L’Italia che non vogliamo
La festa per la vittoria riserva
spiacevoli sorprese. Croci celtiche, svastiche sui muri, cori fascisti.
Purtroppo anche Buffon è coinvolto. E non è la prima volta
Ieri abbiamo commentato la vittoria della Nazionale di calcio con un velato
(forse non troppo) ottimismo, probabilmente sulla scia degli entusiasmi
collettivi che non hanno risparmiato nessuno, dal Presidente della Repubblica
all’ultimo dei tifosi. Abbiamo parlato dell’Italia che vogliamo, dell’Italia dei
Grosso e dei Pessotto, e di una squadra che grazie all’unità e la voglia di fare
bene è riuscita a superare ogni asperità, malgrado o magari proprio perché in
attesa di giudizio, quello della corte riunita a Roma per il maxi-processo di
Calciopoli. Ma il “day after” caratterizzato da una intera giornata di
festeggiamenti, iniziati nella notte di domenica e culminati, nella serata di
lunedì, con l’arrivo dei nostri eroi nel sontuoso approdo di un Circo Massimo
invaso da almeno un milione di persone, ci ha purtroppo tristemente ricondotti
alla realtà.
Le prime stonature sono partite proprio da lì, da quel palco attrezzato per
l’occasione, dove i giocatori italiani a un certo punto non hanno saputo fare
niente di meglio che ripetere, sulle note di “Bella Ciao”, la frase “e chi non
salta – è un francese”, francamente poco accettabile quando arriva dai cori di
una curva, figuriamoci se ripetuta dai giocatori stessi.
Tra gli striscioni esposti nel corso della festa, alcuni poi recitavano scritte
non propriamente simpatiche: dal sibillino “Che schiava di Roma Iddio la creò”
al contorto “Sigh Heil”, con evidente errore terminologico (andrebbe scritto “Sieg”),
chissà se volontario oppure dovuto a una scarsa conoscenza della lingua tedesca.
Sicuramente, chi lo ha scritto a modo suo si mette in luce come conoscitore
della peggiore pagina di storia del Novecento, rievocata chissà perché nel
giorno del ringraziamento mondiale italiano. Un enigma, questo, che potrebbe
esserci svelato dall’estremo (è il caso di dirlo…) difensore più forte al mondo,
Gianluigi Buffon.
Dopo aver indossato in tempi passati una maglia con un doppio otto, che nella
numerologia nazista richiama alla lettera l’iniziale del saluto al fürher (Heil
Hitler!), più recentemente il portiere nazionale si era distinto per aver
ammesso davanti alle telecamere di non sapere cosa rappresentasse storicamente e
ideologicamente l’epiteto “Boia chi molla”, anche se sulla T-shirt lo aveva
scritto di suo pugno con un pennarello.
Nel corso dei festeggiamenti di lunedì sera, a un certo punto, Buffon ha invece
pensato bene di portarsi via un lenzuolo firmato “Gruppo Fidene” e siglato con
tanto di celtica, che recitava “fieri di essere italiani”. Se tre indizi fanno
una prova, al distratto Buffon bisognerà regalare un buon manuale di storia, da
leggere durante il suo meritato riposo estivo.
C’è poi il finale col botto, quasi certamente regalatoci da quei buontemponi
che, terminata la kermesse del Circo Massimo, si sono aggirati per tutta la
notte nelle stradine del centro, canticchiando strofette poco cortesi nei
confronti di Zidane e famiglia (forse non troppo lontane da ciò che il
fuoriclasse franco-algerino deve aver sentito uscire dalla bocca di Materazzi),
intervallate dallo slogan “duce-duce” urlato così, senza senso, tanto per
gradire. Si trattava nella maggioranza dei casi di giovanissimi appena
maggiorenni, neanche tanto consapevoli del significato di quello che stavano
sbraitando. Il che, naturalmente lontano dal giustificare, rende tutto ancora
più preoccupante. Per ulteriori informazioni, rivolgersi agli abitanti della
zona-Trastevere e dintorni, sino verso ponte Garibaldi.
Così la mattina ci svegliamo avendo dormito molto poco, e con delle svastiche
disegnate sui muri del quartiere ebraico, quasi a suggello delle immancabili
dichiarazioni di un leghista d.o.c., stavolta Roberto Calderoli, già ministro
delle Riforme del precedente governo, che evitiamo di riportare per pudore e
vergogna nei suoi e nostri confronti. In questo caso, da “italiani veri”, non
possiamo far altro che chiedere scusa al popolo francese (cfr. “L’Italia che
vogliamo”, aprileonline in rete ieri, n.201).
Eccoci qui, dunque, dopo poche ore di sollievo, immediatamente disillusi da ciò
che veramente siamo rispetto a ciò che potremmo essere, di nuovo alle prese con
un popolo che si ricorda di essere tale soltanto quando vede una palla che
rotola, possibilmente nella direzione che più gli conviene, in maniera tale da
poter scatenare le sue quotidiane repressioni e i torbidi istinti, senza dover
rendere conto a nessuno, perché i Campioni del Mondo siamo noi.
Questa è l’Italia che non vogliamo, e che ricominceremo a combattere con ogni
mezzo lecito. A partire da domani.
Emiliano Sbaraglia AprileOnLine n.202 del 12/07/2006