A chi crede il
credente quando vota
Coloro che hanno votato per il referendum del 17 maggio 1981 lo ricordano bene.
Quel giorno, la
legge 194 fu salva perché gli elettori respinsero sia la proposta abrogativa
radicale che voleva
l’aborto trattato alla stregua di un diritto soggettivo, sia quella cattolica
che voleva la stessa legge
catalogata tra gli attentati al bene sociale. La proposta radicale fu respinta
dall’88,40% dei votanti,
che in quella tornata furono più di trentaquattro milioni, il 79,40% del corpo
elettorale. Quella di
segno contrario, nonostante l’ondata emotiva per l’attentato subito da Giovanni
Paolo II il 13
maggio, solo quattro giorni prima dell’apertura delle urne, fu respinta dal 68%
dei votanti. I giornali
commentarono senza gridare ad alcuna vittoria: quasi tutti titolavano sulla
batosta subita dai
radicali, e la sconfitta fu ammessa dallo stesso Pannella pochi giorni dopo,
durante il XXV
congresso del suo partito.
Nel 1981, gli elettori della Dc e del Pci trasformarono un
momento di
crisi epocale in un’occasione di crescita per la vita civile e politica di
questo Paese, convergendo in
una visione umanista e solidaristica di un problema che gli elettori
confermarono con una legge che
non sanciva un diritto, ma impediva un male peggiore: la pratica dell’aborto
clandestino. Oggi
sappiamo che quel convergere solidale contribuì fortemente a salvaguardare la
pace sociale di
un’Italia che stava subendo gli ultimi, tremendi colpi dell’emergenza
terroristica. «Una vittoria si
vede per quello che viene dopo», chiosò a fine vicenda referendaria il leder
radicale il 5 giugno del
1981. Se questo ancora è vero, ciò che Bagnasco e l’episcopato italiano
suggeriscono, in tutte le
pagine del ricco magistero sulla proposta cristiana nel dibattito politico, è il
diritto che un elettore
cattolico non dovrebbe mai disattendere: porre domande. E quindi a chiunque gli
chieda il voto
chiedere: come intende contribuire alla completa applicazione della legge 194,
da tutti considerata
ampiamente disattesa nelle sue parti propositive a favore della salvaguardia
della maternità? Chi
rispetta meglio la legge 194, chi considera l’aborto un dramma che non deve
trasformarsi in
tragedia, o chi crede che sia una battaglia di civiltà definendolo «un diritto»
equivalente ad un
esercizio responsabile di libertà?
E già che non di sola bioetica vive la politica, come
rispondono
coloro che nel 1999 hanno ritenuto «ipocrita» la difesa dell’articolo 18 dello
statuto dei lavoratori,
contribuendo alla sua cancellazione, come si pongono di fronte a quella «difesa
del diritto al
lavoro» che i vescovi italiani - inutilmente - reclamano in tutta Italia e hanno
posto al centro del loro
recente documento sul Mezzogiorno? E chi si richiama ad una cultura
liberal-liberista-libertaria
anche in economia come farà con la crisi in corso, a superare l’handicap
che gli fa circondare con
sfumature assolutorie, la diffusa ingiustizia sociale che accomuna la
maggioranza dei cittadini
italiani e la quasi totalità dei cittadini immigrati, mascherandola sotto
presunte «leggi del mercato e
dell’economia»?
I vescovi italiani e gli elettori cattolici, tendono piuttosto
a vederle non come leggi ineluttabili, ma
come «sottrazione di umanità», come problemi cioè di etica sociale. Il cardinale
Bagnasco sa che
l’italiano credente, quando va alle urne, è chiamato oggi a un forte salto di
qualità. Il voto ha perso
il suo valore ideologico, è diventato una scelta sofferta e pensata, fatta
tenendo conto dei programmi
dei diversi schieramenti. La premessa non può più essere solo il riferimento
religioso. Nessuno dei
due schieramenti ha il monopolio del pensiero cristiano, nessuno quindi ha il
diritto di immaginare
che chi vota diversamente è meno cristiano. Di conseguenza, il
disinteresse del presidente dei
vescovi per ogni assemblaggio elettoralistico delle diversità, trova conferma
nel fatto che la
«presenza cattolica» nell’Italia contemporanea, dovrebbe innanzitutto
qualificarsi come un
problema di cultura. Perché il credente che opera nella vita pubblica deve
essere in grado (sono
parole del teologo Ratzinger) di non «teologizzare la politica». Ma, deve
anche essere in grado di
impedire che altri, come sembra accadere con forza, e non solo in Italia negli
ultimi anni, si
adoperino per «ideologizzare la religione».
Si sarà sentito imbarazzato Roberto Formigoni, sabato scorso, quando (come ha
notato l’ottimo
Marco Damilano) dopo una parodia blasfema di un rito battesimale il nostro
presidente del
Consiglio ha annunciato che i dodici candidati governatori erano «inviati» come
«apostoli della
verità e della libertà»? Anche se si appartiene a «comunione e confusione», non
si può sempre
pretendere che ognuno sia libero di fare il cattolico a Parigi e il pagano a
Tahiti...
Filippo Di Giacomo l'Unità 24 marzo 2010