Amore odio diritti
Quanto pesa il
sentimento sul governo
Amore e politica. Confortati dall’opinione di poeti e psicologi che vanno
ripetendo che amore e odio sono strettamente connessi e che l’oggetto d’amore è
spesso anche soggetto di aggressioni, non ci stupiremo di trovare il
sentimento dell’amore inglobato, a torto o a ragione, nella politica. È questo
il suo posto?
Nei secoli passati, in regimi autoritari spesso dispotici, erano abituali quanto
paradossali le espressioni d’amore del sovrano verso i sudditi, costruite sul
modello di quelle dei padri nei confronti dei figli (le madri, da questi
scenari, erano a priori escluse). Ecco sprecarsi quindi asserzioni paternaliste
da parte dei reggitori, tanto più calorose quanto più provenienti da
sovrani-canaglia, come quel Federico II di Prussia di cui è nota la vocazione
autoritaria tanto quanto la smagliante retorica ricca di dichiarazioni di amore
paterno per i popoli da lui governati e assistiti con affettuosa dedizione
(sic).
In democrazia invece non si parla di amore – ed è corretto che sia così –
bensì di diritti, di legalità, di rispetto. Né si tratta di porgere
l’altra guancia o di amare il prossimo: si tratta di rispettare tutti, il
lontano quanto il prossimo, perché è il rispetto, non l’amore, la parola
chiave delle democrazie liberali, che non vestono i rossi mantelli delle
passioni bensì gli abiti grigi della legalità e del diritto.
Già nel Principe (1513) Machiavelli si chiede se sia meglio per il
principe essere amato che temuto: «Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e
l’altro; ma perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro
essere temuto che amato». Anche se mai e poi mai, ammonisce il segretario
fiorentino, il principe dovrà rendersi (parolina d’oro che sottolinea la
responsabilità individuale) odioso nei confronti del popolo.
Machiavelli parlava per il monarca di sudditi; per il governante di cittadini le
cose sono diverse. Odio e amore non sono espressioni del linguaggio delle
democrazie liberali, dove il sentimento sovrano è il rispetto, a tutti dovuto
in quanto esseri umani, ma che il politico pubblico più di altri
dovrebbe meritare tramite un comportamento serio, onesto, dignitoso,
autoritativo: non per il suo autoritarismo, attenzione, ma per la sua
autorevolezza che nasce dalla statura morale e politica, dalla condotta
irreprensibile, dalla magnanimità – dall’avere cioè, come dice la parola, una
«grande anima» lontana dalla cultura della ricchezza, dell’accumulo, della
corruzione e della autoprotezione a tutti i costi: chi ha orecchie per intendere
intenda, e auguri a tutti.
Francesca Rigotti
l’Unità 20.12.09