America Latina. Un saggio sul rapporto tra monsignor Romero e i movimenti sociali
Quando il Vangelo diventa un'arma per i poveri
La descrizione di quel lungo e laborioso percorso di
avvicinamento tra le organizzazioni popolari contadine e la Chiesa cattolica
nella lotta contro la dittatura militare salvadoregna alla fine degli anni
Settanta, una dittatura imposta con le armi da una oligarchia senza scrupoli
sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti, vissuta attraverso le testimonianze di
chi, sfidando violente repressioni, è stato pronto a combattere al prezzo della
vita per il riscatto di un popolo oppresso. Una pagina di storia, legata a
tematiche che riguardano molti sud del mondo: enormi contraddizioni sociali e
gravi violazioni dei diritti umani, che racconta il sacrifico di uomini e donne
che hanno combattuto per la dignità umana a fianco dei loro figli poveri; dove
emerge la figura di una «chiesa altra», che considera interlocutori
insostituibili i movimenti sociali e popolari e, al loro fianco, ricerca la
giustizia sociale per riscattare un mondo ingiusto. Ed è proprio nel rapporto
tra cristianesimo e marxismo, cristianesimo e lotta armata, che vanno ricercate
la peculiarità e l'importanza dell'esperienza raccontata in queste pagine da
Claudia Fanti: El Salvador, il Vangelo secondo gli insorti. Mons. Romero e i
movimenti popolari rivoluzionari (Edizioni Sarkana, pp.144, euro 9).
Attraverso l'opera del Monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador a
partire dal 1977, e di tanti altri martiri, il lettore potrà conoscere una
dottrina cattolica vogliosa di approfondire la sua visione della realtà del
mondo, pronta a smorzare difficoltà e diffidenze per aprirsi al confronto con
universi apparentemente distanti ed incompatibili con la sua morale evangelica.
La preferenza per i poveri, che il Vangelo impone ai cristiani, in questo caso,
non polarizza né divide, al contrario indica dove deve incarnarsi la missione
della chiesa per evitare la falsa universalizzazione che finisce sempre nella
convivenza dei poteri; diviene speranza di ampia e poderosa unità di forze che
renda possibile la democrazia e l'uguaglianza sociale. E quando una dittatura
attenta gravemente al bene comune della nazione, in nome di Dio, non è blasfemo
parlare di legittimo diritto all'insurrezione, non dimenticando di sottolineare
come, di fatto, il mancato sostegno dei cristiani ai movimenti politici marxisti
diventava, per come si presentava la situazione del paese latinoamericano, un
appoggio al capitalismo e alla oligarchia nazionale. E malgrado gli strali
dell'episcopato, quello che era in gioco era la vita di uomini e donne, quello
che più contava era sconfiggere la struttura repressiva, e parole come sinistra,
socialismo, insurrezione, rivoluzione, in questo scenario, non facevano più
paura, ma addirittura suonavano come una speranza, e portavano, come scrisse
Monsignor Romero, «molto vangelo dentro».
È noto che la morte di Romero fu decisa dagli «squadroni della morte» per le sue
omelie critiche verso la giunta militare. Ed è altrettanto noto che le gerarchie
vaticane hanno sempre ricordato il prelato con imbarazzo. Una figura, la sua,
scomoda, in particolare durante i primi anni del pontificato di papa Wojtila,
quando Giovanna Paolo II lanciò la sua campagna di normalizzazione e di
emerginazione dei teologi della liberazione. Ma quello che sucita perplessità è
la recente «riabilitazione» di Monsignor Romero.
Recentemente, infatti, il Vaticano ha promosso una messa per ricordare Romero,
sostenendo che il suo impegno ecumenico non era a favore dei poveri da di tutti
i salvadoregni. Tacendo che erano stati alcuni salvadoregni che lo avevano
ucciso, proprio perché si era schierato a favore dei movimenti sociali e
popolari di quel paese.
Raffaele Pallone Il manifesto 06/04/08