Laicità in croce
Da Bagnasco a Berlusconi, da Bertone a Napolitano: in attesa della sentenza
definitiva della Corte europea sul crocifisso si moltiplicano gli interventi.
Sorge artificialmente lo spettro di giudici decisi a conculcare il sentimento
religioso italiano. Ha detto il capo dello Stato che le sentenze europee “devono
essere comunque accettate”. Ma ha soggiunto che la “laicità dell’Europa non può
essere concepita e vissuta in termini tali da ferire sentimenti popolari e
profondi”. In realtà la Corte di Strasburgo, a novembre scorso, ha sancito un
principio pacifico in tanti altri Paesi: l’esposizione nelle aule
scolastiche del simbolo religioso (per di più unico simbolo esposto) rappresenta
una “violazione della libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro
convinzioni e della libertà di religione degli alunni”. Da allora sono
partite pressioni molteplici perché il secondo grado della Corte di Strasburgo
sconfessi la prima sentenza. Si è mobilitata la Cei, si è mosso il governo, si
sono allertato l’associazionismo cattolico, facendo un gran parlare di identità,
tradizioni, libertà. Berlusconi proclama che la decisione “inaccettabile per la
stragrande maggiorana degli italiani”, il cardinal Bagnasco chiede il “rispetto
della libertà religiosa”, il cardinale Bertone definisce la croce “espressione
identitaria, strettamente connessa con la storia e la tradizione dell’Italia
come pure dei popoli europei”.
In realtà
non un solo argomento, portato in campo in questi mesi per difendere la presenza
obbligatoria del crocifisso nelle aule e nei tribunali, ha un fondamento.
L’Unione europea – tranne la pattuglia isolata di Polonia, Irlanda, Italia e
Malta – respinse a schiacciante maggioranza dei suoi 27 stati la menzione delle
“radici cristiane” nella propria costituzione. Non fu negazione del ruolo
del cristianesimo nella storia europea, bensì rifiuto che da un generico
richiamo costituzionale potessero scaturire, direttamente o indirettamente,
situazioni di privilegio per una religione. Che l’Europa sovranazionale
sia laicista o antireligiosa è falso: infatti il trattato costituzionale prevede
un “dialogo permanente” con le varie Chiese.
Falso è anche dire che la sentenza respingerebbe la fede nell’ambito angusto del
“recinto privato”.
Il cristianesimo, come ogni altra fede, è totalmente libero di esprimersi
collettivamente e visibilmente nello spazio pubblico e sociale dei paesi Ue.
Parlare in Italia di un cristianesimo che rischia di essere conculcato, è una
gag.
Ciò che
indica la prima sentenza della Corte europea è, correttamente, l’impossibilità
che in uno spazio istituzionale come la scuola (o i tribunali) vi sia un simbolo
religioso che visivamente rappresenti il supremo principio ispiratore
dell’educazione (o della giustizia). Non ci può essere nella società
pluralistica contemporanea il dito indice di una sola religione, che all’interno
di un’istituzione segni la via da seguire. Perché non è vero che il
crocifisso sia nelle aule o nei tribunali “per tradizione”. La croce nei
luoghi istituzionali è il retaggio dei secoli in cui il cattolicesimo era
religione di stato. E il tentativo di imporne la presenza, anche oggi
che la Costituzione e il Concordato hanno eliminato qualsiasi riferimento ad una
religione di stato, non ha più nessuna base giuridica. Meno che mai è
giustificato il tentativo surrettizio delle gerarchie ecclesiastiche di creare e
crearsi uno status privilegiato di “religione di maggioranza”. Peraltro i
giovani italiani, come dimostra l’ultima indagine Iard riportata dall’Avvenire,
si sentono “cattolici” soltanto al 52 per cento.
Neanche è vero che il cattolicesimo sia un tratto universale dell’identità
italiana. Ogni cittadino ha la sua storia, la sua cultura, le sue credenze. Sul
piano istituzionale è certo che un solo simbolo, il Tricolore, rappresenta tutti
(con buona pace di Bossi) e una sola immagine rappresenta nei luoghi pubblici
l’unità della nazione, quella del presidente della Repubblica (Berlusconi se ne
faccia una ragione).
Da questo
punto di vista rimane insuperabile la chiarezza del principio costituzionale
americano (nazione assai religiosa e spesso citata da Benedetto XVI come esempio
di laicità positiva), secondo cui lo Stato non può “né favorire né contrastare
una religione”. Nelle scuole americane c’è la bandiera a stelle e strisce, non
il crocifisso.
C’è un accenno interessante nel recente intervento di Napolitano. Il richiamo ad
una una laicità “inclusiva”, disponibile ad accogliere ed amalgamare le
“tradizioni più diverse”. Se è così, si abbia il coraggio di lasciare scegliere
gli alunni se nella propria classe vogliono una parete neutrale oppure tale da
accogliere la pluralità dei simboli religiosi e filosofici, che ciascuno sente
consono. O si rispetta la libertà di coscienza come astensione volontaria
da qualsiasi marchio o si lascia libera l’espressione di tutti. Decidere,
invece, di imporre un simbolo dichiarato unilateralmente valido per tutti è
totalitarismo mascherato.
Marco Politi il Fatto 25.6.10