Antigone. Prima l’amore poi il dovere


 A Tebe la protagonista del dramma di Sofocle antepone la fedeltà al fratello ucciso all’ordine di patria imposto dal re: ecco il mito narrato dalla pensatrice per una rivista operaia francese degli anni Trenta

Obbedienza. La fedeltà al fratello sconfitto è più forte di quella alla patria

Al re: «È proprio perché ho fatto il bene che mi fa tanto male...»

Sono passati circa duemilacinquecento anni da quando in Grecia si scrivevano bellissimi poemi. Ormai, a leggerli, sono quasi soltanto coloro che si specializzano in questo studio, ed è un peccato. Perché questi antichi poemi sono talmente umani da essere ancora molto vicini a noi e possono interessare tutti. Sarebbero persino molto più commoventi per quanti sanno cosa significhi lottare e soffrire, piuttosto che per coloro che hanno trascorso la loro vita tra le quattro mura di una biblioteca.
Sofocle è uno dei più grandi tra questi antichi poeti. Ha scritto componimenti teatrali, drammi e commedie; di lui non conosciamo più che pochi drammi. In ciascuno di questi drammi, il personaggio principale è un essere coraggioso e fiero, che lotta da solo contro una situazione intollerabilmente dolorosa; è piegato dalla solitudine, dalla miseria, dall’umiliazione e dall’ingiustizia; alle volte il suo coraggio si spezza; ma tiene duro, e non si lascia mai abbattere dalla sventura. Così questi drammi, benché dolorosi, non lasciano mai un’impressione di tristezza. Resta piuttosto una sensazione di serenità.

Antigone è il titolo di uno di questi drammi. Il soggetto del dramma consiste nella storia di un essere umano che, completamente solo, senza alcun sostegno, entra in contrasto con il proprio paese, con le leggi del suo paese, con il capo dello Stato, e che naturalmente è subito messo a morte.
Ciò accade in una città chiamata Tebe. Due fratelli, dopo la morte del padre, si sono contesi il trono; uno dei due è riuscito a esiliare l’altro ed è diventato re. L’esiliato si è procurato degli appoggi all’estero; è ritornato per attaccare la sua città natale, a capo di un esercito straniero, nella speranza di rimpossessarsi del potere. C’è stata una battaglia; gli stranieri sono stati messi in fuga; ma i due fratelli si sono rincontrati sul campo di battaglia e si sono uccisi.
Il loro zio diventa re. Decide che i due cadaveri non verranno trattati allo stesso modo. Uno dei due fratelli è morto per difendere la patria; il suo corpo verrà sepolto con tutti gli onori opportuni. L’altro è morto mentre assaltava il proprio paese; il suo corpo sarà abbandonato sul suolo, lasciato in preda alle bestie e ai corvi. Bisogna sapere che, nella cultura greca, non esisteva peggiore sventura né peggiore umiliazione che l’essere trattati in questo modo dopo la morte. Il re comunica la sua decisione ai cittadini, e fa sapere che chiunque tenterà di seppellire il cadavere maledetto verrà punito con la morte.
I due fratelli morti hanno lasciato due sorelle che sono ancora due ragazze. Una di queste, Ismene, è una fanciulla dolce e timida come se ne vedono ovunque; l’altra, Antigone, ha un cuore amorevole e un coraggio eroico. Non può sopportare il pensiero che il corpo di suo fratello sia trattato in modo così disonorevole. Tra i due doveri di fedeltà, la fedeltà al fratello sconfitto e quella alla propria patria vittoriosa, non esita un istante. Si rifiuta di abbandonare suo fratello, il fratello la cui memoria è maledetta dal popolo e dallo Stato. Decide di seppellire il cadavere nonostante il divieto del re e la minaccia di morte.
Il dramma inizia con un dialogo tra Antigone e sua sorella Ismene. Antigone vorrebbe farsi aiutare da Ismene. Ismene è impaurita; il suo carattere la predispone più all’obbedienza che alla rivolta. (...) Agli occhi di Antigone, questa sottomissione è vigliaccheria. Agirà da sola. (...) Ci si accorge presto che qualcuno ha cercato di seppellire il cadavere; non si tarda a cogliere Antigone sul fatto; la si conduce davanti al re. Per lui, in questa situazione si tratta prima di tutto di una questione di autorità. La legge dello Stato esige che l’autorità del capo sia rispettata. In ciò che Antigone ha appena fatto, egli vede anzitutto un atto di disobbedienza. Vi scorge anche un atto di solidarietà a un traditore della patria. Per questo le parla duramente.
Quanto a lei, non nega niente. Sa di essere perduta. Ma non si turba nemmeno per un istante.
I tuoi ordini, secondo me, hanno meno autorità delle leggi non scritte e imprescrittibili di Dio. Tutti coloro che sono qui presenti mi approvano. Lo direbbero, se la paura non chiudesse loro la bocca. (...) Io non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore.
A queste parole commoventi, il re risponde con una condanna a morte:
E allora! Vai nella tomba, e ama i morti se hai bisogno d’amare.
Arriva Ismene; vorrebbe adesso condividere la sorte della sorella, morire insieme a lei. Antigone non lo permette, e cerca di calmarla.

