L'unica Terra che abbiamo
Si può
fare qualcosa per salvare Terra? Quel posto che noi umani conosciamo e amiamo?
L'unico che abbiamo? A Nairobi per la Conferenza sul cambiamento climatico si
riuniscono rappresentanti di 189 paesi di ogni continente per riflettere
insieme, discutere, scambiarsi accuse, trovare qualche soluzione. Il Wwf, un
gruppo ambientalista, riassume così il da farsi: occorre evitare che la
temperatura del pianeta superi di 2 gradi centigradi quella esistente prima
della rivoluzione industriale. Due gradi sembrano sopportabili, ma c'è un forte
rischio che un riscaldamento globale così elevato abbia effetti devastanti sulle
isole, le zone costiere, l'Europa atlantica, causando lo scioglimento dei
ghiacci in Groenlandia e Antartide, l'aumento del livello degli Oceani, il
rallentamento della Corrente del Golfo. E fermiamoci qui, per il momento.
Terra continuerebbe a girare senza problemi, come
racconta abilmente Jeremy Leggett in «Fine corsa», con il suo apologo sulla
brevissima storia dei «Pensanti», cioè di noi umani. In pratica il pianeta
diverrebbe solo un po' più brutto, almeno ai nostri occhi di oggi, Un po' più
fumoso.
Anche mettendocela tutta, distruggendo la natura con
metodo e passione, bruciando le foreste, emettendo anidride carbonica, metano e
altri gas serra, cementando e desertificando il possibile, sprecando tutta
l'acqua potabile (e rendendo obbligatorio bere quella in bottiglia), avremmo
bisogno di molte decine di anni, quasi di un secolo, per fare crescere la
temperatura dei fatali due gradi. Ma non è detto che non si possa fare prima.
Basta che l'industria, i trasporti, i paesi ricchi, quelli che ambiscono
diventarlo, i venditori di carbone, gas, petrolio, le multinazionali e la
governance mondiale unificata, si mettano d'accordo per far crescere, tutti
insieme, la temperatura; e aspettare. Qualcosa nell'equilibrio fragile di Terra
potrebbe rompersi, in modo irreparabile per gli umani.
Non tutti accettano questa visione del futuro.
Alcuni pensano che si tratta di esagerazioni, oppure di un imbroglio di chi non
vuole dividere la ricchezza, al massimo di un rigurgito di cattiva coscienza.
Molti altri sono convinti che comunque non tocchi a loro: si muova il vicino, o
quell'altro che si agita tanto. C'è chi ha ancora troppo petrolio e vuole
venderlo tutto prima del «si salvi chi può». Un altro si arma per impedire agli
estranei di avvicinarsi al suo paradiso terrestre che - ne è ben certo - resterà
indenne dal riscaldamento globale; un altro, il più potente tra i potenti nel
mondo, vuole difendere la floridissima economia della sua nazione e le grandi
imprese che lo hanno sostenuto; e pensa di farlo mettendo la testa sotto la
sabbia ed escludendo i pericoli finali dell'effetto serra.
Tenendo conto di tutto questo, si può tentare di
porre rimedio al disastro vicino. In primo luogo informare tutti; poi ridurre le
emissioni con edifici meglio coibentati e città più ragionevoli; trasporti
collettivi; uso di energie rinnovabili: vento, sole, biomasse per la generazione
di elettricità e di calore; industria orientata al risparmio e al riciclo. Il
tutto guidato da una politica che, finalmente risvegliata, punti sull'obiettivo
della sopravvivenza umana e sul mondo salvato per molte future generazioni di
ragazzini.
Guglielmo Ragozzino Il manifesto 7/11/06