LA DIREZIONE INTRAPRESA
NON È PROMETTENTE
Prima del Conclave dell'aprile 2005, "Noi Siamo Chiesa" cercò di farsi
espressione del sentimento diffuso tra tanti credenti auspicando "una nuova
primavera che rendesse più facile un nuovo e più credibile annuncio del Vangelo
di Gesù all'uomo d'oggi". Questa speranza si intrecciava con l'attesa di una
svolta nella Chiesa cattolica che liberasse le tante energie positive e perché
venissero meno le incomprensioni, le rotture e le estraneità che si erano
consolidate negli anni, solo oscurate - ma niente affatto cancellate - dalla
personalità e dalla presenza mediatica di Giovanni Paolo II, e dal suo così
lungo, complesso e contraddittorio pontificato.
A prescindere dalle perplessità suscitate in noi (come, del resto, in larga
parte dell'opinione pubblica cattolica) dalle ben note posizioni teologiche del
card. Joseph Ratzinger, a noi sembrò giusto, il 19 aprile 2005, evitare di
esprimerci su quello che avrebbe potuto fare, o non fare, Benedetto XVI, per
attuare concretamente il Concilio Vaticano II. Ma, adesso, trascorso un anno
dalla sua elezione, ci sembra di poter formulare alcune valutazioni, che
naturalmente sono aperte e in revisione in base a quello che nel prossimo futuro
il pontefice farà.
Seppure provvisorio, il nostro giudizio nasce sempre da un sentimento vivo e
sofferto di appartenenza alla Chiesa cattolica, e di volontà – per quello che
possiamo – di contribuire a mantenere viva e feconda l'eredità dell'"evento"
innescato dall'ardire profetico di papa Giovanni.
La continuità con Giovanni Paolo II
La continuità con il pontificato precedente, sia per la personalità e la storia
del card. Ratzinger sia per le tante emozioni suscitate dalla scomparsa di
Giovanni Paolo II, era del tutto prevedibile e ci sembra, fino ad oggi,
confermata in gran parte dalle iniziative e dalle prese di posizione di
Benedetto XVI. Evidenti, ci sembra, sono questi segni: il richiamo esplicito ed
insistente all'insegnamento del suo predecessore e la stessa decisione di
assecondare la richiesta di iniziarne subito il processo di canonizzazione; la
conferma di tutte, indistintamente, le precedenti responsabilità nella Curia
(salvo i cambiamenti - in senso "conservatore", però - decisi in febbraio e
marzo); il richiamo verbale ad una maggiore collegialità nella gestione della
Chiesa non seguito, però, da decisioni attuative concrete; la celebrazione del
Sinodo dei vescovi di ottobre che, pur concedendo qualche maggior spazio di
dialogo, ha saldamente mantenuto all'organismo il suo carattere del tutto
consultivo; l'in-sistente riconferma di tutte le vecchie "ortodossie" precedenti
sul ruolo della donna nella Chiesa, sul celibato obbligatorio del clero latino,
sugli omosessuali (con il duro documento di novembre che vieta la loro
ammissione in seminario); la riproposta delle indulgenze in agosto a Colonia e
per i quaranta anni dalla conclusione del Concilio in dicembre; l'insistente
richiamo alla necessità di riscoprire le "radici cristiane" dell'Europa; la
permanente chiusura al rapporto con le aree critiche presenti nella Chiesa
(l'udienza, in settembre, ad Hans Küng, infatti, non ha aperto un reale dialogo
del Vaticano con il mondo teologico "non ufficiale").
L' arretramento
Oltre alle continuità rispetto a prima (come la conferma della tradizionale
posizione sugli anticoncezionali, ribadita in giugno ai vescovi dell'Africa
australe, cioè a rappresentanti di Paesi flagellati dall'Aids) ci sembra che ci
siano stati anche degli arretramenti: per esempio la soppressione di fatto del
Consiglio per il dialogo interreligioso o l'appoggio esplicito e ripetuto alla
discutibile linea della Conferenza episcopale italiana di intervento diretto
nella politica legislativa del nostro Paese (referendum sulla legge n. 40,
progetti di legge sui Pacs). Questa presenza più diretta del papa sulla scena
italiana fa crescere inevitabilmente nella cultura laica comprensibili
manifestazioni di anticlericalismo che poi si trasformano in diffidenza ed
ostilità nei confronti dello stesso messaggio evangelico.
