I fatti (assoluti) del fascismo
Il fascismo “male assoluto”, come ha affermato Gianfranco Fini, o male relativo,
come ha sostenuto pochi giorni fa il suo confusionario allievo Gianni Alemanno
sindaco di Roma? Andiamo a vedere allora i principali guasti prodotti dal
fascismo, in dati e cifre.
La soppressione dei diritti e delle libertà
Parte da lontano, con le sopraffazioni delle squadracce fasciste che
seminano morte e terrore, con la “notte di fuoco” di Firenze, con la colonna
Brandimarte a Torino, col rogo delle grandi cooperative ravennate preludio alla
Marcia su Roma. Decine e decine di morti, centinaia di feriti, devastazione di
Camere del lavoro e di partiti. Mussolini sa scegliere chi colpire: un parroco,
don Giovanni Minzoni, ad Argenta, ucciso a bastonate nel 1923; il socialista
Giacomo Matteotti, il più tenace e popolare fra i leaders parlamentari, rapito
ed ucciso nel giugno 1924; il liberale Giovanni Amendola, ex ministro,
selvaggiamente picchiato a Montecatini, morto nel 1926, come Piero Gobetti, il
più giovane e originale fra gli oppositori, che si spegne a Parigi dopo
violentissime percosse; il giovane dirigente comunista Gastone Sozzi, torturato
e “suicidato” nel carcere di Perugia nel 1928; il liberalsocialista Carlo
Rosselli, promotore della partecipazione alla guerra di Spagna («Oggi in Spagna,
domani in Italia»), assassinato in Francia assieme al fratello Nello nel 1937;
Antonio Gramsci duramente condannato e fatto marcire in carcere fino alla morte,
in clinica, nel 1937.
Con le leggi speciali del 1926 vengono dichiarati decaduti i deputati
dell’opposizione, abolita la libertà di stampa (il sindacato giornalisti, che
resiste, è sciolto d’autorità), soppressi i giornali di opposizione, sciolti i
partiti, istituito il Tribunale Speciale e il confino di polizia, ripristinata
la pena di morte.
Elezioni abolite
Mussolini va al potere, complice il re, col colpo di Stato della marcia su Roma
dell’ottobre ‘22 (l’anno prima ha raccolto pochi voti). Poi si taglia su misura
una legge elettorale maggioritaria. Con la quale si vota nel 1924, una parvenza
di democrazia. Matteotti, che denuncia, durissimo, alla Camera violenze,
intimidazioni e brogli, viene eliminato poche settimane dopo. Si tengono due
grotteschi plebisciti sul regime, nel 1929 e nel 1934. Votare “no” su di una
scheda trasparente vuol dire venire bastonato fuori dal seggio. Nel 1929 sono
135.773 a votare così. Poi vale soltanto la tessera del Partito Nazionale
Fascista senza la quale non si può lavorare, negli uffici pubblici, nella
scuola, ma un po’ dovunque. Viene imposto ai docenti universitari il giuramento
di fedeltà al regime: in dodici non giurano, altri hanno già perso o perderanno
la cattedra per antifascismo (Salvemini, Lionello Venturi, Borgese), altri
ancora si mascherano per cospirare.
Tribunale Speciale
Istituito il 5 novembre 1926, durerà fino al 25 luglio 1943. I processati sono
migliaia, i condannati circa 4.600 (dei quali 697 minorenni) per oltre 28.000
anni di carcere irrogati complessivamente. In maggioranza si tratta di operai e
artigiani, per lo più comunisti. Giovani, sui trent’anni in media. Il trentenne
Umberto Terracini, condannato nel 1926, trascorrerà ininterrottamente in galera
e al confino circa 17 anni, venendo liberato dopo la caduta di Mussolini nel
‘43. È ebreo e due volte espulso dal Pci per antistalinismo. Giancarlo Pajetta
viene processato e duramente condannato a 17 anni appena. Trentuno le esecuzioni
capitali. Altre centinaia di antifascisti devono espatriare clandestinamente.
Uno dei più importanti fra gli esuli, Filippo Turati, viene fatto fuggire da
Sandro Pertini, poi carcerato a lungo, e da altri (l’auto è guidata
dall’industriale ebreo Adriano Olivetti).
La politica economica
Vengono soppresse anche le libertà sindacali e vietati gli scioperi. Per tutto
il ventennio la compressione dei salari è costante. L’indice delle retribuzioni
pari a 127 nel 1921, prima dell’avvento di Mussolini, tocca un minimo storico
nel 1926 con 111,6. Per tornare al livello del 1921 bisognerà aspettare il 1949.
