LAICITÀ, SPAZIO PUBBLICO, FORME DI PRIVATIZZAZIONE
La parola “laicità”
Per proporre alcune riflessioni su un termine come laicità così denso di
implicazioni e di storia (concetto? principio? valore? metodo ?) e sulle sue
ricadute sul nostro sistema formativo penso convenga considerare lo stato
attuale della sua percezione, tralasciando e affidando ad altra occasione
l’analisi dei percorsi e delle vicende che ne hanno caratterizzato via via la
fisionomia.
Ci troviamo di fronte a una ridda di contraddizioni, citazioni distorte, appelli
contro un deficit di laicità che spesso tuttavia non vanno oltre
l’evocazione taumaturgica del termine, vero rovescio della medaglia di
fondamentalismi estremi, di quel gusto del magico e del soprannaturale che
dilagano nell’universo giovanile propagati dalla commercializzazione dei media e
non sufficientemente contrastati da noi insegnanti e genitori….
Vicino a chi consapevolmente vede in una laicità diffusa l’unica àncora di
salvezza, vi è infatti chi subisce una sorta di fascino ineffabile che il suono
di questa parola, non accompagnata da approfondimenti sostanziali, esercita, un
fascino inesplicabile che ne spiega l’uso spesso improprio, quasi un marchio
D.O.C. apposto a scelte ben lontane da un autentico spirito laico. Partiamo
dalla sua accezione più comune. Oggi, “laico” - per la gran massa di
coloro che continuano a ritenersi “cattolici” anche se non praticanti - è il
non credente che ha il coraggio di dichiararsi tale, quindi il termine è
inteso come sinonimo di ateo, poiché la nozione più diffusa di laicità è
esclusivamente la sua contrapposizione a religiosità; più rara è la percezione
di laico come credente “critico”, una posizione che incute un
misto di turbamento-condanna-rispetto nei fedeli più avvertiti. Comunque, oggi,
sempre, in fondo, in entrambi i casi, si tratta di un sentimento di rispetto.
È, questo “rispetto”, il frutto sedimentato delle persecuzioni, del sangue
versato nei secoli per affermare il valore della laicità…In questo senso mi ha
colpito recentemente la dichiarazione di un giovane al meeting di CL; un ragazzo
,che dopo aver elogiato pienamente l’intervento di Marcello Pera, ha affermato
quasi timidamente di non condividere il suo richiamo sia pure estremo all’uso
delle armi per combattere “il meticciato indistinto”; “però - ha concluso
rispettosamente - lui non è cristiano come noi, lui è laico”…
Dal canto suo, il presidente del Senato, interpretando la posizione dei neocon,
ha più volte affermato che riconoscere le radici cristiane (o giudaico
cristiane) dell’occidente a prescindere dall’adesione a una fede religiosa è
segno di laicità, poiché si tratterebbe di affermare la propria identità
radicata nella civiltà occidentale, di cui il cristianesimo sarebbe emblema.
Per questi “neocon” - fenomeno nuovo sotto il cielo italiano - che si professano
laici in quanto non credenti, ma adottano la croce come simbolo della
superiorità e della tutela della civiltà occidentale, si tratta di una “laicità
ad excludendum”, con un ritorno alla commistione tra potere religioso (tra
l’altro, cattolico più che giudaico cristiano…) e potere politico, proprio il
contrario della distinzione rivoluzionaria che segnò i primi passi nel
cammino della laicità (da laos-popolo,non dimentichiamolo mai)
all’interno del popolo ebraico, per rispuntare in forme determinanti nella
separazione dei due poteri alle origini del mondo medievale.
A questa posizione fa riscontro il rischio di una “laicità indifferenziata”,
nata dall’opposta aspirazione - diffusa negli ambienti del volontariato sociale
- a mettere sullo stesso piano le diverse culture (multiculturalismo),
aspirazione che, pur partendo da una caratteristica forte insita nel principio
di laicità - quella che vede nella conoscenza e nella conseguente accettazione
delle diversità culturali e religiose l’unica forma possibile di convivenza tra
le diverse culture -, può dar luogo all’inclusione e all’accettazione
di usi, tradizioni, forme di religiosità non sempre rispettose dei diritti
umani, come noi li intendiamo.
Il problema è stato posto nel Convegno di Torino della primavera scorsa su
“laicità e diritti umani”.
È corretto rifarsi ancora oggi a un “catalogo occidentale dei diritti umani”, o
la globalizzazione e l’affermarsi di forme di democrazia in territori che ne
erano privi deve indurci a considerare alla stessa stregua quelli fin qui
filtrati dai dettami delle diverse religioni?
Si approda così al tema ritornato oggi in primo piano, del rapporto
laicità-religioni, in presenza di una laicità che - come si è visto - ha
smarrito in gran parte il suo senso originario.
