Aborto, cancelliamo l'obiezione di coscienza
Gridavamo: "Aborto libero per non morire - contraccezione per non abortire". Com'è evidente il
fine era ed è: "non abortire!". Fine che la legge, avendo come titolo "per la tutela della maternità e
sull'interruzione volontaria della gravidanza", interpreta precisamente. La tutela della maternità
deriva dal fatto che essa stessa è un diritto, a cui lo stato deve sovvenire avendone il reciproco
dovere, mentre l'interruzione di gravidanza è una facoltà giuridicamente esigibile dalle donne che
decidono di avvalersene. Perché gridavamo "aborto libero?". Non perché condividessimo la legge
proposta dai radicali (che fu battuta nel referendum da loro successivamente avanzato, cioè che
abortire fosse sempre possibile privatamente, sicché le donne ricche o colte avrebbero potuto fare
aborti regolati dal mercato, mentre quelle povere o meno colte, oggi le immigrate che non sono a
loro agio nella nostra società avrebbero potuto, senza più commettere un reato, abortire comunque).
Insomma il contenuto della legge radicale era privatizzazione e depenalizzazione. E posso capire
che la convivenza di due ipotesi come Binetti e Bonino strida abbastanza nello stesso partito, sia
pure accogliente. Noi dicevamo "libero" nel senso di autodeterminato, perché la situazione nella
quale si trovavano le donne era di assoluta necessità: sottoposte alla "natura" e alla prepotenza
maschile, una condizione di abiezione etica, di persone che si trovavano nella "non possibilità" di
decidere di se stesse, fino ad essere esposte alla morte o alla sterilità per aborti male eseguiti. Una
piattezza etica da cui l'aborto autodeterminato ti faceva uscire: diventavi responsabile e non potevi
più dire quello che mi sono sentita dire tante volte: "mio marito mi ha fatto fare solo quattro figli,
mio marito sta attento (cioè pratica il coito interrotto), mio marito mi lascia abortire!". Dicevamo
"contraccezione" e non contraccettivi per rispetto delle donne cattoliche, che presero parte in gran
numero alla lunga, difficile, appassionante lotta e che erano contrarie ai contraccettivi chimici, fisici
e comunque farmacologici, e favorevoli solo a quelli "naturali" come l'Ogino Knaus e Billings,
ammessi dalla Chiesa.
La legge riprendeva tutto ciò equilibratamente, e per questo superò i due referendum abrogativi,
proposti rispettivamente dai Radicali e dal Movimento per la vita, lasciando alcuni punti non
soddisfacenti: che la donna dovesse passare una discussione nel consultorio o dal suo medico,
alcuni pensavano che dovevano essere "dissuasori", perché queste norme vedevano comunque le
donne come cittadine di serie "B".
Da modificare anche riguardo i casi delle minorenni, obbligate al consenso dei genitori o di un
magistrato tutore, rendendo così più difficile l'iter della decisione. Si pensi che, nell'ordinamento
italiano, una minorenne che ha abortito diventa "emancipata", cioè ha diritto di ricorrere alla 194
per un eventuale secondo aborto! Ma soprattutto, l'obiezione di coscienza dei medici venne
interpretata come una facoltà da riconoscere ai medici già in servizio quando la legge fu approvata e
che si trovavano in una situazione inesistente al momento in cui avevano cominciato la loro
carriera.
Poiché il diritto della donna di avvalersi della 194, quando ne ricorressero gli estremi è
indiscutibile, evidentemente si forma un conflitto tra la volontà del medico e il diritto della donna.
Comunque lo Stato deve garantire il diritto della donna di avvalersi della legge. Ma quasi tutte noi
pensavamo, e pensiamo, che il medico non può fare obiezione di coscienza quando entra in una
struttura pubblica e viene richiesto di eseguire un aborto. Infatti un magistrato che sia obiettore di
coscienza alla pena di morte in uno Stato in cui la pena di morte è prevista dalla legge non può fare
obiezione, anzi non può fare il magistrato, perché la sorte degli imputati non può dipendere dal fatto
che capitino in questo o in quel tribunale. Analogamente un medico che entri in servizio quando la
194 c'è non può obiettare, o almeno non può obiettare la struttura medico-ospedaliera, perché
questo stabilirebbe una iniquità e una impossibile e insostenibile ineguaglianza tra le donne che
hanno diritto a ricorrere alla legge. Per questo è assolutamente vero che la prima e principale - forse
l'unica - modifica di cui la legge ha bisogno è di intervenire per regolamentare l'obiezione di
coscienza dei medici che nel conflitto con il diritto della donna non può prevalere.
Lidia Menapace Liberazione 28 febbraio 2008