Aborto e staminali,
svolta nell'America di Obama
Nel terzo giorno di presidenza di Barack Obama l'America ha avuto il segnale che
anche sui temi
etici il vento è cambiato: il nuovo presidente ha cancellato il divieto, voluto
dai repubblicani, di
finanziare con soldi pubblici le organizzazioni che fanno politiche di
pianificazione familiare o
sostengono l'aborto nei Paesi in via di sviluppo. Nelle stesse ore la Fda,
l'agenzia federale che vigila
sulla ricerca scientifica e farmaceutica, ha autorizzato una società privata a
svolgere test con le
cellule staminali embrionali su pazienti che hanno avuto lesioni al midollo
spinale. In soli tre giorni
sono state radicalmente messe discussione le basi etiche e ideologiche della
Casa Bianca di George
W. Bush: mercoledì Obama ha promesso un'Amministrazione più trasparente e il
ritiro dei soldati
dall'Iraq in 16 mesi, giovedì ha riscritto la dottrina della sicurezza
nazionale, ordinando la fine della
tortura, delle carceri segrete della Cia e la chiusura di Guantanamo e infine
ieri ha riaperto il
dibattito sull'aborto e gli embrioni. La decisione della Fda non dipende da
Obama, ma non è casuale
la scelta dei tempi: si è aspettato che Bush lasciasse Washington e giurasse un
presidente che in
campagna elettorale ha promesso di rimuovere i divieti al finanziamento federale
della ricerca che
utilizza gli embrioni.
L'ordine esecutivo firmato ieri sera da Obama elimina la norma - voluta da
Reagan nel 1984 e
rilanciata da Bush nel 2001 - che impedisce di dare finanziamenti pubblici alle
organizzazioni non
governative americane e internazionali che prevedono nelle loro politiche di
pianificazione
familiare anche l'interruzione di gravidanza. Questa norma chiamata "Mexico City
Policy", perché
venne adottata durante il vertice dell'Onu sulla popolazione che si tenne nella
capitale messicana 25
anni fa, è stata al centro di una battaglia ideologica serratissima. Già Bill
Clinton la abolì nel 1993,
con il suo primo ordine esecutivo da presidente, e scegliendo di farlo nel
giorno del ventesimo
anniversario della decisione della Corte Suprema che autorizzò l'aborto. Otto
anni dopo, utilizzando
la stessa data simbolica, George W. Bush annullò la decisione di Clinton
ripristinando il divieto
voluto da Reagan. Ora anche Obama è entrato in questa battaglia, ma ha voluto
lanciare un segnale
di dialogo: non ha firmato la sua decisione nel giorno del contestato
anniversario - quando sul Mall
di Washington sfilano migliaia di manifestanti in favore del diritto alla vita -
per segnalare la
volontà di un approccio pragmatico e non ideologico. Non è il caso di lanciare
guerre di religione
nel momento in cui ha bisogno di un sostegno bipartisan per affrontare la crisi
economica.
Tanto che l'altroieri sera, dopo aver detto che la legge sull'aborto «non solo
protegge la salute delle
donne e la libertà di riproduzione ma simbolizza anche un principio più ampio:
che il governo non
deve entrare negli affari più intimi della famiglia», Obama ha sottolineato che
al di là delle opinioni
personali deve esserci unità «nella volontà di prevenire gravidanza
indesiderate, ridurre il numero
degli aborti e sostenere le donne e le famiglie nelle scelte che fanno».
Ma la Chiesa cattolica è pronta ad andare allo scontro con il nuovo presidente
sia se sceglierà di
firmare una nuova legge in discussione al Congresso - il Freedom of Choice Act -
che prevede una
rimozione dei limiti all'aborto decisi negli ultimi anni a livello federale e
statale, sia se andrà avanti
sulle cellule staminali embrionali. «Siamo preoccupati - ha detto il vescovo di
Orlando Thomas
Gerard Wenski alla Radio Vaticana - per il fatto che gli ideologi pro-aborto
possano far passare al
Congresso una legge abortista più radicale: speriamo che ciò non accada, ma se
dovesse accadere,
speriamo di riuscire a convincerlo a non firmarla».
Mauro Calabresi la Repubblica 24 gennaio 2009
L'era Obama tra scienza e religione
Nel sobrio e bel discorso inaugurale che ha pronunciato dopo aver prestato
giuramento, il 20
gennaio a Washington, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha detto, al suo
popolo e al mondo, in
un modo estremamente chiaro che con lui le cose andranno diversamente.
Tuttavia lo ha fatto nel corso di una cerimonia tipicamente “americana” che, ai
nostri occhi di
francesi laici e repubblicani, per le sue somiglianze ad una cerimonia religiosa
(il sermone del
pastore, gli inni, l'invocazione del nome di Dio), e i suoi costanti riferimenti
alla Bibbia, sembrava
conformarsi al più rispettoso tradizionalismo d'oltre-Atlantico del ruolo
invadente della religione.
Ma due frasi passate quasi inosservate, tra tutte quelle che Barack Obama ha
pronunciato riguardo
alle importanti sfide che si prepara ad affrontare, meritano proprio per questo
di essere sottolineate
(come ha opportunamente fatto notare Roger Cohen nell'International Herald
Tribune).
Definendo gli Stati Uniti come “una nazione di cristiani e di musulmani,
di ebrei, di indù e di non
credenti” e, in seguito affermando “riporteremo la scienza al rango che deve
essere il suo”, Barack
Obama ha comunicato che poneva fine ad ogni influenza dei fondamentalisti
religiosi sul governo
del paese.
Con poche semplici parole ha rimesso la religione al suo posto di “scelta
individuale piuttosto che
di credo politico”, e preso posizione, in maniera discreta ma ferma, nei
molti dibattiti
sull'insegnamento (della teoria evoluzionistica), sulla ricerca (cellule
staminali) e sulla filosofia
delle scienza (l'intelligent design), nei quali la destra cristiana, con il
sostegno dell'ex presidente,
aveva coinvolto gli Stati Uniti.
Alain Giraud-Ruby in “Le
Monde” del 25 gennaio 2009