Laicità, infatti, non deve più significare rivoluzione della ragione
contro l’autoritarismo e l’esclusione esercitate per secoli in nome di un potere
soprannaturale, non deve più significare garanzia di uno spazio pubblico
fondato sulla razionalità dei valori civili, non deve rappresentare il
cammino della formazione critica per liberare ogni individuo dalla gabbia delle
religioni e delle identità ereditate e/o subite.
Tutto questo viene oggi bollato come “laicismo”, come qualcosa di “vetero”, non
più proponibile. I nuovi laici sono i neocon che da non credenti si fanno
difensori del cattolicesimo, laicità è esaltazione delle religioni, invito al
dialogo interreligioso, ma sotto un primato, che contro “l’invadenza islamica”
deve continuare ad appartenere alla Chiesa cattolica, maestra peraltro
nel gestirlo in nome di un ecumenismo che continua a vederla protagonista
indiscussa. Le religioni sono viste come il crogiuolo immutabile delle
culture, il rispetto per esse, che ha preso finalmente il posto del termine
“tolleranza”, tende a garantirne la sopravvivenza in nicchie ben individuabili
all’interno delle società (da sottoporre eventualmente in toto a processi di
integrazione più o meno frettolosi o forzati). Il dialogo interreligioso - al
quale peraltro la Chiesa cattolica ufficialmente non partecipa (è il caso del
Tavolo interreligioso promosso dal Comune di Roma) è considerato momento
indispensabile per una conoscenza reciproca, ma, poi, quanti di noi pensano che
si potrebbe, si dovrebbe andare oltre?, molto oltre laicamente, come ci hanno
dimostrato i movimenti delle donne, che a partire dalle varie appartenenze
religiose e non, mettono - hanno messo - in crisi negli incontri di Vienna, di
Helsinki, di Pechino degli anni ’80 e ’90 stereotipi maschilisti, anche se non
promossi, certo protetti dalle religioni? Quanti, quante di noi si domandano
perché spesso la Chiesa è assente da questi luoghi di confronto? E nella nostra
attività quotidiana nella scuola, quanti, quante di noi ci pensano? Forse una
spiegazione eloquente la troviamo nel fatto che oggi si è arrivati alla
stupefacente affermazione che sono i valori cristiani ad essere considerati il
“vero” fondamento dei valori laici (vedi sent.TAR Veneto sull’esposizione del
crocefisso nei locali scolastici), e “laico” è considerato in sedi autorevoli
l’art. II,10 del Trattato per una Costituzione Europea che si preoccupa della
libertà religiosa e del diritto a manifestare “ovunque” il proprio credo
religioso, e “laico” è considerato il famoso art.51 che istituzionalizza un
dialogo aperto tra l’UE e le Chiese riconoscendo il “loro contributo specifico”.
Per la soppressione di questo articolo si erano invano mobilitati i “laicisti”
che vi avevano visto la sudditanza degli Stati membri alle religioni (e
segnatamente alla Chiesa cattolica che già si era espressa favorevolmente) in
materia di etica.
Spazio pubblico - scuola pubblica -
forme di privatizzazione
La confusione, l’in-differenza, l’ossequio in Italia al clero cattolico,
che impediscono uno “spazio pubblico e dunque laico” affliggono anche la
scuola pubblica, dove domina incontrastato il potere della Chiesa cattolica,
dove per laicità si intende tutt’al più il confronto tra le diverse religioni,
ritenute l’unica espressione culturale della diversità. Tanto è vero che la
richiesta di un insegnamento di storia delle religioni è molto comune e ben
pochi si pongono il problema se a insegnarla dovrebbe essere un docente
designato dal vicariato o un docente di storia. Ancora meno sono coloro che
pensano che una scuola pubblica in quanto non confessionale dovrebbe
presentare ai giovani degli approfondimenti non tanto sulla storia e la natura
delle singole religioni, bensì sulle “radici storiche delle religioni”: perché
quella religione in quel determinato momento storico? In quel
determinato territorio? Con quali conseguenze sugli assetti politici,
economici, culturali internazionali? Storicizzare, insomma, le
religioni - il che presuppone un’ottica laica, l’ottica della conoscenza
razionale del fatto religioso -. Il processo può essere avviato nella scuola
primaria e proseguire poi per fasi più complesse,
Ma può la scuola definirsi “pubblica”, cioè di tutti e per tutti, senza
essere laica? Col degrado cui è giunto il concetto di laicità si potrebbe
rispondere affermativamente. Oggi infatti la scuola “pubblica” comprende anche
le scuole confessionali paritarie, si insegna religione cattolica nell’orario
scolastico obbligatorio, gli insegnanti di religione cattolica hanno ottenuto
l’assunzione nei ruoli dello Stato. Ma non si tratta solo di questo, perché,
allora - paradossalmente - dovremmo considerare “laica” una scuola privata
agnostica (comunemente si definisce “scuola laica” una scuola privata retta da
non religiosi), nella quale non sia impartito alcun insegnamento religioso.Per
poter andare avanti nella nostra riflessione occorre richiamare alla memoria il
percorso e gli effetti delle battaglie per la laicità nei secoli, conquiste, che
hanno avuto al centro la rivendicazione delle capacità intellettive di ogni
essere umano, la concretezza inoppugnabile dei dati scientifici, la liberazione
della ragione umana da ogni forma di condizionamento, fino al riconoscimento dei
diritti umani non come dono divino, ma come conquista di uomini e donne. Fino a
forme sempre più compiute di democrazia, sempre risorgenti dopo gli oscuramenti
dei dispotismi.
