Andare a votare guidati dalla
ragione
Il pericolo c´è, ed è reale. Una bolla di
stanchezza e di disperata indifferenza - non sappiamo quanto vasta -
rischia di installarsi nel cuore civile e politico del Paese, e di
risucchiare dentro di sé - verso l´astensione - una parte che potrebbe
rivelarsi anche non trascurabile dell´elettorato tradizionalmente, o
anche solo potenzialmente, "progressista". E infatti è inutile
nasconderselo: fra il popolo della sinistra italiana (per favore, non
chiamiamolo più "gente"), e i partiti in cui dovrebbe riconoscersi, mai
la distanza e l´incomprensione sono state tanto forti e diffuse. Nello
scollamento c´è di tutto: vuoto di idee, logoramento di parole,
consunzione di gruppi dirigenti - insomma, un´autentica caduta verticale
della rappresentanza. È, purtroppo, la nostra Italia: e Michele Serra ne
ha appena dato, ieri, su questo giornale un ritratto impeccabile.
A questo sentimento di disaffezione è inutile opporre la logica delle
convenienze tattiche, o il richiamo delle appartenenze: chi ne è preso,
è ormai al di là della soglia raggiungibile con discorsi di tal genere.
Ma non dovrebbe tuttavia essere insensibile alla forza della ragione.
Cos´è mai stata, la sinistra, senza ragione, senza pensiero, senza
analisi, ricerca, capacità di mettere in prospettiva situazioni ed
eventi? Ed è dunque alla ragione molto più che al cuore che bisogna
parlare, in questo momento - e soprattutto, alla ragione dei giovani.
Proviamo allora a farlo.
Per prima cosa, bisogna stare attenti a non lasciarci abbagliare dalle
difficoltà del Pd (per non dire dei partiti alla sua sinistra), fino a
non vedere un altro aspetto della realtà politica che ci circonda. Vale
a dire, il fatto che in Italia, come del resto in Europa e in tutto
l´Occidente, sta tornando con forza inaspettata, sull´onda della crisi,
e malgrado le inadeguatezze dei suoi partiti "storici", rimasti
drammaticamente indietro, un grande e inedito "bisogno di sinistra": nel
senso di una nuova domanda di politica (mentre la destra si era fatta
interprete solo del populismo antipolitico), di regole condivise (mentre
la destra aveva fatto dell´anarchia mercatista la sua bandiera), di
legami sociali (mentre la destra si era appagata di un individualismo
acquisitivo e consumista che faceva il deserto intorno a sé), di misura
e di eguaglianza come parità nelle opportunità di vita e nelle
possibilità di accesso alle risorse e alle conoscenze (mentre la destra
non aveva saputo che elevare a proprio simbolo la "dismisura" privata
del suo leader). Se si guarda bene, si vede che lo scarto fra il popolo
della sinistra e la sua rappresentanza politica è tanto più acuto,
quanto più quella frattura comincia a rivelare questo secondo scompenso:
fra le nuove domande rese urgenti dalla crisi, e le risposte che quei
partiti, qui e ora, sono in grado di offrire.
Se le cose stanno in questi termini, è comunque indispensabile che
il nuovo "bisogno di sinistra" - come esigenza di una politica, di
un´etica e di un´economia guidate da una progettualità sociale che non
trovi nel mercato e nei consumi la sua sola razionalità -
emergente dalla forza stessa del presente, non si disperda, trovi il
tempo e lo spazio per cristallizzarsi e per presentarsi per quello che è
davvero: uno straordinario motore di innovazione e di cambiamento. Ma se
invece la reazione a tutto ciò è l´astensione - perché riusciamo a
vedere solo il vecchio dei partiti e non la novità dirompente che gli si
sta formando intorno - noi rendiamo irriconoscibile politicamente e
socialmente la domanda di una nuova cultura della misura, delle regole,
della sobrietà, della stessa accumulazione capitalistica e dello stesso
rapporto fra valore d´uso e valore di scambio (è Manuel Castells ad
usare questi termini, non qualche dinosauro paleomarxista); in altri
termini, noi renderemmo clandestina niente di meno che la domanda di un
mondo nuovo.
E c´è poi un altro ordine di considerazioni, non meno impegnativo e
concettualmente vincolante.
È in atto in Italia un tentativo di sfondamento populista della
coscienza politica del Paese, di totalizzazione plebiscitaria del suo
senso comune, e quindi di scarnificazione della nostra democrazia. Esso
fa leva su strati profondi del carattere nazionale, e cerca di esaltare
pulsioni antiche, selezionate da una storia millenaria. Non
credo sia un´operazione destinata al successo: per il berlusconismo è
piuttosto un´incendiarsi del cielo al tramonto, che l´annuncio di una
nuova alba. Ma questo non toglie che già il solo provarci stia
riempiendo il terreno di scorie e gli animi di tossine, e che qualunque
intrapresa in questa direzione vada contrastata con estrema decisione.
Ogni giorno che passa l´orizzonte si colma di macerie. Probabilmente,
anche Fini lo sta capendo benissimo, e forse comincia a capirlo almeno
una parte della Chiesa. Ma di nuovo, l´astensione renderebbe
irriconoscibile questa volontà di opporsi («non in mio nome» diceva bene
ieri Serra), questa esigenza di contrasto per imporre un´altra idea di
Italia, più adulta, più matura, più liberata. In qualche modo, ci
priveremmo dello stesso diritto di poterci non dire berlusconiani.
Io non so se il Partito democratico sia - come è stato detto - «un
amalgama mal riuscito». So però che comunque è troppo presto per
affermarlo, e che quella formazione nasce da un tentativo generoso e
lungimirante, e che i venti anni che lo hanno preceduto, e a cui ha
posto fortunatamente fine, sono stati i peggiori della sinistra italiana
- anche se sono stati gli anni che la hanno vista per la prima volta al
governo, e nessuno può sottovalutare l´importanza dell´evento. È
la ragione e non il cuore a spiegarci che indietro non si torna. Ed è la
ragione che deve portarci alle urne, e guidare la nostra decisione.
Aldo Schiavone La Repubblica
05-06-2009 |