LAZZATI E LA LAICITÀ CRISTIANA, 20 ANNI
DOPO
Il tema della
vita cristiana condotta da laici fu senz'altro il cuore dell'e-sistenza di
Giuseppe Lazzati. E resta questione ancora controversa a vent'anni dalla morte,
sia in sede interpretativa (dopo la nota polemica suscitata da ambienti ciellini),
sia per l'attualità della nostra Chiesa. Ho l'impressione che l'approccio di
Lazzati alla questione della laicità cristiana si possa considerare come un
percorso a spirale: su alcune intuizioni originarie giovanili forti si
innestarono via via acquisizioni progressive (in risposta a nuovi contesti e
nuovi problemi), senza mutare radicalmente orizzonte.
Il punto di partenza furono proprio la formazione e le prime responsabilità di
Lazzati. Inserito in modo convinto nel quadro del progetto movimentista di
riconquista cristiana tipico della Chiesa di Pio XI e Pio XII, diede fin da
allora una sottolineatura originale a quel percorso. Il primo aspetto centrale
era la scelta per un cristianesimo di convinzione, che andasse oltre le tendenze
a ripristinare l'impossibile cristianità del passato, tramite attivismo,
nell'illusione di riconquista dall'esterno della società. Si trattava della
modernità fondamentale dell'appello alla coscienza, come unica via per vivere la
fede. La seconda sottolineatura era l'im-portanza di formare un'élite nel popolo
di Dio (il laòs, appunto), non iniziatica ma capillare e diffusa, per
promuovere, sostenere e diffondere questo percorso di trasformazione interiore:
élite da crescere in modo vocazionale e spirituale senza "ecclesiasticizzarla" o
separarla dal mondo. In questa linea troviamo il "cenacolo" della Giac milanese
e poi l'intuizione di un percorso originale di spiritualità consacrata nel mondo
(i suoi Milites Christi). Il dissidio con Gedda del 1940-'41 fu rivelatore (il
punto era proprio la concezione dell'Ac come esercito di massa). Il tema del
"sacerdozio comune" dei fedeli era il primo approccio a questa visione della
fede vissuta nel mondo. In termini storico-sociali il punto emergente era per
Lazzati la distinzione tra Chiesa (con l'Ac) e politica: implicita ai tempi del
regime, chiarissima fin dal 1943, espressa poi nelle riflessioni del periodo
costituente e del 1948. Al contempo, esigenza di libertà ecclesiale e di
autonomia dei laici in politica.
Gli anni ‘50-‘60 furono vissuti nella ricerca di linguaggi per esprimere questa
novità, dapprima faticosamente indagati e poi felicemente sedimentati nella
sintesi conciliare. In questa fase la questione ecclesiale centrale per
l'itinerario di Lazzati fu la specifica missione del laico cristiano maturo, che
vive nella e della Chiesa con pienezza di esperienza e di condivisione della
fede, ma è capace di operare le proprie scelte nella storia con responsabilità
distinta dalla comunità ecclesiale e nell'autonomia dalla gerarchia. Questo
approfondimento è del resto sviluppo coerente delle intuizioni precedenti: la
società non si ricristianizza dall'esterno ma nel cuore della condizione comune
della vita umana, "ordinando secondo Dio" queste attività, nel rispetto profondo
della loro logica. Su questa linea stanno appunto le acquisizioni conciliari di
Lumen Gentium 31, testo carissimo a Lazzati. Si spiega nella stessa linea la
rottura con Gioventù Studentesca-Comunione e Liberazione (pur sviluppata a
partire dalla condivisione con Giussani dell'esi-genza di unità fede-vita): la
critica di fondo a quel modello era la presunzione di ridurre l'esperienza
cristiana all'esperienza del gruppo-movimento nella sua immediatezza. C'era una
concezione della Chiesa ampia e rispettosa dell'articolazione apostolica di
magistero e gerarchia, che non si può senza corti circuiti portare dalla parte
della propria parzialità di progetti. In termini storico-sociali, il problema
diventava la costruzione delle premesse, culturali ed ecclesiali, di un servizio
nuovo di laici in politica, una volta difesa l'autonomia della Dc.
Nell'ultima fase della sua esistenza, gli anni ‘70-‘80, continuava la
riflessione matura sulla laicità, che egli considera sfidata e messa a rischio,
nonostante il clima positivo della "scelta religiosa" della Chiesa italiana. Il
convegno della Cattolica sulla laicità del 1977 era espressione di questo
impegno. Emergeva una valutazione forte per cui il Concilio non fosse recepito e
seguito, a rischio di nuovi integrismi o di ricorrenti laicismi. Negli anni '80
reagì in difesa delle acquisizioni conciliari, contro le sottolineature di
alcuni teologi (Bruno Forte e Severino Dianich) che vedevano il rischio di un
dualismo latente. L'obiezione lazzatiana non va tanto contro le tesi sulla
secolarità come dimensione di tutta la Chiesa, ma contro ogni diminuzione della
specificità del problema laicale: è importante salvare l'unità popolo di Dio e
assieme l'originalità (espressa anche in forma di carismi e ministeri) della
vita cristiana del laico nelle realtà temporali. In termini storico-sociali, il
nuovo problema centrale era la decadenza del progetto politico cristianamente
ispirato, lucidamente intravista e anzi anticipata da Lazzati. A contrario, tale
crisi rafforzava le sue idee sulla laicità come responsabilità di cristiani
interiormente solidi e sulla questione della cultura politica come forma
specifica di servizio. L'origine primaria delle difficoltà ad esprimere anche
politicamente la fede stava sul terreno delle fede stessa e delle sue debolezze.
Tornava l'urgenza della preparazione e tornava un problema di élites (anche
politiche), ma in nuce c'era l'idea forte di un nuovo progetto necessario
(scommessa alta e tutto sommato sconfitta, ma da non trascurare per la sua
radicalità). La fondazione dell'associazione Città dell'uomo fu intesa in questa
logica.
In conclusione, il linguaggio lazzatiano può essere datato e il contesto
lazzatiano non è più lo stesso, ovviamente. Ma mi pare che il problema
lazzatiano sia rimasto aperto sotto diversi profili.
Guido Formigoni, presidente
di 'Città dell'Uomo', docente di Storia Contemporanea alla Iulm di Milano
Adista
notizie n.49 2006