Il fascismo non applica la nominatività ai titoli azionari, abolisce subito la
commissione per i sovraprofitti di guerra, l’imposta di successione e quella sui
capitali di banche e industrie, sblocca i fitti, ecc. I salvataggi industriali
saranno pagati dalla collettività. Lo Stato corporativo rimane sulla carta.
Leggi razziali
Nel 1938 agli italiani di “razza ebrea” sono vietati tutti gli incarichi
pubblici, le scuole statali, il contatto stesso con gli “ariani”, l’esercizio di
numerose attività commerciali, compresa la licenza di un taxi, l’ingresso nelle
pubbliche biblioteche e così via. Poi la Shoa. I cittadini di origine israelita
non sono mai stati molti in Italia. Stavolta muoiono in tanti. La comunità
romana registra oltre 2.000 deportati, dei quali appena 16 tornano vivi. Intere
famiglie risultano annientate in tutta Italia.
Fra guerra e Resistenza
Il fascismo vuole l’entrata in guerra a fianco di Hitler, pur conoscendo la
totale impreparazione del nostro esercito. Risultato finale (oltre a città
distrutte, infrastrutture territori devastati): 330.000 militari caduti o
dispersi e 85.000 civili deceduti. Circa 650.000 soldati e 30.000 ufficiali
italiani vengono internati in Germania (dopo i massacri di massa a Cefalonia e a
Corfù) dopo l’8 settembre ‘43. Nella quasi totalità rifiutano di aderire alla
Repubblica di Salò e patiscono una dura prigionia, così che oltre 41.400 di essi
moriranno nei lager. Una pagina di storia e di amor patrio straordinaria e
pochissimo conosciuta.
Alla Resistenza partecipano circa 300.000 fra italiani e italiane: le donne
fucilate o impiccate saranno 2.812, oltre mille cadono negli scontri coi
nazifascisti. In totale i morti della Resistenza, in combattimento o dopo la
cattura, sono oltre 44.000. Altrettanti i militari del Corpo di Liberazione
caduti a fianco degli Alleati anglo-franco-americani. Le stragi di cittadini
inermi perpetrate dai nazifascisti si contano in oltre 400, per circa 15.000
vittime, da Castellaneta a Bolzano, compiute dalle Ss, da militari della
Wermacht in ritirata, col sostegno spesso dei militari di Salò. Ben 695 i
fascicoli delle stragi sepolti negli “armadi della vergogna” (come li ha
chiamati Franco Giustolisi) e appena una decina i processi. Il sindaco di Roma
Alemanno non considera il fascismo il “male assoluto”.
Giudicate da voi da questa sintesi estrema di nudi fatti, di crude cifre.
Vittorio Emiliani l’Unità 9.9.08
Antifascismo. La Repubblica condivisa
«Il Presidente della Repubblica ha ricordato la dignità dei militari italiani
che furono deportati in Germania perché rifiutarono di aderire alla Repubblica
di Salò. Di diverso avviso il ministro della Difesa». Cito dal Tg 1, ore 20, 8
settembre. In linguaggio deliberatamente piatto non nasconde il fatto certamente
eccezionale: il ministro della Difesa La Russa, post-fascista, è di «diverso
avviso» sul fascismo.
Infatti la vera frase del ministro è un omaggio alla Repubblica fascista di Salò
nel giorno in cui il capo dello Stato stava celebrando, da solo, la Resistenza
contro i tedeschi a Roma. C’era anche il sindaco di Roma, alla cerimonia,
Alemanno, post-fascista anche lui. Il sindaco aveva detto il giorno prima il suo
sentimento di rispetto verso il fascismo. Dunque, per prima cosa, è doveroso
inviare da questo giornale un pensiero grato e solidale al Presidente Napolitano
che ha celebrato la Resistenza italiana non con le autorità presenti ma insieme
a tutti gli italiani che, come lui, credono nella Resistenza e nella
Costituzione.
Per i più giovani, forse, è utile un chiarimento.
