Aborto, referendum come sfida
L’Italia non è un Paese
cattolico. Le chiese sono vuote, le vocazioni estinte, i testi sacri ignorati.
Soprattutto, le scelte di vita fondamentali degli italiani non sono ispirate ai
precetti della Chiesa. Si tratta di un fatto di portata ben più ampia della
laicità dello Stato. Si tratta di riconoscere che la grande maggioranza degli
italiani vive e pensa da laica e da materialista.
La questione dell’aborto ne è la dimostrazione: si rimettano gli antiabortisti
alla volontà degli italiani. Se davvero sono convinti del carattere
universalistico della loro idea di sacralità della vita, propongano un
referendum. Verrebbero pesantemente battuti. Lo dicono i sondaggi, lo dice
un’onesta osservazione del mondo, lo dice l’intelligenza della contemporaneità.
Questa facile previsione dovrebbe già di per sé stabilire un principio
indiscutibile: nessun iter legislativo di revisione della 194 è ammissibile se
non lo stesso dal quale quella legge scaturì 27 anni or sono. Vale a dire il
grande pronunciamento democratico del referendum. Ogni altro percorso sarebbe
esercizio dispotico di potere politico, manipolazione faziosa degli strumenti di
deliberazione legislativa, oltraggio al comune senso della vita degli italiani
odierni. Ma perché allora le voci più oltranziste degli apparati ecclesiastici e
quelle dei laici in odore di conversione sono tanto in dissonanza con il
sentimento della vita della maggioranza dei loro contemporanei? È forse una fede
più salda a ispirare la loro veemente difesa del presunto «valore della vita», è
forse una ragione più alta? No, è un panico morale. La stigmatizzazione
dell’aborto legale come crimine contro l’umanità, i toni efferati con cui si
evocano «genocidi paranazisti» e «stragi di innocenti» testimoniano non di una
forte e libera identità culturale cristiana in seno alla nostra società ma di un
suo smarrimento, di un’improvvisa e angosciante sensazione di debolezza dei
confini del gruppo dei cattolici nel mondo attuale.
Nuovi attori sociali fanno il loro ingresso prepotente e caotico nella società
civile - le donne emancipate, gli omosessuali, le giovani generazioni
compiutamente atee e materialiste pur essendo estranee al comunismo - e gli
alfieri della tradizione vengono presi dal panico, reagiscono tracciando una
linea netta tra il bene da un lato e il malvagio dall’altro. Presi dal panico,
cercano incarnazioni del peccato, rappresentazioni instabili e a rapida
coagulazione del male. È un cattolicesimo debole questo in preda al panico
morale, non un cattolicesimo forte della propria convinzione metafisica. Un
cattolicesimo che si svilisce a dottrina morale e di lì subito precipita in
partito politico, per altro oramai minoritario, sebbene assurdamente corteggiato
e blandito da tutte le altre forze dell’arco parlamentare. Questi cattolici in
preda al panico vanno rassicurati: la morale cattolica non è l’unica morale, la
civilizzazione umana non cessa con il tramonto dell’egemonia culturale del
cattolicesimo, la visione del mondo laica e materialista porta con sé un nuovo
umanesimo. Anche per il pensiero materialista la persona umana è un valore
supremo, non meno che per lo spiritualismo cristiano, solo che nell’ottica di
un’etica laica la persona è l’insieme delle condizioni di vita materiali di un
individuo, non un riflesso indecifrabile di un sempre più enigmatico volto
divino. La visione materialista - dalla quale scaturirono le correnti migliori
della tradizione socialista - non avendo altro orizzonte che quello
dell’esistenza terrena, la prende terribilmente sul serio. Quest’ottica conduce
a farsi carico dell’esistenza umana nelle sue condizioni concrete invece di
limitarsi a proclamare genericamente il principio a priori della sacralità della
vita.
Per questo motivo, la predicazione massimalista degli antiabortisti, così come
la crociata contro gli anticoncezionali che l’accompagna, rischiano di apparire
come le aberrazioni di un umanesimo senz’uomo. Anzi, senza la donna. La
religione teologica della vita, nei suoi eccessi fondamentalisti, predica la
cura dell’anima dopo la morte o il culto del principio della vita prima della
nascita, a rischio di una sostanziale indifferenza per la storia umana che si
svolge nel mezzo, nella parentesi tra le cose prime e le cose ultime. L’etica
laica si ribella a questa visione, il suo umanesimo materialista le oppone non
un’irresponsabilità nichilista ma un’appassionata perorazione dell’esistenza. Ci
può essere un’immorale vigliaccheria nell’incantamento per gli assoluti, nella
predicazione di principi sacri. A questa, il laico materialista preferisce la
coraggiosa lotta con l’angelo della storia e con il demone della contingenza.
Invece di divinare la vita in una macchia di gelatina fetale, il laico
materialista si affannerà ad aprire asili cui le madri lavoratrici possano
affidare i loro bambini, a riaprire consultori dove le adolescenti possano
essere educate sessualmente e assistite medicalmente per evitare gravidanze
improvvide, a creare condizioni di lavoro stabili per futuri eventuali padri
responsabili, si chiederà come vivranno i bambini non voluti, non amati, i
bambini deformi e malati fin dalla nascita, come vivranno miliardi di uomini
messi al mondo in condizioni miserabili e in assenza di metodi anticoncezionali,
preferirà un aborto medicalmente assistito a un feto strappato a cucchiaiate dal
ventre materno. Insomma, il laico materialista sceglierà il male minore per un
bene possibile invece di aborrire il male assoluto in nome di un bene
impossibile.
Il sì alla vita del laico materialista benedirà la creatura in carne e ossa,
anche a costo di dire di no al brivido misticheggiante per ciò che rimarrà
increato. La carne, le ossa, le lacrime, il sangue sono l’unica cosa che ci
riguarda in quanto cittadini membri di una comunità politica. Messe tutte
assieme fanno ben più di una poltiglia di materia cieca, fanno l’unica misura
comune a un’umanità magari disperata ma ancora appassionata di se stessa. Essere
laici e materialisti, oggi più che mai, significa dover fare i conti con lo
spettro del nichilismo, ma significa anche prendere sul serio l’esistenza e la
sofferenza degli uomini.
ANTONIO SCURATI LA STAMPA 7/1/2008