Aborto, verità e menzogne
La 194 è una legge
che ha dato ottima
prova di sé: ha
diminuito drasticamente
il numero di aborti
con un tasso
di abortività tra i
più bassi nel mondo
Quante altre leggi
dello Stato
hanno funzionato
altrettanto bene?
In questi giorni il Cardinale Ruini ha riaperto il problema della legge 194,
quella sulla interruzione volontaria di gravidanza, affermando che i grandi
progressi acquisiti nel campo dell’assistenza intensiva neonatale ne impongono
una revisione. Alla sua dichiarazione hanno inevitabilmente fatto eco molti
parlamentari cattolici e un gran numero di cattolici «della curva nord», quelli
che si divertono a fare il tifo anche se non hanno mai dato un calcio al pallone
e che comunque si distinguono sempre per aggressività, violenza e maleducazione
(oltre, naturalmente, per la volgarità delle motivazioni che li ispirano). A
dare ancor maggior rilievo a questa iniziativa è poi arrivato l’appoggio del
Pontefice, che ha inneggiato alla proposta di una moratoria sull’aborto
ottenendo nuovi consensi e nuove genuflessioni.
Questa ipotesi di una moratoria da imporre a un problema che rappresenta una
tragedia personale per molte migliaia di donne mi sembra così offensiva che vivo
ancora nella speranza che il Papa non abbia capito perfettamente il significato
della parola, la lingua italiana ha le sue trappole. Ma «sospendere a tempo
indeterminato» l’interruzione volontaria delle gravidanze, avrebbe un senso se
si potesse contemporaneamente sospendere la violenza carnale, il disagio
economico, la malattia, la cattiva abitudine di alcuni feti di nascere
malformati, dite voi. Se questo è possibile, giuro, mi associo, faccio mia la
proposta; se non è così, si tratta di un tale sberleffo alla sofferenza umana
che vorrei proprio evitare di dare giudizi.
Immagino che, a provocare questi interventi, ci siano due ragioni: la prima,
riconoscibile in alcuni eventi recenti (un feto è sopravvissuto dopo una
interruzione volontaria di gravidanza) e nella attuale polemica (che ha
investito anche il Comitato Nazionale per la Bioetica) che riguarda la
rianimazione dei bambini nati con un peso particolarmente basso. Il secondo
motivo è squisitamente politico e non poteva essere diversamente, date le
propensioni (appunto, squisitamente politiche) del Cardinale Ruini: in effetti,
da questo punto di vista, non c’era momento migliore per sollevare la questione,
considerata la condizione di straordinaria difficoltà in cui versa il nuovo
Partito democratico, pervaso dai soliti venti di guerra tra laici e cattolici e
in trepida attesa di qualche nuovo intervento divino capace di modificare i già
precari equilibri parlamentari.
Non credo sia possibile immaginare un momento migliore per confondere
ulteriormente le idee di questi miei poveri compagni e non credo che sarebbe
possibile immaginare un argomento più velenoso. Non ho nessuna simpatia per
l’astuzia, un disvalore che dovremmo imparare a disprezzare, ma so riconoscere
il merito.
Non mi è ancora ben chiaro se è in ballo una vera e propria modifica della legge
o se si tratta più semplicemente di un tentativo di elaborare alcune linee guida
che pongano dei limiti di tempo all’interruzione, quella regolata dall’articolo
6 che riguarda l’aborto dopo il 90° giorno. Secondo me la legge 194, che è tutto
sommato una legge saggia, è già in grado di evitare questa sorta di problemi,
basta leggerla - e attuarla - con attenzione. L’articolo 6, infatti, stabilisce
che:
-l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 giorni, può essere
praticata;
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita
della donna;
b) quando siano accertati processi patologici tra cui quelli relativi a
rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave
pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Ma all’articolo 7, dopo una premessa che riguarda gli accertamenti sulla
normalità del feto troviamo che:
-quando l’interruzione di gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo
per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza le
procedure previste…..Qualora sussista la possibilità di vita autonoma del feto
l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso della lettera
a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura
idonea a salvaguardare la vita del feto.
Dunque, nel caso in cui il medico riconosca al feto capacità di vita autonoma,
la scelta di interrompere la gravidanza potrà essere fatta solo nel caso che lo
stesso medico identifichi, nel proseguimento della gestazione, un grave pericolo
per la vita della donna.
Ciò ci riconduce alla prassi in uso prima del varo della legge 194, quando
l’interruzione della gravidanza poteva essere eseguita legalmente solo se si
creavano le condizioni di uno stato di necessità (quando cioè il feto diviene
«l’assassino di sua madre» - espressione utilizzata molti anni or sono da un
rabbino - e non intervenire pur essendo consapevoli del grave pericolo al quale
è esposta la vita della donna, significa assumersi la responsabilità della sua
morte), in presenza del quale le altre norme debbono tacere.
Il problema vero, l’unico che mi sembra di scorgere in questo momento, riguarda
il momento della gravidanza nel quale può essere identificato l’inizio della
possibilità di vita autonoma.