LA CITTÀ È DI CHI COMANDA?
Il re fa portare via le due giovani. Ma suo figlio, che è promesso sposo di Antigone, va a intercedere presso di lui in favore di colei che ama. Il re vede in questo tentativo solo una nuova offesa alla sua autorità. Si adira violentemente quando il giovane uomo si permette di dire che il popolo ha pietà di Antigone. La discussione sfocia immediatamente in un litigio. Il re esclama:
Non spetta a me solo comandare questo paese?
Non esiste città che sia di un solo uomo.
La città non appartiene dunque a chi comanda?
Tu potresti ben regnare, a questo punto, da solo su un paese deserto.
Il re s’interstardisce; il giovane uomo s’infuria, non ottiene nulla, e va via disperato. Alcuni cittadini di Tebe, che hanno assistito al litigio, ammirano la potenza dell’amore. (...)
In questo momento appare Antigone, portata dal re. La tiene per le mani, la conduce alla morte. Non la ucciderà, perché i Greci credevano che portasse sventura versare il sangue di una giovane; ma farà di peggio. La seppellirà viva. La metterà dentro una caverna e murerà la caverna, perché agonizzi lentamente nelle tenebre, affamata e asfissiata. Non le restano più che pochi istanti. Adesso che si trova alle soglie della morte, e di una morte così atroce, la fierezza che la sosteneva si spezza. Piange.
Antigone non sente alcuna parola di consolazione. Coloro che si trovano là si guardano bene, in presenza del re, dal mostrare qualche segno di simpatia. Si accontentano di ricordarle freddamente che avrebbe fatto meglio a non disobbedire. Il re, con il tono più brutale, da l’ordine di affrettarsi. Ma Antigone non può ancora decidersi al silenzio:
Ecco che mi trascina presa nelle sue mani, me vergine, me senza sposo, me che non ho avuto la mia parte né del matrimonio né nell’allevamento dei bambini. (...) Quale crimine ho dunque commesso davanti a Dio? (...) Ah! È proprio perché ho fatto il bene che mi fanno tanto male. (...) Se sono loro che hanno torto non auguro loro dolori maggiori di quelli che mi fanno subire ingiustamente.
Il re perde la pazienza e finisce per trascinarla con la forza. Egli ritorna dopo aver fatto murare la caverna dove l’ha spinta. Ma sarà adesso il suo turno di soffrire. Un indovino che sa predire l’avvenire gli annuncia le più grandi sventure se non libera Antigone; dopo una lunga e violenta discussione, cede. Viene aperta la caverna, e Antigone è trovata già morta, perché è riuscita a strangolarsi; viene trovato anche il suo promesso sposo che abbraccia convulsamente il cadavere. Il giovane uomo si era lasciato murare volontariamente. Non appena intravede suo padre, si alza e, in un impeto di furore impotente, si uccide davanti ai suoi occhi. La regina, quando apprende il suicidio di suo figlio, si uccide a sua volta. Viene annunciata questa nuova morte al re. Quest’uomo che sapeva parlare così bene come capo crolla annientato dal dolore. E i cittadini di Tebe annunciano: Le parole altezzose degli uomini superbi si pagano con terribili sventure; è così che invecchiando essi imparano la moderazione.

 

Simone Weil   ( 1909 –1943, mistica e filosofa ebrea e francese ),  L'Unità 25.9.09