una
prassi concordataria e in cui un quadro di solida laicità da tempo garantisce un
pacifico pluralismo
religioso, un conto invece è che questa promozione di scuole confessionali si
verifichi nell'ambito di
ordinamenti pubblici in cui la laicità appare piuttosto debole. In questa
situazione il rischio di tali
iniziative sta nel favorire la caduta di un collante collettivo. Insomma il
giocare sul duplice binario intervento
sulla scuola pubblica e promozione delle scuole private - potrebbe avere effetti
pericolosi
sulla convivenza civile in una situazione, come la nostra, in cui la laicità è
assai fragile.
Liberazione 25 novembre 2008