L'esclusiva del Vaticano
Ma
perché, secondo alcuni, di eutanasia non si dovrebbe neppure parlare? Così,
infatti, stanno reagendo non pochi - politici e non - dopo l'appello lanciato
dal presidente della repubblica Napolitano in risposta alla lettera di
Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare.
Vale pena di riflettere sulle loro «ragioni». In
primo piano c'è una radicata convinzione cattolica: la fascia di terreno - di
tempo - fra la vita e la non vita sarebbe di esclusiva proprietà cattolica. Così
per la nascita, così per la morte. Una fascia di tempo che è stretta e corta dal
punto di vista della sua durata, ma essenziale: vi si gioca davvero tutto. La
chiesa ne vuole mantenere una sorta di proprietà esclusiva, sapendo bene che chi
domina quelle strette fasce di tempo, domina tutta la vita. Perciò la condanna
assoluta dell'eutanasia: considerata una sorta di «ingerenza laica» su quella
che sarebbe la soglia della vita, la porta dell'al di là.
Ma anche una certa cultura laica si unisce a quella
cattolica. La cultura per la quale la vita è qualche cosa di meccanico, per non
dire di materiale. Un movimento di qualche arto, un respiro. Un «io» isolato da
tutto e da tutti. La vita prescinderebbe da tutto ciò che, invece, non soltanto
la arricchisce ma la fa essere davvero tale: relazioni, rapporti, affetti,
parole, sguardi. La vita sarebbe così affidata a qualche macchina, chiamata a
farla continuare. Sopravvivere: vivere al di là, cioè, della vita vera.
Per tutti costoro, laici e cattolici, niente
eutanasia: sarebbe sufficiente a ogni bisogno l'ormai famoso «testamento
biologico» di cui si parla tanto, una dichiarazione destinata ad evitare quell'accanimento
terapeutico che tutti detestano e che vorrebbero escludere per sé e per gli
altri, ma i cui confini sono difficili da definire da lontano, quando si è
ancora sani.
E' vero che anche l'eutanasia non ha confini facili.
E' ben vero che chi vuol escludere vecchi e malati dalle cure e così liberare
più in fretta qualche letto di ospedale potrebbe domani servirsi di una legge
permissiva. Perciò è necessario discutere ogni aspetto di una situazione che ci
riguarda tutti, da vicino o da lontano: non si può né ignorarla né delegarla a
qualche autorità competente.
Della riflessione sulla vita fa parte essenziale
anche quella sulla morte. Mia e degli altri. I più direttamente interessati sono
i medici, ma non è giusto lasciare la morte - meglio: il morire - esclusivamente
nelle loro mani. La morte si prepara contribuendo, giorno per giorno, alla
bellezza e ricchezza della vita, quella vita vera che la malattia, quando è
inguaribile, porta via.
Con la minore sofferenza possibile: anche la lotta
al dolore fa parte essenziale della vita. E alla lotta contro il dolore il
dibattito sull'eutanasia può dare un contributo essenziale, positivo. Forse
insostituibile.
Filippo Gentiloni Il manifesto 26/09/06