Che cos’è il fascismo? È un progetto di potere che non bada a spese di
vite umane per affermare e rafforzare quel potere. Ha due nemici:
chiunque all’interno di un Paese colpito dal fascismo, si opponga. E chiunque (o
qualunque altro Paese) fuori dai confini nazionali, sia o diventi ostacolo
all’espandersi del regime fascista. Ha tre comandamenti che, in Italia, erano
scritti a caratteri immensi su tutti i muri: «Credere, Obbedire, Combattere». Il
primo comandamento impone l’accettazione fanatica di una dottrina inventata. Nel
caso italiano si chiamava «mistica fascista». I praticanti di quella mistica
(cittadini di tutte le età) non avevano scampo. L’intimazione di credere è
sempre una intimazione violenta. Significava che un livello superiore, forte
abbastanza da lanciare quella intimazione, aveva conquistato potere assoluto con
sangue, sottomissione, violenza e complicità.
Obbedire significava l’umiliazione di tutti davanti ai pochi che decidono
di vita e di morte. Ci sono sempre, nella storia di tutti i popoli. Sono sempre
i peggiori. E cadono fuori dalla storia a causa delle rivolte di libertà. Ma
quando comandano non badano a sangue, dolore, umiliazione, morte per farsi
ubbidire.
Combattere è il comandamento obbligato. Se sei fascista, o sottoposto al
fascismo, c’è sempre qualcun altro da uccidere, persona, famiglia, gruppo o
popolo.
Il fascismo per vivere ha bisogno di censura ferrea al fine di impedire anche il
minimo alito di libertà. Il fascismo ha bisogno di paura perché ognuno, fascisti
e non fascisti, resti al suo posto senza discutere. Il fascismo ha bisogno di
miti per organizzare riti che sono sempre evocazioni di stragi. Quei miti sono
invenzioni nel vuoto di cultura e di storia, e quei riti sono sempre armati, in
attesa che siano pronte nuove vittime da immolare sugli altari della Patria.
La Patria è un mostro al quale, come tributo di grandezza e di difesa dei sacri
confini, bisogna sempre tributare un doppio sacrificio: i propri figli, mandati
comunque a combattere, dopo aver creduto e obbedito, perché non ci può essere
pace fino alla vittoria del fascismo (al di là di un mare di sangue). E il
sacrificio di altri popoli, scelti secondo una fantasia arbitraria (il fascismo
non deve rendere conto a nessuno) dunque malata, in base a una dottrina di
sangue, anch’essa malata che predica: «molti nemici molto onore». Vuol dire che
a ogni guerra segue altra guerra, ad ogni persecuzione altra persecuzione.
Il fascismo italiano, giunto a uno dei momenti più alti e pieni del suo
mortuario potere (1938) ha visto e identificato gli ebrei, gli ebrei italiani
(italiani da secoli, al punto che persino alcuni di essi erano e si dichiaravano
fascisti) come nemico finale e mortale.
Nemico da identificare, braccare, catturare, distruggere.
Per sapere quanto il progetto fosse esteso e totale, profondamente fascista e
completamente auto-generato dal fascismo, basterà rileggere il pacchetto delle
leggi razziali italiane. Da esse non traspare l’impeto brutale e cieco di un
momento di barbarie. Si tratta invece di un disegno accurato e giuridicamente
impeccabile per sradicare ogni vita, ogni professione, ogni lavoro, dal
laticlavio senatoriale al lavoro manuale. L’impossibilità di dare, di avere, di
possedere, di lavorare, di restare, di andare via, di essere padri, madri,
coniugi, figli, fratelli, neonati, malati, vegliardi morenti, bambini nelle
scuole. Tutto chiuso, impedito, escluso, proibito, vietato, ogni porta murata
subito e per sempre.
Quando, da parlamentare della tredicesima legislatura, ho scritto, firmato,
fatto firmare (anche da deputati di Forza Italia e di An) la «legge che
istituisce il Giorno della memoria», questo ho inteso fare: affermare che la
Shoah è un delitto italiano. Senza le leggi italiane e il silenzio quasi totale
degli italiani, la Germania nazista non avrebbe potuto imporre a tutta l’Europa
il suo delitto. Tremendo delitto. Ne è una prova la Bulgaria dove - come
testimonia in un suo non dimenticato libro Gabriele Nissim - il presidente del
Parlamento locale Dimitar Peshev, uomo di destra in un Paese occupato da
tedeschi nazisti e da italiani fascisti, si è rifiutato, insieme alla sua
assemblea, di approvare le «leggi per la difesa della razza» scrupolosamente
copiate dal modello italiano. I persecutori tedeschi e italiani non hanno potuto
toccare un solo cittadino ebreo bulgaro.
