Così l'Occidente ruba ai poveri
E' il
sistema finanziario internazionale uno dei principali responsabili del
sottosviluppo e del perpetrarsi delle disuguaglianze fra Nord e Sud del mondo.
Il rapporto del SocialWatch «Architettura impossibile», pubblicato ieri dalla
sezione italiana della rete che conta 400 Ong sparse in 120 paesi, traccia uno
scenario disastroso. Un quadro che, smentendo una versione data fin troppo per
scontata in Occidente, capovolge, dati e cifre alla mano, la vulgata del
continuo trasferimento di fondi dal Nord al Sud del mondo. La situazione è
diametralmente opposta, come afferma Sony Kapoor, economista e analista
finanziario americano, fra i redattori del documento. Occorre partire
smascherando il mito dei paesi ricchi che «trasferiscono quantità importanti di
risorse a quelli poveri», e verificando la veridicità di questa affermazione.
Perché «ogni anno centinaia di miliardi di dollari, molti più del totale degli
aiuti, scorrono dai paesi poveri verso quelli ricchi». Sono soldi che scorrono
sotto forma di restituzione dei debiti, di trasferimenti del settore privato e,
in maniera più rilevante, «attraverso i canali del commercio e dei trasferimenti
di capitale».
«Il sistema finanziario internazionale è
architettato tutto a vantaggio del Nord del mondo», spiega Tommaso Rondinella,
curatore italiano del rapporto SocialWatch. Attraverso una serie di strumenti
(la spirale del debito, il sistema crediti/prestiti, le riforme strutturali, le
tariffe imposte dalla Wto, il protezionismo) che non solo capovolgono il flusso
dei fondi, ma minano la crescita economica e lo sviluppo sociale,
destabilizzando i paesi del Sud del mondo. Il rapporto annuale SocialWatch -
giunto alla sua decima edizione - chiede perciò una riforma urgente dell'attuale
struttura finanziaria internazionale, e non manca di gettare uno sguardo alla
situazione italiana, in un capitolo titolato «Poche risorse per lo sviluppo, in
Italia e all'estero», che compie una disamina impietosa degli orientamenti
adottati dal governo Berlusconi in tema di cooperazione.
Che la situazione della povertà e dell'iniquità a
livello internazionale peggiori non è solo un'affermazione di SocialWatch,
considerata il contraltare del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. E' la
stessa Onu a lanciare l'allarme. Se il primo degli Obiettivi del Millennio era
«dimezzare, tra il 1990 e il 2015, il numero di persone che soffrono la fame», a
metà corsa «il numero è in aumento, anche se le regioni più colpite mostrano
miglioramenti». Così recita il Rapporto 2006 sugli Obiettivi di sviluppo del
Millennio, scritto sei anni dopo che i governi del mondo giunsero a un accordo
su una visione comune per il futuro. Si disegnava un mondo con meno povertà,
fame e malattie. Per ora gli obiettivi restano solo utopie e i progressi non
sono ancora sufficienti. Il Rapporto Onu si sforza di mettere in luce anche
alcuni progressi compiuti tra il 1990 e il 2006 e sostiene, con ottimismo, che
«esistono segnali di speranza»: ad esempio «fornire a ogni bambino l'istruzione
primaria è un obiettivo raggiungibile». Ma le ombre sono in quantità maggiore:
si registrano ampie disparità e disuguaglianze «sia tra i diversi paesi, sia
all'interno dei paesi stessi», «in particolare nel caso di coloro che abitano in
aree rurali e remote». È dunque necessario un impegno maggiore, ribadiscono le
Nazioni Unite, «sia da parte dei paesi industrializzati, rafforzando il loro
sostegno, sia da parte dei paesi in via di sviluppo, che dovrebbero utilizzare
in maniera più efficace l'aiuto dall'estero e le proprie risorse».
(Lettera22) il manifesto 25/11/06