Alla ricerca di una
«nuova» laicità?
Uno dei saggi più interessanti e anche molto utili per chiarirsi le idee intorno
al complesso tema della laicità e del rapporto fra religioni e politica è quello
di Elena Bein Ricco, pubblicato sul n. 63:1-2008della rivista Protestantesimo.
Il merito della Bein è di fare il punto sul contributo di alcuni importanti
pensatori (Rawls, Habermas, Walzer), con grande chiarezza e semplicità. Si potrà
naturalmente
dissentire sull'idea di laicità che ne emerge, diversa da quella tipica della
concezione classica liberale,
dove la sfera religiosa doveva restare rigidamente all'interno della dimensione
privata e non interferire con quella pubblica, ma non si potranno eludere i
problemi posti.
L'avanzare della modernizzazione non ha prodotto, come si credeva, il declino
delle credenze religiose,
anzi, la rinascita del religioso si complica con il cosiddetto risveglio
identitario, riscontrabile nella tendenza a chiudersi in comunità omogenee, che
respingono il diverso al di fuori del clan dei simili.
Stando così le cose è ovvio che, se non si vuole che le religioni tornino a
essere causa di conflitti, occorre che non siano confinate nella dimensione
privata, ma poste invece a confronto in una discussione pubblica, che
disinneschi l'intolleranza verso concezioni diverse dalla propria. Lo stesso
vale per i grandi temi della bioetica, non più confinabili nell'ambito delle
decisioni esclusivamente private.
Qual è allora il ruolo dello Stato e in che cosa consiste il metodo di una nuova
laicità? Senza poter entrare nel dettaglio delle varie posizioni di Rawls,
Habermas e Walzer, che la Bein Ricco approfondisce
nell'articolo, si può dire che, innanzi tutto, occorre dare a tutti le stesse
opportunità di enunciare il proprio punto di vista, senza che nessuno possa
beneficiare di una posizione di speciale privilegio o prestigio. Nessuno deve
poter vantare una maggiore aderenza alla Verità o al «Bene comune». Gli
argomenti
portati a sostegno delle proprie tesi dovrebbero essere motivati razionalmente,
ma qualcuno non esclude che i credenti si possano esprimere anche in un
linguaggio religioso, secondo i loro principi di fede. Naturalmente i credenti
sono chiamati, a loro volta, a riconoscere e a confrontarsi, su un piano di
parità, anche con gli atei e i non religiosi (non uso volutamente il termine
laici perché l'abitudine
italica di dividere laici e cattolici fa già parte di una errata impostazione
della questione e dunque di una malintesa laicità).
In conclusione: gli individui, quando entrano nell'arena politica, non sono più
costretti a lasciarsi alle spallel e loro convinzioni, siano esse ideologi che,
morali o religiose, ma devono avere l'opportunità di esprimerle apertamente
nello spazio pubblico per contribuire, nel confronto con altri, alla riflessione
collettiva della società civile. Naturalmente questo, aggiungo io, è ben diverso
dalle pesanti interferenze vaticane tese a imporre al Parlamento l'emanazione di
leggi gradite alla morale cattolica e alla sua
visione della vita.
Dopo il confronto, che deve restare su un piano di parità e di rispetto
reciproco, ci sarà il momento delle decisioni, che dovranno essere il più
possibile condivise. Qui sono proprio i credenti che, in certi casi, dovranno
rinunciare al loro assolutismo e venire a patti con chi ha opinioni differenti.
Dice l'autrice
citando Walzer: «La via democratica alla politica è infatti quella che inizia
dalla passione e finisce nel compromesso, nella pratica del confronto pragmatico
tra prospettive divergenti, per poter pervenire adun terreno comune di intesa
laica che, mentre sbarra la strada alle pretese prevaricanti e impedisce ogni
genere di assolutismo settario e comunitario di avere l'ultima parola, permette
al tempo stesso di comporre in maniera costruttiva i conflitti identitari, per
far sì che differenti comunità possano vivere insieme eaderire a una comune
politica democratica». In questo contesto la laicità assume la forma di
pluralismo attivo:
lo Stato favorisce l'interazione e il confronto, ma non rinuncia alla sua
imparzialità e non si presta a essere strumentalizzato da nessuna religione,
neanche da quella maggioritaria nel paese.
Indubbiamente un discorso convincente, quasi un bel teorema con la soluzione.
Peccato, ma questo lo aggiungo io, che la realtà sia molto più complicata (come
distinguere, a esempio, la testimonianza dei singoli credenti cattolici in
Parlamento dalle prese di posizione della Chiesa cattolica su temi sui quali il
Parlamento deve legiferare?). Inoltre nessuna forza politica, né di destra né di
centro né di sinistra sembra convinta e decisa a battersi per questo tipo di
Stato laico, che richiede una forte
determinazione a mettere fine all'attuale sudditanza verso il Vaticano.
Marco Rostan in “Riforma” n.
23 – Settimanale delle Chiese Evangeliche, battiste, metodiste, valdesi – del
6giugno 2008