Concilio: la polemica con l' "ermeneutica della discontinuità"
La linea di "raffreddamento" delle posizioni innovative del Concilio, che era di
Giovanni Paolo II, è stata direttamente confermata da Benedetto XVI nel suo
discorso alla Curia romana, il 22 dicembre. La sua vivace critica al-l'"ermeneutica
della discontinuità" nel valutare il Vaticano II, interpretazione che, a suo
parere, avrebbe causato solo confusione, non può essere condivisa da chi ha
vissuto il Concilio come una riscoperta delle radici evangeliche della fede e
delle sue possibilità di parlare di nuovo all'uomo d'oggi di ogni condizione e
di ogni latitudine.
È vero, d'altra parte, che - nello stesso discorso - Ratzinger ha sostenuto la
piena legittimità di giudicare il Vaticano II interpretandolo come un "concilio
di riforma". Parole che appaiono promettenti ma che, però, finora non hanno
avuto nessuna concreta, visibile e indubitabile concretizzazione.
A rendere difficile a Benedetto XVI l'attuazione di riforme ecclesiali nella
direzione indicata dal Concilio è anche - così, almeno, ci sembra - la scelta da
lui fatta di arrivare ad una pacificazione con i seguaci di mons. Lefebvre.
Tutti sanno, infatti, che i lefebvriani molto difficilmente accetteranno una
realizzazione della collegialità episcopale che ripensi il ruolo del papato così
come inteso dal Vaticano I, per aprirlo alle prospettive aperte nel Vaticano II
dalla costituzione sulla Chiesa Lumen gentium; o una riforma liturgica che
prenda sul serio la partecipazione di tutto il popolo di Dio alla celebrazione
eucaristica. Temiamo che, pur di porre fine allo scisma dei cattolici
tradizionalisti, Ratzinger prosegua con una interpretazione minimalista del
Concilio fino a svuotarlo di molte sue potenzialità teologiche e pastorali.
Discontinuità ed eurocentrismo
Dal complesso di tutti i suoi numerosi interventi ed atti di governo appare
evidente che Benedetto XVI ha un'ottica fortemente eurocentrica o, meglio,
attenta soprattutto all'Occidente, e alle filosofie, culture e dinamiche che in
esso si sono sviluppate nel secolo XX. Benedetto XVI cita, episodicamente, i
problemi dei popoli emergenti, e in generale del Sud del mondo, ma questi non
costituiscono l'asse del suo pensiero; una tale "sottovalutazione" costituisce
un elemento di discontinuità con Giovanni Paolo II il quale, pur respingendo la
proposta della teologia della liberazione di fronte alla fame ed al
sottosviluppo, aveva affrontato con largo respiro i problemi posti dalla
globalizzazione e dalla guerra. È anche venuta meno, finora, la denuncia della
guerra preventiva in Iraq che è stata l'ultimo grido profetico di Giovanni Paolo
II. Su di essa è caduto il silenzio. L'Iraq è solo "nel lutto quotidiano nel
corso di questi anni per degli atti terroristici sanguinosi" (discorso al Corpo
diplomatico del 10 gennaio), con riferimento evidente agli attentati dei
kamikaze islamici, mentre i fatti di Falluja, di Abu Graib e tanti altri - e
cioè le gravissime responsabilità anglo-americane (sostenute anche dal governo
italiano) per l'illegale attacco contro Baghdad, e per le atrocità compiute
dagli eserciti invasori anche contro la popolazione civile - sono dimenticati.
Il linguaggio ed i silenzi papali sembrano avvicinare la linea del Vaticano a
quella degli Usa.
Ancora, appare del tutto assente, negli interventi di Benedetto XVI, una presa
di posizione radicale contro la guerra e, in positivo, a favore della
nonviolenza; a favore del-l'obiezione di coscienza all'esercito, tanto più se
esercito invasore; a favore delle missioni di pace dal basso (che sono la
pratica dei movimenti pacifisti cristiani). E poi, nella sua riflessione
generale contenuta nel messaggio per la giornata della pace del primo gennaio,
papa Ratzinger parla della pace fondata sulla verità piuttosto che della pace
fondata sulla giustizia. Ma la pace, ci sembra, si deve fondare anzitutto sulla
giustizia e quindi sulla tutela e la promozione di quei diritti umani e sociali
di cui parla la prima parte della Pacem in terris, tutti riconosciuti o
riconoscibili da differenti storie e culture e da ogni uomo e da ogni donna di
buona volontà, ateo o agnostico o in ricerca che sia.
