Stefano Rodotà: Ma quale privacy, vogliono il silenzio
“La vera battaglia comincerà subito dopo l’approvazione del testo”
Si è mobilitato per la manifestazione di domani senza risparmio. Se non altro
perché Stefano Rodotà – giurista, ex garante della privacy, professore di
diritto – è convinto che da Piazza Navona possa iniziare un cammino decisivo per
l’affermazione della libertà di stampa in questo Paese. Ecco perché in questa
intervista Rodotà spiega che non intende tornare sul merito di tutti gli
articoli che giudica inammissibili (“Ne abbiamo parlato fino alla nausea”), ma
piuttosto sulle cose da fare per continuare la battaglia contro il provvedimento
anche dopo l’eventuale approvazione della legge.
Professor Rodotà, cosa si aspetta da questa manifestazione?
Io ci sarò. L’appuntamento, come è noto, nasce da una iniziativa della
Federazione nazionale della stampa. Ma è diventata, strada facendo, un punto di
incrocio di diversi soggetti: i giornali che si sono opposti a questa legge
invereconda, gli editori, i sottoscrittori di un appello promosso anche da chi
parla...
Cosa ha prodotto concretamente tutta questa mobilitazione?
Dei risultati tangibili, che hanno completamente cambiato lo scenario in cui
quelle norme erano state pensate e presentate in Parlamento.
Berlusconi era convinto di poterle portare a casa prima dell’estate. Ora,
invece...
Speriamo che non ci riesca. Io credo che questo movimento abbia dato uno stimolo
importante a chi, anche nelle istituzioni, e anche nel centrodestra, ci tengo a
precisare, si è opposto a questa legge.
La sento soddisfatta.
Ho la presunzione di dire che se la società civile non si fosse mobilitata,
questa legge avrebbe trovato molti meno ostacoli, e sarebbe stata varata così
come era stata pensata.
Lei pensa che la legge non sarà approvata nella forma che
conosciamo?
Non lo so, e non intendo esercitarmi nei pronostici: credo che una cosa debba
essere chiara a tutti. Piazza Navona non sarà un punto di arrivo ma un punto di
partenza per il futuro .
In che senso?
Nel senso che la nostra battaglia contro la legge inizierà un minuto dopo
l’approvazione del testo.
Qualcuno potrebbe chiedersi: perché l’uomo che ha fondato l’authority
sulla privacy scende in campo contro una legge che limita le
intercettazioni?
Proprio perché questa legge mette a rischio delle libertà costituzionali, e non
ha nulla a che fare con la tutela della riservatezza dei cittadini.
Ovvero?
Se si fosse avuto a cuore questo problema, si sarebbero potute agevolmente
stralciare dalla bozza della legge gli articoli che impediscono la pubblicazione
di intercettazioni che riguardano dettagli e vicende private di persone non
indagate. Credo in questo caso il testo sarebbe stato votato all’unanimità.
Invece?
Invece il cuore del provvedimento sono le norme contro i giornalisti e contro la
magistratura. E voglio aggiungere una cosa: il sesto articolo del codice
deontologico professionale dell’ordine, che io ho materialmente steso, affronta
già questi problemi, e ha già un valore di legge.
Quindi il vero obiettivo è un altro.
Certo. Per il premier, innanzitutto, la chiusura delle falle del suo sistema di
difesa, il tentativo di sistemare a posteriori le indiscrezioni e le rivelazioni
che possono venire dalla incredibile mole di quelle che possiamo definire le sue
frequentazioni femminili....
In che senso lei dice che la battaglia contro la legge “inizia” con
l’approvazione?
Sono convinto che appena il testo entrerà in vigore sarà necessario coordinare e
assistere il ricorso alla disobbedienza civile che il vostro quotidiano, e tanti
altri giornalisti hanno annunciato.
Quale dovrebbe essere la via da seguire, secondo lei, in queste forme di
protesta estrema?
Intanto servirà un coordinamento, strettamente tecnico, dei collegi di difesa
per chi trasgredirà i divieti di pubblicazione.
E poi?
Subito dopo bisognerà immaginare un percorso e delle mosse che permettano di
portare la questione all’attenzione della Corte costituzionale, e, anche, della
Corte europea. Poi...
Cosa?
Ci sono altre forme di elusione dei vincoli imposti dal provvedimento. Il primo
è la pubblicazione sui siti internazionali, ad esempio quelli che si sono già
messi a disposizione, a partire da Reporter sans Frontières.
E poi?
Io credo che un’ottima strada, seguendo uno storico precedente americano, sia
quella che ha annunciato Di Pietro: se dei materiali entrano dentro gli atti del
Parlamento, o attraverso dichiarazioni dei parlamentari in aula, o attraverso
l’inserimento di notizie e dati all’interno delle interrogazioni, nulla può
impedirne la citazione. Anche questa via, però, può rivelare delle difficoltà di
attuazione.
I parlamentari sarebbero protetti dall’immunità. Ma siamo sicuri che la legge
non avrebbe effetto sugli atti di Camera e Senato?
Credo che sia una delle poche cose certe in tutti i Parlamenti del mondo: tutto
quello che riguarda il Parlamento non può essere censurato. L’unico vincolo
possibile sarebbe togliere la parola a chi parla, o dichiarare inammissibile
alcuni atti.
Quindi si può silenziare i parlamentari?
Si aprirebbe un grosso conflitto regolamentare, molto dipenderebbe dai
presidenti delle Camere. Ma voglio dire un’ultima cosa...
Prego.
È giusto collegare questa battaglia a quella contro i tagli nelle università
che, solo apparentemente, può apparire slegata.
Lei individua un unico filo?
Con il disegno di legge si colpiscono magistrati e giornalisti. Con i tagli alla
ricerca e alla cultura tutti coloro che svolgono professioni intellettuali. Se
ci pensa è un attacco congiunto alle fonti del sapere critico.
Una strategia unica?
Un moto naturale di chi coltiva tentazioni autocratiche. Si colpiscono tutte le
riserve critiche della società. E si punta a ottenere l’effetto finale sperato.
Quale?
Quello di imbavagliare la prima cellula vitale delle moderne società
democratiche: l’opinione pubblica. È per dire no a questo tentativo che domani
scenderemo in piazza.
Luca Telese il Fatto 30.6.10