Su questo punto c’è attualmente una discussione: è vero infatti che nessun feto
sopravvive se costretto a nascere entro le 22 settimane di gestazione, ma è
anche vero che nessun feto nato alla ventiquattresima settimana sopravvive se la
madre lo partorisce in una remota località di montagna, o se è portatore di una
grave malformazione per la quale deve essere sottoposto a intervento chirurgico;
ed è altresì vero che esistono spesso problemi quando si deve datare una
gestazione, che la prognosi è diversa se il parto è spontaneo o operativo e così
via. D’altra parte stiamo parlando di eventi assai poco frequenti e che sarebbe
possibile evitare del tutto stabilendo un unico principio: che tutte le indagini
relative al benessere e alla normalità del feto si debbono concludere in tempo
utile perché una eventuale interruzione della gravidanza possa essere eseguita
entro la ventiduesima settimana.
Sul problema della sopravvivenza dei feti nati dopo la 22ma settimana vorrei
intervenire in un altro momento, il tema è complesso (ne sta discutendo il
Comitato Nazionale per la Bioetica) è ha bisogno di spazio. Anticipo solo i
punti sui quali la discussione è più calda: è giusto intervenire sempre,
sottoponendo il feto a cure intensive, o piuttosto è opportuno valutare caso per
caso le probabilità di sopravvivenza e i rischi di handicap? E quale ruolo hanno
i genitori: hanno il diritto di essere consultati (e di chiedere di veder
rispettata la propria decisione) o sono realmente, come qualcuno afferma,
confusi, disorientati e disinformati e vanno tenuti, affettuosamente, fuori
dalle scatole? E cosa mi dite delle cure che debbono essere considerate
sperimentali (che sono tantissime), non sarà che, almeno in questi casi il
parere dei genitori è determinante? Problemi, come vedete, seri e concreti,
certamente più seri e concreti delle baggianate sulle moratorie .
Non è però detto che le richieste di modificare la legge 194 si fermino qui.
Francesco D’Agostino, in un confronto che abbiamo avuto su una radio romana, ha
richiamato la mia attenzione sull’articolo 4 della stessa legge, nella parte
nella quale si stabiliscono i motivi di una eventuale interruzione che possono
essere considerati accettabili. Secondo D’Agostino la legge affida la decisione
al medico, l’unica persona competente in grado di verificare l’esistenza di
«circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la
maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua (della donna) salute
fisica o psichica...». Per D’Agostino sarebbe dunque sufficiente, per una
corretta attuazione della norma e per una lettura coerente del suo spirito,
affidare realmente e completamente al medico la valutazione dell’esistenza di
questo «serio pericolo».
A mio avviso questa interpretazione è del tutto sbagliata, e per due ragioni: la
prima perché continuando nella lettura dell’articolo 4 si legge come questo
pericolo deve essere valutato «in relazione o al suo stato di salute, o alle sue
condizioni economiche, o sociali, o familiari, o alle circostanze in cui è
avvento il concepimento, o a previsioni di malformazioni o anomalie del
concepito» ed è chiaro che in quasi tutti di questi ambiti il medico non ha né
competenza né capacità di intervento. Se poi si continua la lettura della legge
si scopre, e questo è il secondo motivo del mio dissenso, che in tutto
l’articolo 5 è delineato il percorso che la donna dovrà seguire, nei casi in cui
esiste e in quelli in cui non esiste una urgenza, percorso che ha come unico
impedimento un periodo di 7 giorni in cui è invitata a soprassedere.
Il compito del medico è dunque quello di valutare le circostanze che inducono la
donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di informarla in merito ai
suoi diritti e sugli interventi di carattere sociale ai quali può fare ricorso e
di verificare l’esistenza di un carattere di urgenza. Al termine di tutto ciò
egli può solo consegnarle un certificato nel quale sono attestate le sue
intenzioni e chiederle di attendere per sette giorni: ma al termine di questi
sette giorni, e quale che sia la personale opinione del medico, la donna può
presentarsi a una delle sedi autorizzate e chiedere l’interruzione di gravidanza
sulla base di quel documento, un documento che il medico deve consegnarle per
forza.
C’è in molti, anche come conseguenza di una sottile opera di propaganda, la
convinzione che i medici non facciano il loro dovere, che i consultori siano
degli abortifici, che la legge 194 venga utilizzata come strumento di controllo
delle nascite. In realtà, i medici hanno saputo interpretare correttamente la
legge, i consultori fanno una straordinaria opera di sostegno e di informazione
e le donne che hanno utilizzato l’interruzione di gravidanza alla stregua di un
mezzo anticoncezionale non dovrebbero superare, secondo le valutazioni
dell’Istituto Superiore di Sanità. l’1,6%. Insomma, la 194 è una legge che ha
dato buona prova di sé, che ha diminuito il numero di aborti in modo
significativo (erano 234.000 nel 1982, sono stati 129.000 nel 2005) con un tasso
di abortività tra i più bassi nel mondo. Quante altre leggi dello stato hanno
funzionato altrettanto bene?
Carlo Flamigni l’Unità 10.1.08