Emergono, poi, anche altre contraddizioni ed incoerenze per quanto riguarda la
posizione della Santa Sede in campo internazionale. Quando, per esempio, il
Vaticano chiede un profondo rinnovamento dell'Onu (nel messaggio per la giornata
della pace) o la promozione dei diritti delle donne in ogni campo (intervento
all'Ecosoc dello scorso marzo) esso non sembra rendersi conto che bisognerebbe
dare il buon esempio e agire anzitutto perché la struttura stessa della Chiesa
cattolica sia profondamente riformata per affrontare adeguatamente i problemi
sollevati, soprattutto per quanto riguarda la pienezza dei diritti della donne
all'interno della stessa Chiesa, ed i problemi di "genere".
Altri aspetti del pontificato
Ci sono naturalmente altri aspetti del primo anno di pontificato che possono
essere visti in modo positivo o, almeno, di per sé suscettibili di avere
sviluppi che scuotano lo status quo. Pensiamo, per esempio, all'ipotesi di nuovi
rapporti con la Repubblica popolare cinese, alla riconvocazione della
Commissione cattolico-ortodossa per il dialogo teologico, alla continuità dei
rapporti con i rappresentanti delle altre Chiese cristiane, dell'ebraismo e
dell'islam. Anche la tanto attesa enciclica Deus caritas est contiene punti
interessanti che, coerentemente sviluppati, potrebbero portare a notevoli
cambiamenti nel modo con cui la gerarchia della Chiesa potrebbe affrontare, in
particolare, i temi della sessualità e, in generale, altri aspetti della vita
interna della Chiesa con comportamenti maggiormente fondati sulla misericordia e
sull'accoglienza. Ma il fatto stesso che, proprio nei giorni in cui firmava
l'enciclica, il papa escludeva dai seminari persone con "orientamento"
omosessuale, o ribadiva il no alla donna nei ministeri "ordinati", sembra
dimostrare l'estrema difficoltà, per Ratzinger, di trarre le inevitabili
conseguenze delle sue affermazioni.
La seconda parte dell'enciclica ripropone la tradizionale dottrina sociale della
Chiesa ma si colloca in una dimensione atemporale, al disotto delle necessità
dell'oggi per quanto riguarda la presenza sociale e politica dei credenti in un
mondo in cui i problemi del rapporto Nord/Sud, del sottosviluppo, delle
malattie, dell'ambiente, dello spreco delle risorse ecc. si stanno aggravando.
Perché aspettare a percorrere strade nuove?
Insieme a tante e tanti cattolici che, in Italia e nel mondo, lo sperano, anche
"Noi siamo Chiesa" ribadisce un auspicio: è necessario che nella Chiesa romana
si interrompa lo stallo nelle riforme, in atto da oltre un quarto di secolo, e
si intraprenda l'attuazione, purtroppo interrotta, di quelle profonde modifiche,
pastorali e istituzionali, che il Concilio prospettò, o che, comunque, sono la
logica conseguenza delle sue affermazioni e, soprattutto, del suo "evento".
Perché rammaricarsi in futuro di aver aspettato ad intraprendere, seguendo la
traccia indicataci dal Vaticano II, strade nuove che saranno comunque, prima o
poi, inevitabili per adempiere al comando evangelico di testimoniare e predicare
il Vangelo ad ogni creatura? Dopo questo primo anno di pontificato, secondo noi
deludente, vogliamo comunque continuare a sperare; ma ribadendo, però, che la
direzione intrapresa non ci sembra molto promettente. Essa, infatti, pare voler
"razionalizzare" l'esistente, ma non intraprendere una grande riforma.
Naturalmente, se le prossime mosse di Benedetto XVI, a cominciare dalla riforma
della Curia, smentissero il nostro pessimismo, ne saremmo ben lieti.
Condividiamo quanto ha scritto Hans Küng, su La Stampa del 13 aprile: "Solo se
Benedetto XVI abbraccerà il modello di Giovanni XXIII e cercherà di praticare un
primato pastorale di servizio, rinnovato alla luce del Vangelo e dell'impegno
per la libertà, potrà essere garanzia di apertura nella Chiesa e fare da bussola
morale per il mondo. Se Benedetto XVI saprà guidare la Chiesa fuori da questa
crisi di fiducia e di speranza, porterà quella che Karl Rahner ha definito ‘la
Chiesa dell'inverno' a una nuova primavera".
di "Noi siamo Chiesa" Adista documenti n. 34, 2006