«Il Giorno della memoria», vorrei ricordare a chi ne ha discusso su questo
giornale ieri, esiste non per dare luogo a una cerimonia, ma per ricordare che
gli ebrei italiani e gli ebrei stranieri che avevano creduto di trovare rifugio
in una Italia buona, sono stati cercati, isolati, catturati e messi a
disposizione dei carnefici tedeschi da fascisti italiani. E tutto ciò è avvenuto
nel silenzio di altri italiani che a quel tempo avevano un’autorità e un ruolo.
I perseguitati, in Italia, sono stati aiutati e salvati, quando possibile, quasi
solo da persone e famiglie che hanno rischiato in segreto la vita, dunque da
persone verso cui l’Italia ha un debito immenso (l’Italia, non gli ebrei che non
avrebbero dovuto essere vittime), un debito che non è mai stato riconosciuto o
celebrato. È anche per questo - ricordare e onorare l’italiano ignoto che non ha
ceduto, che non ha ubbidito, che non ha combattuto la sporca guerra della razza,
che esiste il «Giorno della Memoria».
Ma esiste anche per ricordare che il Parlamento fascista italiano ha approvato
all’unanimità, al grido di «viva il Duce» alla presenza di Mussolini, le leggi
dette «per la difesa della razza», articolo per articolo, fra discorsi
deliranti, il cui testo si può ancora trovare negli archivi di Montecitorio, e
frenetici applausi.
«Il Giorno della memoria» esiste per rispondere a chi osi pronunciare la
inaccettabile frase sull’«onore dei combattenti di Salò», per esempio l’attuale
ministro Italiano della Difesa La Russa. I combattenti di Salò sono stati coloro
che hanno cercato, arrestato, ammassato nelle carceri italiane e poi consegnato
alle guardie e ai treni nazisti quasi tutti gli ebrei italiani che nei campi di
sterminio sono scomparsi. Sono stati quegli onorati combattenti di Salò a
consegnare Primo Levi ai nazisti per il trasporto ad Auschwitz. Negli Stati
Uniti, nessuno, per quanto di destra, si sognerebbe di difendere la schiavitù
come una onorevole pagina della storia americana. E in nessun paese d’Europa si
è mai assistito a una celebrazione di governo verso coloro che hanno collaborato
con i nazisti e fascisti che occupavano i loro Paesi.
Le parole del sindaco di Roma e del ministro della Difesa italiano sono più
gravi perché riguardano l’immenso delitto della Shoah di cui l’Italia fascista è
stata co-autrice e co-protagonista. E’ vero che l’Italia fascista, con il suo
codice di violenza, il suo impossessamento crudele delle colonie (di cui
Gheddafi, oggi ha chiesto e ottenuto il conto) e la sua relativa modernizzazione
dell’Italia ha avuto in quegli anni un suo prestigio e un suo peso in Europa. Ma
proprio per questo il delitto razziale italiano si è esteso al peggio di tutta
la sanguinosa Europa fascistizzata, e la responsabilità del regime italiano in
quegli anni e in quel delitto è stata immensa.
Molti avranno notato che il Presidente della Repubblica, l’8 settembre a Roma,
ha parlato da solo a nome dell’Italia libera (libera dal fascismo e dalla
persecuzione razziale) nata dalla Resistenza e ha indicato il solo vero valore
condiviso: la Costituzione.
È un giorno di tristezza e vergogna per coloro che c’erano, in Italia, quando
gli ispettori della razza entravano nelle scuole, quando le brigate nere
provvedevano a trovare e consegnare ai tedeschi gli italiani ebrei. Ed è bene
ricordare al ministro della Difesa di questa Repubblica, nata dalla Resistenza
che gli è estranea, che nella sua Repubblica di Salò i delatori venivano
compensati (dai fascisti, non dai tedeschi) con lire cinquemila per ogni ebreo
catturato e mandato a morire.
È un giorno di gratitudine verso Giorgio Napolitano che ha detto agli spettatori
di sequenze televisive che saranno sembrate un film brutto come un incubo, che è
la Resistenza, non Salò, il fondamento dell’Italia democratica, che è la
Costituzione antifascista il nostro codice condiviso.
Il resto, aggiungo in nome della memoria che ho cercato di mantenere viva nella
legge che porta quel nome, è spazzatura della storia.
furiocolombo@unita.it
Furio Colombo l’Unità 9.9.08