Allora, la forma dello Stato democratico, la sua organizzazione, le sue
istituzioni - tra le quali la scuola che ne è funzione precipua - non sono solo
un generico “spazio pubblico”, ma sono il prodotto di studi, di idealità, di
progetti specifici di società fondate sull’uguaglianza dei diritti umani e
sociali. In questo senso la scuola è pubblica solo se laica, cioè se è in
grado di garantire a tutti l’espletamento del diritto a una formazione ai valori
civili che è precondizione per il conseguimento di una democrazia compiuta.
Per questo continuiamo a lottare perché la scuola pubblica diventi veramente la
scuola della Repubblica, non “proprietà “ dello Stato, ma funzione
dello Stato, garantita nella sua unitarietà dal Parlamento (un organo
elettivo che la svincoli dal potere burocratico del Miur mantenendone saldo il
carattere nazionale? Parliamone) non “servizio pubblico”, mista a scuole
confessionali o di tendenza in un disegno estraneo alla Costituzione, non
frantumata in scuole regionali, ma in grado di rispondere nei vari luoghi alle
differenti esigenze dei giovani non con “piani individualizzati”, ma cogliendo
le occasioni per uniformare col dialogo costante la formazione critica degli
alunni in direzione dei valori espressi nella Costituzione, gli stessi che
vorremmo affermare in Europa.
Formazione critica che in un’ottica laica non deve arrestarsi di fronte ad
alcuna appartenenza etnica o religiosa. I bambini e i giovani che abbiamo di
fronte non sono esseri costretti dai condizionamenti delle proprie identità,
sono individui liberi, che devono saper riconoscere le proprie radici
senza subirne un freno al cambiamento. Ognuno deve esser messo in grado di
visitare criticamente il proprio vissuto , e nulla deve essere considerato
immobile . Il rispetto delle diversità non deve inchiodare nessuno per tutta la
vita in una sorta di nicchia.
Mettersi in discussione, confrontare le esperienze…senza, tuttavia, smettere di
porsi il problema di fondo: che la scuola pubblica è la scuola della
Costituzione repubblicana, una Costituzione laica nei suoi principi fondamentali
, oggi ancora in gran parte non attuata proprio nella scuola. Cosa facciamo per
attuarla? Di tutto questo si dovrebbe parlare nella programmazione
didattico-educativa. In quest’ottica dovrebbe essere ricostruita e presentata
agli studenti la memoria storica.
Siamo d’accordo con questa idea di scuola pubblica? La riteniamo possibile? Ci
piace? Non ci piace? Perché?
Vorrei tornare ora brevemente sull’osservazione fatta poco fa: perché una
scuola privata ancorché agnostica non potrebbe definirsi laica? Non può
essere laica nella sostanza, perché non è nelle condizioni di attuare il
principio di uguaglianza, perché è di per sé escludente, perché è soggetta a una
forma di privatizzazione della formazione, perché “laicità” è garanzia di
pluralismo, di libertà. Ma… si potrebbe definire “laica” la scuola di Don Milani,
e sul suo esempio, scuole laiche “fai da te”, aperte a tutti, che dichiarassero,
ad esempio, legittima la ribellione all’autoritarismo in nome del primato della
libertà di coscienza?
Vorrei proporre a questo punto un’interessante notazione di Carlo Augusto Viano,
a conclusione di un suo seminario su “ Laicità e Laicismo” che può forse offrire
qualche utile stimolo alla discussione: “Spesso si imputa all’Illuminismo
un’influenza negativa sulla nostra cultura….la supremazia della ragione sul
sentimento….una scarsa sensibilità per la particolarità storica delle culture,
il tentativo di rendere uniformi i comportamenti….Quasi nessuna di queste accuse
è fondata. Invece si dimentica che gli Illuministi hanno avuto il coraggio di
dire che i testi religiosi erano falsi e contenevano imposture. …Un laicismo non
timoroso, che sappia esercitare con coraggio la critica delle superstizioni e
promuovere la libertà degli individui, senza subire restrizioni in nome di testi
inattendibili o di entità soprannaturali, è ciò che manca nella cultura e nella
pratica politica del nostro paese.”
Antonia Sani
(Relazione all’incontro promosso dalla rivista ECOLE “A scuola di Repubblica”.
Firenze, 11 settembre 2005)
dal sito www.italialaica.it (16-9-2005)