L'aggressività del Vaticano e la
debolezza della voce laica
La
questione delle coppie di fatto - pacs, dico - ha riaperto il contenzioso
stato-chiesa in termini, a dir poco, aspri, se non addirittura violenti. Le
gerarchie vaticane hanno dimostrato una rigidità ed una aggressività che non si
riscontrava da tempo. Il «non possumus» di questi giorni ha ricordato i tempi di
prima del Concordato, quasi quelli della «breccia di Porta Pia».
Il mondo politico laico è molto imbarazzato. Non
prevedeva una reazione così dura. Una reazione che, parlando di matrimonio e di
coppie, quindi di etica, invadeva inevitabilmente il terreno della politica,
risultando in un chiaro sostegno della opposizione di centrodestra. Per il
centro sinistra, già in difficoltà, una pesante accusa non tanto di laicità
quanto di vero e proprio laicismo.
Imbarazzo e ricerca un po' affannosa di argomenti di
difesa e di risposte convincenti. Argomento principe: ingerenza del Vaticano che
è uscito dai suoi limiti, quelli sanciti dal Concordato e rispettati fino a
ieri. Oggi non più. Su questa linea di difesa si sono mossi e si stanno movendo
più o meno tutti i difensori della liceità e della costituzionalità dei dico.
Alle loro spalle la realtà di circa due milioni di diretti interessati da
sostenere perché legittimi cittadini.
Una difesa assolutamente valida, ma difficile. Sia
perché gli argomenti giuridici sono sempre ardui, soprattutto per i non addetti
ai lavori, sia perché il confine fra la voce legittima della chiesa e
l'ingerenza illegittima non si delinea facilmente. E in una seria democrazia
bisogna fare attenzione a non tacitare nessuno, a non silenziare nessuna voce,
soprattutto se autorevole e sostenuta da milioni di ascoltatori. Non è facile,
in concreto, dire quale è il limite che i palazzi vaticani non devono superare.
Questi giorni di discussione hanno rivelato,
piuttosto, una certa debolezza della voce laica. Anche se quella vaticana ha
oltrepassato, come è certo, i suoi limiti, al laico rimane il potere del non
ascolto. Della disobbedienza, se si tratta, come in moltissimi casi, del laico
cattolico. La disobbedienza è una grande risorsa e ricchezza, come diceva don
Milani. Può essere anche un dovere della coscienza cattolica. E può essere
vincente, come è stato, pochi anni fa, al tempo dei referendum per il divorzio e
l'aborto.
Speriamo che in questo difficile momento se ne
ricordino non soltanto le coppie di fatto, ma anche i parlamentari cattolici,
chiamati a decidere fra la voce della coscienza e quella di una politica succube
dei palazzi vaticani
Filippo Gentiloni il manifesto 15/2/2007