A scuola religione
“obbligatoria”: serve per alzare la media
Rendere implicitamente obbligatorio il facoltativo. Trasformare una libera
scelta in una
convenienza. Gratificare chi opta per l’ora di religione di una condizione di
vantaggio rispetto a chi,
per le più diverse ragioni, decide di non avvalersene. La sentenza del
Consiglio di Stato che
stabilisce l’importanza determinante dell’insegnante di religione «ai fini
dell’attribuzione del
credito scolastico» intacca un principio d’eguaglianza e introduce
un criterio di esclusione per chi
quel «credito» non può (o non vuole) accumularlo.
C’era un modo migliore per rinfocolare le annose polemiche sull’ora di religione
a scuola? Per
riaprire l’interminabile contesa sulla rilevanza della religione nella scuola
pubblica? La conoscenza
della religione cristiana ha un ruolo importantissimo nel nostro patrimonio
culturale: ridurla a
pratica burocratica da sbrigare per un curriculum scolastico non è però la via
maestra per
valorizzarla.
La sentenza del Consiglio di Stato ricorre a un escamotage, applicando
gli stessi parametri ai corsi
«alternativi». Ma tutti sanno che quei corsi sono assenti nella grande
maggioranza delle scuole. Con
il risultato che si avranno gli studenti che frequentano il corso di
religione con una marcia in più, un
credito in più, un contributo in più che faccia «media» con le altre materie.
E gli altri? Gli altri
dovranno dolersi di non aver scelto l’ora di religione. Le loro pagelle
partiranno con una penalità,
appesantite da una scelta che si rivelerà un handicap. Una libera opzione
diventa, di fatto, un
privilegio. E ne viene sminuita la stessa religione. Una energica
sollecitazione culturale (perché
questo è, a prescindere dalla fede che si professa, il significato di una vitale
cultura religiosa) si
rattrappisce in un’opportunità per ottenere un vantaggio sancito con il timbro
dell’autorità
scolastica.
Si toccano princìpi delicati, dalla aconfessionalità della scuola al
pluralismo religioso della
popolazione studentesca. Ma in cambio non si avrà più autorevolezza
dell’insegnamento religioso,
più rispetto per i simboli e le figure del cristianesimo, più strumenti per
capire e apprezzare la
straordinaria ricchezza artistica, letteraria e filosofica dell’eredità
cristiana. Al contrario: si
confinerà l’ora di religione in un’enclave privilegiata, si renderà la
scelta dell’ora di religione un
doveroso adempimento per migliorare la «media», si dividerà il corpo
studentesco in due blocchi,
quello «laico» e quello «cattolico», che si guarderanno ancor di più con
reciproca ostilità. Si metterà
la religione, che è cosa serissima, in ostaggio di decreti e regolamenti. E
forse la si renderà
addirittura più «antipatica» e indigesta. Un effetto indesiderato, ma
inevitabile quando viene messa
nelle mani di una sentenza del tribunale.
Perluigi Battista Corriere della Sera 13 maggio
2010